PERCORSI
DELLA TRANSUMANZA
LUNGO
IL CANALE DI AGORDO:
PERSISTENZE TRA PREISTORIA E STORIA
Relazioni esposte al convegno
“Le transumanze a
medio e lungo raggio in ambito
alpino-padano-veneto, in età moderna e contemporanea.”
tenuto ad Asiago il 24 settembre 2005
Relatori:
1
Soprintendenza
per i Beni
Archeologici del Veneto
2
Studio Associato
Bettinardi-Cester
Archeologi –Venezia
3
Giulio
Di Anastasio,
geoarcheologo
4
Gruppo Archeologico
Agordino ARCA
Riassunto
La
prima parte del contributo intende presentare, a ritroso nel tempo, dal
Novecento al Basso Medioevo, gli aspetti della frequentazione da parte
dell’uomo di un territorio con specifiche caratteristiche geografiche: il Canale
di Agordo e il territorio montuoso posto sulla destra idrografica del
torrente Cordevole (Monti del Sole). Supporto essenziale alla trattazione
sono state sia
le fonti
orali che quelle storiche
(principalmente mappe).
L’obiettivo
è stato quello di preparare il terreno a varie proposte che possano far luce
sull’uso in età preromana del Riparo del Colaz, ma anche degli altri siti
archeologici circostanti con analoghe caratteristiche geomorfologiche; ciò al
fine di proiettare in un passato
molto antico quanto è avvenuto dal Medioevo ai giorni nostri.
Le
evidenze strutturali (piani di preparazione con scaglie di pietra e muretti di
contenimento) e quelle archeologiche (vasellame ceramico allo stato
frammentario, resti di pasto), interfacciate a quelle geomorfologiche e
ambientali, e non da ultimo ai dati storici, consentono di ritenere come ipotesi
più verosimile l’uso del Riparo del Colaz come “ mandriz o maiolera”
. Lo sfruttamento a fini silvo-pastorali della Val del Mus durante la tarda
primavera e l’estate appare allo stato attuale delle ricerche l’ipotesi più
accreditata. Sulla base delle tipologie del vasellame ceramico tale utilizzo
sarebbe avvenuto per un lungo periodo durante
la tarda età del Bronzo e successivamente,
per un periodo più breve,
nella seconda età del Ferro (IV-III sec. a.C.), mentre in età medievale e
rinascimentale avrebbe avuto carattere più discontinuo. Tra la fine dell’
Ottocento e i primi decenni del Novecento il riparo fu utilizzato come piazzola
per i carbonai.
Fig. 1
Agordo
è un centro moderno posto a circa metà del corso del torrente Cordevole, il
quale ha la sorgente presso il Passo Pordoi e la foce a sud di Belluno
all’altezza di Sedico, dove confluisce nel fiume Piave (Fig.1). Negli anni
2001 - 2004 il Gruppo ARCA (1) ha
effettuato ricerche nelle vallette trasversali afferenti a quel tratto della
valle del Cordevole che si snoda per una ventina di chilometri da Agordo alla
località di Peron del Mas e che viene indicato con il nome di Canale di
Agordo, il cui territorio circostante è attualmente in parte compreso in
quello del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Più precisamente le ricerche
sono state effettuate nei Monti del Sole, posti sulla destra idrografica del
Cordevole, e in Val Vascovà, che si sviluppa su quella sinistra. Le zone sopra
citate non hanno mai presentato nuclei abitati di una certa consistenza (2).
La prima parte del contributo intende presentare, a ritroso nel tempo, dal Novecento al Basso Medioevo, gli aspetti della frequentazione da parte dell’uomo di un territorio con specifiche caratteristiche geografiche. Supporto essenziale alla trattazione sono state sia le fonti orali che quelle storiche, rappresentate principalmente da mappe alle quali verrà fatto riferimento durante l’esposizione. L’obiettivo è stato quello di preparare il terreno a varie proposte che possano far luce sull’uso in età preromana del Riparo del Colaz, ma anche degli altri siti archeologici circostanti con analoghe caratteristiche geomorfologiche (3). Il compito che ci si è assunti è quello di fornire elementi che permettano, sulla base delle testimonianze archeologiche rinvenute al Riparo del Colaz, di proiettare in un passato molto antico quanto è stato vissuto nelle stesse zone in tempi più recenti.
L’Ottocento e il
Novecento
La destra idrografica del Cordevole è caratterizzata da numerose e brevi, ma impervie vallette, attualmente “regno di cervi e camosci”; in ognuna però sono presenti testimonianze antropiche che richiamano una “storia minore” diffusa e intensamente vissuta. Nel corso dei numerosi sopralluoghi da parte dei soci del gruppo ARCA sono stati rilevati gli ancora evidenti segni materiali (sentieri, terrazzamenti, muretti, ruderi, carbonaie) connessi al denso vissuto delle attività umane di un passato recente che ha profondamente segnato un ambiente naturale alquanto aspro. Dalla documentazione acquisita possiamo ritenere che la zona presa in considerazione sia stata interessata, tra Ottocento e Novecento, più che dalla transumanza a lunga percorrenza, dalla monticazione di breve tragitto (Fig.2)
Fig. 2
I pascoli “magri” favorivano indubbiamente l’allevamento del bestiame minuto e le correlate pratiche casearie. Infatti nella zona dei Monti del Sole si tramanda il ricordo della presenza di pascoli prevalentemente per ovi-caprini; inoltre dalla tradizione orale degli abitanti di Sospirolo abbiamo appreso che le malghe erano adatte al ricovero delle pecore e di pochi bovini. La maggior parte dei bovini presenti nelle stalle, uno o due capi per famiglia, venivano riuniti da uno stesso malgaro durante la stagione estiva e accompagnati nell’Agordino (passo di Valles, di S. Pellegrino), nell’alta Val Vescovà, ma anche nello Zoldano o in Val di Fassa, in territorio trentino.
Gli spostamenti delle pecore avvenivano con percorsi a distanze limitate, quali ad esempio dalla Muda alla Rocchetta (nel Canale di Agordo), da Sospirolo alle malghe della Val del Mis, dalle frazioni basse di Gosaldo a Campotorondo alto in località Agnellezze.
Inoltre
le valli venivano sfruttate sia alle quote comprese tra 800 e 1300 m s.l.m. (con
le maiolere o i mandriz) sia a quelle tra m 1300 e 1800 (con le malghe).
Nel merito è interessante segnalare che nelle parti più impervie dei Monti del
Sole viene ricordato a memoria d’uomo l’uso dei ripari sottoroccia
utilizzati come casere, ad esempio alla forcella Peralora e nei covoli
di Monte Alto, dove veniva prodotto formaggio; anche il toponimo Val Covolera
risulta particolarmente significativo.
Fig.3
Come documentato alla Fig.3, alla fine dell’Ottocento, esisteva una fitta presenza di maiolere (dette anche mandriz) per pascoli primaverili e di casere poste a quote più elevate che implicavano l’utilizzo del territorio sicuramente a fini pascolivi ma, come vedremo, non solo. Nella stessa figura viene indicato anche il possibile percorso della Via Armentarezia citata negli Statuti Feltrini del 1340 (4). In essi si intima al Rettore, in caso di ingombro, di liberare la via ‘antiqua’ entro otto giorni, a meno di sanzione pecuniaria di 100 soldorum parvorum; il nome della via rende evidente la funzione principale ed essenziale cui era destinata.
Il dominio della Repubblica di Venezia
Fig.4
Continuando il viaggio nel
tempo, possiamo osservare che anche una mappa del Seicento
(Fig. 4) pone in evidenza come già durante il dominio della
Repubblica di Venezia il comparto geografico considerato presentasse una
fitta diffusione di piccole strutture, ivi dette casare
(5). Il cartiglio della mappa tratta però del problema del
disboscamento effettuato in modo non razionale così da provocare, in caso di
grandi piogge, dissesti territoriali considerevoli: ciò sta a testimoniare,
seppure indirettamente, l’utilizzo dei Monti del Sole, e quindi anche delle casare,
a fini diversi e non solo per lo
sfruttamento del pascolo. Grande infatti era l’importanza che la Repubblica
di Venezia attribuiva al legname, materia prima necessaria sia per le
fondazioni sia per l’edificazione dei palazzi della città lagunare,
come pure per la costruzione e il
mantenimento della grande flotta navale (6).
Nell’Agordino e in tutta la Val Cordevole non va dimenticato
l’indotto costituito dal diffusissimo lavoro dei carbonai (Val delle
Carbonere) che producevano il combustibile necessario al funzionamento dei
forni fusori di Valle Imperina: nelle fusine si fondeva circa la metà
del rame necessario alla Serenissima. Tra gli aspetti legati allo sfruttamento
del territorio va ricordata inoltre la raccolta della resina per la pece usata
negli squeri per calafatare il fasciame dei navigli; traccia dello sfruttamento
di tale risorsa potrebbe essersi conservata nel toponimo di Val Pegolera.
Non va infine dimenticata la ricchezza della zona anche a fini della caccia: al
riguardo rileviamo nei Monti del Sole i significativi toponimi di Cazze Alte e
di Cazza Granda.
In un documento del 24
gennaio1485 viene riportata la notizia dell’affitto dei boschi di Candaten,
situati ad est dei Monti del Sole, ai patrizi veneti Andrea Pasqualigo e
Bernardino Vedeston, per il taglio del legname, la decima parte del quale doveva
essere fatta fluitare presso la Certosa di Vedana come canone
(7). Il ritrovamento, in un’ansa del Cordevole tra Candaten e la
Certosa, di resti lignei di una struttura di travi e di una sponda
verticale costituita da grosse tavole potrebbe costituire la traccia residuale
di un porticciolo o di un cidolo adibito
a tale uso (8).
Dal
Basso Medioevo al Rinascimento
Prendendo
spunto dall’Illustrazione del Lombardo Veneto registriamo la diffusione
del bestiame relativa rispettivamente alla provincia di Belluno e all’Agordino
(9):
Provincia
di Belluno:
Bovini:
16000,
Ovini:
50000,
Caprini:
10000;
Agordino:
Bovini:
5297,
Ovini:
4442,
Caprini:
4107.
Il consistente numero degli animali allevati rilevabile a metà
Ottocento può servire da indicatore per
definire un territorio che da sempre è stato a vocazione pastorale; infatti fin
dal Medioevo le Regole, che governavano le economie locali, hanno avuto
l’esigenza di
normare gli affitti, i
tempi dei pascoli, le vie delle transumanze, le remunerazioni derivanti dalle
attività casearie, ecc. Non stupisce quindi constatare, andando ancora più
indietro nel tempo, come i più antichi documenti d’archivio riportino tracce
di lunghi contenziosi tra proprietari privati e/o tra i benificiari di proprietà
collettive. Si cita nel merito un documento del 1411, riportato da don F. Tamis
(10), nel quale viene riportato un contenzioso tra il Priore della Certosa di
Vedana e la Regola di La Valle Agordina per la
transumanza di oltre 200 animali (pecore, “bestie” ed equini) per
raggiungere lo Zoldano, in quanto la stessa era stata
attuata fuori dal percorso destinato allo scopo; si fa menzione inoltre
di quello del 1399, contenzioso sentenziato dal Podestà di Belluno, riguardante
il rapimento di 54 pecore al pascolo
nel territorio di Rocca Pietore, furto effettuato da gente locale ai danni di
uomini di Susin di Sospirolo del Distretto del Feltrino (11) .
Nella breve
disamina svolta abbiamo potuto documentare, sulla base delle fonti archivistiche
e della toponomastica, come le principali attività
economiche attestate nelle montagne del Canale d’Agordo, e più nello
specifico nelle zone circostanti il Riparo del Colaz, fossero connesse
principalmente con l’allevamento capro-ovino e pertanto con lo sfruttamento
delle relative risorse silvo-pastorali fino alle quote medio-alte. Solo in
misura minore e per periodi storici specifici (principalmente durante il dominio
di Venezia) è documentato lo sfruttamento intensivo del bosco per il legname e
la resina. L’attività dei carbonai potrebbe riguardare la fine
dell’Ottocento e parte del primo Novecento. La caccia dovette essere praticata
in tutti i tempi, ma con un ruolo economico marginale rispetto
all’allevamento.
Con tali dati,
e con quelli che seguiranno per l’aspetto archeologico, si è inteso apportare
un ulteriore, piccolo contributo a quell’insieme di lavori
demoetnoantropologici già pubblicati da altri autori, i quali
hanno descritto in modo esteso la realtà pastorale del Bellunese e del
Feltrino dal Medioevo al Novecento (12).
Gabriele Fogliata
IL
RIPARO DEL COLAZ: UN SITO ARCHEOLOGICO A LUNGA FREQUENTAZIONE
Il Riparo del Colaz si trova nel comune di Sedico, ad una
altitudine di circa 800 m s.l.m., sul fianco sinistro di una stretta vallecola
fluviale incassata tra i rilievi del Colaz e del Col Much (Fig. 5).
Il
substrato roccioso entro il quale si apre il riparo è costituito dalla Dolomia
Principale, formazione di età triassica formatasi in ambiente di piattaforma
carbonatica, ed interessata da profondi processi di dolomitizzazione. Tale
litologia, insieme alle caratteristiche tettonico-strutturali, determina
l’assetto geomorfologico della regione. Infatti i rilievi sono caratterizzati
da alte pareti verticali di chiara origine tettonica, e sono intervallati da
corsi d’acqua a carattere torrentizio generalmente impostati su linee di
frattura. L’incisione valliva prospiciente il riparo rispetta completamente
tale assetto
essendo caratterizzata da fianchi verticali e da un andamento determinato dal
sistema di faglie e fratture.
L’area
del riparo si trova su un terrazzo strutturale in roccia, immediatamente a valle
della curva verso destra di un
torrente, nel punto in cui esso, uscendo dalla forra, aumenta la pendenza per
confluire nella sottostante Valle del Mus. I depositi posti alla base del riparo
non sono però stati erosi dall’azione del torrente, perché ubicati
a una quota più alta rispetto al letto fluviale; inoltre una sporgenza
in roccia proprio in corrispondenza della curva ha impedito al torrente di
esondare in questo punto, preservando quindi i depositi geoarcheologici
dall’azione erosiva dell’acqua negli episodi di piena. Infatti il deposito
posto alla base del riparo è completamente asciutto, polverulento, quasi del
tutto privo di colonizzazione vegetale: tali evidenze indicano l’assenza
pressoché totale di umidità o di venute d’acqua.
L’area del riparo resta asciutta perfino durante le precipitazioni:
l’aggetto sporge di soli quattro metri circa rispetto alla parete interna del
riparo, ma la morfologia della parete rocciosa soprastante impedisce all’acqua
di scorrere al suo interno.
Inoltre il riparo è esposto a sud-ovest, più soggetto quindi all’azione dei raggi solari. Sulla parete interna non si notano concrezioni attive o altri indizi che facciano pensare ad uno stillicidio di origine carsica; sono presenti soltanto concrezioni fossili molto piccole (circa 5 mm). Le fratture della roccia sono generalmente chiuse, a denotare un sistema tettonico compressivo; le poche aperte sono completamente asciutte, se si eccettua quella nell’angolo sud del riparo, solo leggermente umida. Sulla superficie del deposito sono inoltre risultate del tutto assenti le conchette di stillicidio.
La marcata aridità del riparo si può dunque spiegare con l’insieme di tali fattori, i quali determinano le caratteristiche di incoerenza e scarsa compattezza del deposito archeologico. Infatti la porzione superficiale del deposito del riparo è costituita da un sottile strato di placchette angolari di roccia, staccatesi dalle pareti a causa del termoclastismo che si verifica durante la stagione invernale: l’esposizione a Sud del riparo determina alte escursioni termiche per cui l’umidità tra le fessure della roccia, congelando, aumenta di volume e determina il distacco delle placchette. Sono riconoscibili sulle pareti alcune delle superfici di distacco.
L’insieme
dei dati presentati costituisce una condizione ambientale ottimale per la
conservazione del deposito originale. In realtà esso risulta compromesso nel
suo assetto da un movimento
franoso con scivolamento verso il basso, perciò il deposito archeologico
risulta conservato solo nell’area a ridosso della parete interna del
riparo. E’ tra l’altro visibile una rottura di pendenza sulla superficie del
deposito, presumibilmente coincidente con la superficie di distacco del corpo
franato.
Giulio
Di Anastasio
Il
deposito archeologico e gli aspetti strutturali
Le
tre campagne di scavo finora effettuate nel Riparo del Colaz (13) hanno permesso
di mettere in luce una complessa stratificazione antropica che, con soluzione di
continuità, va dalla tarda età del Bronzo ai giorni nostri. L’indagine
archeologica è stata condotta nell’area centrale antistante al riparo, la
quale presentava la superficie più ampia e coperta dall’aggetto roccioso;
contemporaneamente sono state esposte e documentate, lungo le pareti esterne del
deposito, le relative sequenze
stratigrafiche. Ciò ha consentito di documentare la successione dei vari eventi
naturali e antropici che hanno contribuito alla formazione del deposito
geo-archeologico del sito.
La loro presentazione sarà effettuata dal basso verso l’alto e quindi secondo la successione cronologica con la quale si è formato il deposito stesso.
Innanzi tutto è stato individuato il substrato sterile costituito dal conoide detritico accumulatosi al di sotto della parete rocciosa in un’età antecedente alla frequentazione del riparo da parte dell’uomo. I primi interventi antropici sul sito si datano alla tarda età del Bronzo e sono relativi alla messa in opera verso valle, con blocchi di pietra rinvenuti in loco, di un muretto a secco di contenimento. Sull’area terrazzata e resa pianeggiante venne impostata una piccola struttura abitativa che sfruttava l’aggetto roccioso come copertura e parete di fondo, mentre gli altri lati furono probabilmente chiusi da pareti in materiale deperibile (legno, frasche, pelli, ecc. ). Allo stato attuale delle ricerche risulta difficile determinare con esattezza le dimensioni dello spazio abitativo che comunque doveva aggirarsi intorno ai 6-8 m di lunghezza e m 3 di ampiezza. Alla parte alta del terrazzo e quindi alla struttura abitativa si doveva accedere attraverso un accesso gradonato documentato da un profondo scasso nel conoide e da conci di pietra di forma regolare, appositamente squadrati, di cui alcuni rinvenuti ancora nella loro posizione originaria.
La sequenza stratigrafica esposta lungo la parete ovest del riparo documenta che la frequentazione si è interrotta alla fine dell’età del Bronzo e che il riparo fu abbandonato, subendo fenomeni di degrado, per essere poi nuovamente utilizzato in una fase avanzata dell’età del Ferro. E’ probabile che i nuovi fruitori del riparo della tarda età del Ferro abbiano in parte utilizzato la precedente sistemazione del terrazzo a fini abitativi, procedendo comunque alla ricostruzione delle strutture sopra terra; tuttavia non è facile definire quali siano stati gli interventi di questa seconda occupazione del sito, in quanto obliterati o cancellati dalle successive frequentazioni di età medievale e moderna.
Strutture riferibili
a varie epoche
Allo stato attuale delle ricerche non siamo ancora in grado di stabilire con certezza se alla seconda fase d’uso del riparo, avvenuta durante la seconda età del Ferro, vadano attribuiti gli elementi residui di una massicciata in pietra e di un secondo muretto di contenimento che correva da est a ovest lungo una linea di pendenza più esterna rispetto a quella del muretto di contenimento della tarda età del Bronzo. Se la nostra proposta di interpretazione delle strutture latenti è corretta, dobbiamo ritenere che l’unità abitativa della seconda età del Ferro doveva presentare una superficie calpestabile maggiore di quella della tarda età del Bronzo.
Scarse
testimonianze archeologiche documentano che il riparo fu frequentato, forse
occasionalmente, pure in età medioevale e moderna e, successivamente, in modo
più continuativo tra fine Ottocento e inizi Novecento dai carbonai che
avrebbero utilizzato la base del riparo come “piazzola” per la
trasformazione della legna in carbone. Sono testimonianza di tale utilizzo le
grandi quantità di carbone e cenere presenti sugli strati superficiali del
deposito, conservatisi grazie alla
marcata aridità del sito e la cui datazione radiometrica col 14C
ne conferma la data storica (14).
Italo Bettinardi
La documentazione archeologica finora rinvenuta alla base del deposito archeologico è costituita nella quasi totalità da frammenti ceramici pertinenti a vasellame domestico d’impasto mediamente grossolano; assai scarsi sono i resti di pasto costituiti da faune che presentano un elevato grado di frammentazione e pertanto di difficile determinazione circa le specie di appartenenza. Inoltre il consistente deposito di carbone e cenere, formatosi a seguito dell’utilizzo del riparo da parte dei carbonai agli inizi del Novecento, avrebbe inquinato il deposito per quanto riguarda gli aspetti paleobotanici sottraendoci la possibilità di ricostruire, nei diversi periodi, l’ambiente antico circostante il riparo stesso. Tuttavia l’abbondante materiale ceramico, seppure rinvenuto con un elevato grado di frammentazione, ci consente di stabilire con esattezza i diversi momenti cronologici nei quali l’uomo antico fu spinto a utilizzare come ricovero il Riparo del Colaz e di indicarne le motivazioni della sua frequentazione stagionale per periodi così lunghi. A tale scopo si prenderà in considerazione il vasellame ceramico sia sotto il profilo cronologico sia dal punto di vista tipologico e funzionale.
La più antica frequentazione del riparo da parte dell’uomo abbraccia i secoli della tarda età del Bronzo (XII-XI sec. a.C.) ed è rappresentata principalmente da olle, cioè da forme ceramiche utilizzate di norma per lo stoccaggio e la cottura delle derrate alimentari. Seppure in numero molto limitato sono rappresentate pure le scodelle che potevano assolvere alla funzione sia di coperchi sia di vasi per il consumo dei cibi (fig. 6).
Fig.6 Reperti recuperati nel 2004 al Riparo Colaz:
pareti di olle e coperchi (disegni di Valentina Cocco)
L’elevata quantità di frammenti ceramici riferibili a tale periodo si diluisce pertanto in un ampio excursus cronologico, mentre la selezione delle forme ceramiche alquanto ristretta (olle e scodelle) rispetto alle tipologie attestate di norma negli abitati permanenti, ci consente di ipotizzare un uso che potrebbe essere connesso anche con la lavorazione del latte.
Il vasellame della seconda età del Ferro è presente nel deposito archeologico in minore quantità: ciò può essere imputato sia a una frequentazione di più breve periodo rispetto alle età precedenti sia al parziale asporto del deposito già in antico. Tale documentazione è costituita da olle e da alcuni coperchi, vale a dire da vasellame con caratteristiche funzionali compatibili con la bollitura di derrate alimentari liquide quali il latte.
Le
testimonianze archeologiche delle età successive (età basso-medievale e
moderna) sono alquanto scarse e con un grado di frammentazione così elevato da
non consentire alcuna determinazione tipologica.
I risultati delle indagini archeologiche condotte nel Riparo del Colaz, interfacciate ai dati storici derivanti da uno studio demoetnoantropologico del territorio montano posto sulla destra idrografica del torrente Cordevole tra i centri di Agordo e Sedico, consentono di individuare una zona a elevata vocazione silvo-pastorale fin dalla lontana preistoria. I dati archeologici del Riparo del Colaz, interfacciati con quelli provenienti dagli altri ripari dei Monti del Sole, anche se i depositi archeologici di
questi ultimi sono stati indagati per il momento solo superficialmente, consentono di individuare le prime forme di transumanza e di alpeggio alle soglie dell’Agordino della fine del II millennio a.C. La frequentazione di territori posti alle quote montane medio-alte dovette avere carattere stagionale, anche se di lungo periodo, ed avvenire ad opera di gruppi umani già stanziati in modo permanente negli abitati di fondo-valle e nei siti collinari del Bellunese.
La
seconda occupazione del Riparo del Colaz, anche se di breve durata a valutare
dalla consistenza delle testimonianze archeologiche, corrisponde a una fase
avanzata della seconda età del Ferro, verosimilmente tra V e IV secolo a.C.,
vale a dire a una fase di massima espansione della Cultura dei Veneti antichi.
Anche in questo caso dovette trattarsi di una frequentazione stagionale del
riparo e del territorio montano dell’Agordino più in generale per lo
sfruttamento delle risorse a fini silvo-pastorali. In entrambi i periodi (tarda
età del Bronzo e seconda età del
Ferro) il Riparo del Colaz fu adattato
ad abitazione temporanea per il gruppo umano che vi soggiornava durante la
stagione propizia, verosimilmente tra la tarda primavera e l’estate. Con
un termine moderno potremmo definire
tale abitazione “maiolera o
mandriz ”.
L’asprezza
dei luoghi, con una vegetazione
tuttora alquanto scarsa, non dovette costituire un ostacolo allo sfruttamento
delle risorse naturali da parte dell’uomo
antico dal momento che anche gli arbusti, al pari del pascolo,
potevano venire sfruttati dai capi di bestiame,
che possiamo assai verosimilmente ritenere costituiti da capro-ovini
piuttosto che da bovini.
Dalla
documentazione archeologica proveniente da siti coevi in
zone di montagna (in particolare dal Trentino) è noto che l’uomo
dell’età del Bronzo e della successiva età del Ferro conosceva
le tecniche di lavorazione del latte e ne consumava i suoi prodotti.
L’elevata
selezione delle forme ceramiche rinvenute al Riparo del Colaz, costituite
principalmente da olle e da coperchi, vale a dire da recipienti idonei alla
conservazione e all’ebollizione sul focolare di derrate alimentari liquide,
costituisce un indicatore da non trascurare. Come documentano i dati
archeologici la funzione prevalente del
riparo quale ricovero per pastori dovette persistere anche nelle successive età
medievale-rinascimentale e moderna. Si tratta di periodi caratterizzati da un
diffuso pastoralismo che veniva praticato fino
alle quote montane medio-alte ed era
connesso per lo più a momenti di difficoltà economiche per
crisi climatiche, eventi bellici oppure
per notevole incremento demografico, fattori che determinavano uno sfruttamento
particolarmente intenso del territorio
Elodia
Bianchin Citton
Ultimo
giorno della campagna di scavo 2006:
(da
sinistra) Mauro Chiarini, Manuel Conedera,
Elodia
Bianchin Citton, Italo Bettinardi, Mirella Munaro.
*
Il presente contributo è stato curato da Elodia Bianchin Citton.
1-Il
Gruppo Archeologico ARCA di Agordo (Belluno) è un’associazione di volontari
attiva dal 1998; le sue finalità sono la conoscenza, la valorizzazione e la
divulgazione nel campo dell’archeologia, della storia locale e, data la
vicinanza alle secolari miniere di Valle Imperina, della metallurgia antica; uno
degli autori (Gabriele Fogliata) ne è vicepresidente.
2-
La costituzione del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi va riferita alla realtà
odierna caratterizzata da un territorio aspro e selvaggio, dove la sentieristica
ricalca precedenti vie di transito. Oggi il C.A.I., l’ente Foreste, e l’ente
Parco provvedono alla manutenzione dei sentieri
di controllo della fauna e della flora, ma anche
di quelli dell’escursionismo alpinistico e dei percorsi culturali, il
più importante dei quali è la Via degli Ospizi, che va dalla Certosa di Vedana
– San Gottardo all’Ospizio medievale di Agre, ed oltre fino all’ attuale
Centro minerario di Valle Imperina. Per la Via degli Ospizi si veda in
particolare DE NARDIN, POLONIATO, TOMASI 2002.
3-
Il ritrovamento del sito archeologico del Riparo del Colaz è avvenuto nel corso
dei numerosi sopralluoghi finalizzati al riscontro
delle testimonianze relative alla presenza
dell’uomo in questa parte del territorio agordino. L’individuazione di siti
archeologici in ripari sottorocccia nei Monti
del Sole è risultata alquanto frequente a partire dal 2002
4-
De Nardin, Tomasi 1989, p. 77.
5-
De Nard1988, p. 30.
6-
Il toponimo Punta e Val delle Antenne richiama i fusti degli alberi delle
navi.
7- De Nardin, Poloniato,
Tomasi 2002, p. 53.
8
– Il ritrovamento e la segnalazione alle autorità competenti
dell’importante manufatto sono stati
effettuati dal Gruppo ARCA di Agordo e dagli
Amici del Museo di Belluno.
9-
Alvisi 1859, pp. 718, 728.
10-
Tamis s.d.
, p. 2.
11- Pellegrini 1993, p. 264.
12-
Bazolle 1986, Perco 2000
13-Un
doveroso ringraziamento da parte del
direttore scientifico dello scavo, dott.ssa Elodia Bianchin della Soprintendenza
per i Beni Archeologici del Veneto e
dei soci del Gruppo ARCA va a tutti quegli enti che hanno reso possibile
sia finanziariamente che operativamente le campagne di scavo: la Regione
del Veneto, l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, Il Comune di Sedico,
il Consorzio Bim-Piave, l’ex-Azienda di Stato
delle Foreste Demaniali. Con il loro
sostegno tali enti hanno dimostrato una fattiva sensibilità per le
testimonianze archeologiche che ben rientrano nella tutela e nella
valorizzazione del patrimonio storico
della montagna bellunese.
Ci
è gradito rivolgere in questa sede un sentito ringraziamento al dott. Gianni
Poloniato dell’ l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi per la
disponibilità e il fattivo sostegno alle ricerche archeologiche finora condotte
al Riparo del Colaz.
Il
doveroso ringraziamento degli autori va inoltre agli organizzatori del Convegno
che hanno accolto la nostra richiesta di partecipazione e hanno dato spazio alla
pubblicazione dei risultati raggiunti dalle nostre ricerche nel Canale di Agordo
e, in particolare, a quelle finora condotte al Riparo del Colaz.
14-
Determinazione effettuata dalla Dendrodata S.A. S. di Verona
Alvisi
G. (1859) Belluno e sua Provincia in: Cantu
C., Grande illustrazione del Lombardo, Veneto, Corona e Caimi editori, Milano,
vol. II , 1859, pp. 718- 728.
Bazolle
A M. (1986) Il Possidente Bellunese,
Tipografia B. Ber-
nardino, Feltre, pp.157-428.
Bianchin
Citton E. (2000) Il popolamento del Bellunese dal Neolitico agli inizi
dell’età del ferro, Quaderni di Archeologia del Veneto, XVI, pp. 23-31.
De
Nard E. (1988) Cartografia storica dei territori bellunesi,
Cornuda (Tv), pp.30.
De
Nardin T. , Poloniato G., Tomasi G. (2002) La via degli ospizi,
Duck Edizioni, Santa Giustina (Bl), pp.53.
De
Nardin T. , Tomasi G. (1989) Il Capitaniato di Agordo nel Cinquecento,
Istituto di Studi per l’Alto Adige, Firenze, pp. 77.
Pellegrini
F. (1993) Documenti antichi trascritti, Stampa Germano Sommavilla
– Belluno, vol. IV, pp. 264.
Perco
D. (1991) Malgari e pascoli-L’alpeggio nella Provincia di Belluno,
Museo Etnografico della Provincia di Belluno, Quaderno n. 10, Tipografia
Editoria DBS, Rasai di Seren del Grappa (Bl).
Perco
D. (2000) La pastorizia transumante del Feltrino, Museo
Etnografico della Provincia di Belluno, Quaderno n. 3 (seconda edizione),
Tipografia Editoria DBS, Rasai di Seren del Grappa (Bl).
Tamis
F. s.d.
L’alpeggio nella storia agordina, Comunità Montana Agordina,
Donazione Tamis, Sezione Storia, n. 185, pp. 2.
Simonato
zasio B. (2002) La Montagna di Neva, Graphic Group, Feltre (BL).
Fig.
1- Carta del territorio (Atlante
T.C.I. 1994) con rappresentazione del corso del torrente Cordevole dalla
sorgente alla foce, dei Monti del Sole e della Val Vescovà.
Fig. 2- Carta
“Monti del Sole” (Lagiralpina n. 5) con
rappresentazione delle percorrenze delle transumanze brevi.
Fig.
3- Carta IGM 1888 con la rappresentazione
di maiolere o mandriz (casette)
presenti fino a m 1000 slm; di casere (rettangoli) ubicate al di
sopra dei 1000 m slm.
Fig.
4- Codice Paulini del 1608 con
rappresentazione dei Monti del Sole e del corso del torrente Cordevole.