Fig. 1
Agordo
è un centro moderno posto a circa metà del corso del torrente Cordevole, il
quale ha la sorgente presso il Passo Pordoi e la foce a sud di Belluno
all’altezza di Sedico, dove confluisce nel fiume Piave (Fig.1). Negli anni
2001 - 2004 il Gruppo ARCA (1) ha
effettuato ricerche nelle vallette trasversali afferenti a quel tratto della
valle del Cordevole che si snoda per una ventina di chilometri da Agordo alla
località di Peron del Mas e che viene indicato con il nome di Canale di
Agordo, il cui territorio circostante è attualmente in parte compreso in
quello del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Più precisamente le ricerche
sono state effettuate nei Monti del Sole, posti sulla destra idrografica del
Cordevole, e in Val Vascovà, che si sviluppa su quella sinistra. Le zone sopra
citate non hanno mai presentato nuclei abitati di una certa consistenza (2).
La prima parte del contributo intende presentare, a ritroso nel tempo, dal Novecento al Basso Medioevo, gli aspetti della frequentazione da parte dell’uomo di un territorio con specifiche caratteristiche geografiche. Supporto essenziale alla trattazione sono state sia le fonti orali che quelle storiche, rappresentate principalmente da mappe alle quali verrà fatto riferimento durante l’esposizione. L’obiettivo è stato quello di preparare il terreno a varie proposte che possano far luce sull’uso in età preromana del Riparo del Colaz, ma anche degli altri siti archeologici circostanti con analoghe caratteristiche geomorfologiche (3). Il compito che ci si è assunti è quello di fornire elementi che permettano, sulla base delle testimonianze archeologiche rinvenute al Riparo del Colaz, di proiettare in un passato molto antico quanto è stato vissuto nelle stesse zone in tempi più recenti.
L’Ottocento e il
Novecento
La destra idrografica del Cordevole è caratterizzata da numerose e brevi, ma impervie vallette, attualmente “regno di cervi e camosci”; in ognuna però sono presenti testimonianze antropiche che richiamano una “storia minore” diffusa e intensamente vissuta. Nel corso dei numerosi sopralluoghi da parte dei soci del gruppo ARCA sono stati rilevati gli ancora evidenti segni materiali (sentieri, terrazzamenti, muretti, ruderi, carbonaie) connessi al denso vissuto delle attività umane di un passato recente che ha profondamente segnato un ambiente naturale alquanto aspro. Dalla documentazione acquisita possiamo ritenere che la zona presa in considerazione sia stata interessata, tra Ottocento e Novecento, più che dalla transumanza a lunga percorrenza, dalla monticazione di breve tragitto (Fig.2)
Fig. 2
I pascoli “magri” favorivano indubbiamente l’allevamento del bestiame minuto e le correlate pratiche casearie. Infatti nella zona dei Monti del Sole si tramanda il ricordo della presenza di pascoli prevalentemente per ovi-caprini; inoltre dalla tradizione orale degli abitanti di Sospirolo abbiamo appreso che le malghe erano adatte al ricovero delle pecore e di pochi bovini. La maggior parte dei bovini presenti nelle stalle, uno o due capi per famiglia, venivano riuniti da uno stesso malgaro durante la stagione estiva e accompagnati nell’Agordino (passo di Valles, di S. Pellegrino), nell’alta Val Vescovà, ma anche nello Zoldano o in Val di Fassa, in territorio trentino.
Gli spostamenti delle pecore avvenivano con percorsi a distanze limitate, quali ad esempio dalla Muda alla Rocchetta (nel Canale di Agordo), da Sospirolo alle malghe della Val del Mis, dalle frazioni basse di Gosaldo a Campotorondo alto in località Agnellezze.
Inoltre
le valli venivano sfruttate sia alle quote comprese tra 800 e 1300 m s.l.m. (con
le maiolere o i mandriz) sia a quelle tra m 1300 e 1800 (con le malghe).
Nel merito è interessante segnalare che nelle parti più impervie dei Monti del
Sole viene ricordato a memoria d’uomo l’uso dei ripari sottoroccia
utilizzati come casere, ad esempio alla forcella Peralora e nei covoli
di Monte Alto, dove veniva prodotto formaggio; anche il toponimo Val Covolera
risulta particolarmente significativo.
Fig.3
Come documentato alla Fig.3, alla fine dell’Ottocento, esisteva una fitta presenza di maiolere (dette anche mandriz) per pascoli primaverili e di casere poste a quote più elevate che implicavano l’utilizzo del territorio sicuramente a fini pascolivi ma, come vedremo, non solo. Nella stessa figura viene indicato anche il possibile percorso della Via Armentarezia citata negli Statuti Feltrini del 1340 (4). In essi si intima al Rettore, in caso di ingombro, di liberare la via ‘antiqua’ entro otto giorni, a meno di sanzione pecuniaria di 100 soldorum parvorum; il nome della via rende evidente la funzione principale ed essenziale cui era destinata.
Il dominio della Repubblica di Venezia
Fig.4
Continuando il viaggio nel
tempo, possiamo osservare che anche una mappa del Seicento
(Fig. 4) pone in evidenza come già durante il dominio della
Repubblica di Venezia il comparto geografico considerato presentasse una
fitta diffusione di piccole strutture, ivi dette casare
(5). Il cartiglio della mappa tratta però del problema del
disboscamento effettuato in modo non razionale così da provocare, in caso di
grandi piogge, dissesti territoriali considerevoli: ciò sta a testimoniare,
seppure indirettamente, l’utilizzo dei Monti del Sole, e quindi anche delle casare,
a fini diversi e non solo per lo
sfruttamento del pascolo. Grande infatti era l’importanza che la Repubblica
di Venezia attribuiva al legname, materia prima necessaria sia per le
fondazioni sia per l’edificazione dei palazzi della città lagunare,
come pure per la costruzione e il
mantenimento della grande flotta navale (6).
Nell’Agordino e in tutta la Val Cordevole non va dimenticato
l’indotto costituito dal diffusissimo lavoro dei carbonai (Val delle
Carbonere) che producevano il combustibile necessario al funzionamento dei
forni fusori di Valle Imperina: nelle fusine si fondeva circa la metà
del rame necessario alla Serenissima. Tra gli aspetti legati allo sfruttamento
del territorio va ricordata inoltre la raccolta della resina per la pece usata
negli squeri per calafatare il fasciame dei navigli; traccia dello sfruttamento
di tale risorsa potrebbe essersi conservata nel toponimo di Val Pegolera.
Non va infine dimenticata la ricchezza della zona anche a fini della caccia: al
riguardo rileviamo nei Monti del Sole i significativi toponimi di Cazze Alte e
di Cazza Granda.
In un documento del 24
gennaio1485 viene riportata la notizia dell’affitto dei boschi di Candaten,
situati ad est dei Monti del Sole, ai patrizi veneti Andrea Pasqualigo e
Bernardino Vedeston, per il taglio del legname, la decima parte del quale doveva
essere fatta fluitare presso la Certosa di Vedana come canone
(7). Il ritrovamento, in un’ansa del Cordevole tra Candaten e la
Certosa, di resti lignei di una struttura di travi e di una sponda
verticale costituita da grosse tavole potrebbe costituire la traccia residuale
di un porticciolo o di un cidolo adibito
a tale uso (8).
Dal
Basso Medioevo al Rinascimento
Prendendo
spunto dall’Illustrazione del Lombardo Veneto registriamo la diffusione
del bestiame relativa rispettivamente alla provincia di Belluno e all’Agordino
(9):
Provincia
di Belluno:
Bovini:
16000,
Ovini:
50000,
Caprini:
10000;
Agordino:
Bovini:
5297,
Ovini:
4442,
Caprini:
4107.
Il consistente numero degli animali allevati rilevabile a metà
Ottocento può servire da indicatore per
definire un territorio che da sempre è stato a vocazione pastorale; infatti fin
dal Medioevo le Regole, che governavano le economie locali, hanno avuto
l’esigenza di
normare gli affitti, i
tempi dei pascoli, le vie delle transumanze, le remunerazioni derivanti dalle
attività casearie, ecc. Non stupisce quindi constatare, andando ancora più
indietro nel tempo, come i più antichi documenti d’archivio riportino tracce
di lunghi contenziosi tra proprietari privati e/o tra i benificiari di proprietà
collettive. Si cita nel merito un documento del 1411, riportato da don F. Tamis
(10), nel quale viene riportato un contenzioso tra il Priore della Certosa di
Vedana e la Regola di La Valle Agordina per la
transumanza di oltre 200 animali (pecore, “bestie” ed equini) per
raggiungere lo Zoldano, in quanto la stessa era stata
attuata fuori dal percorso destinato allo scopo; si fa menzione inoltre
di quello del 1399, contenzioso sentenziato dal Podestà di Belluno, riguardante
il rapimento di 54 pecore al pascolo
nel territorio di Rocca Pietore, furto effettuato da gente locale ai danni di
uomini di Susin di Sospirolo del Distretto del Feltrino (11) .
Nella breve
disamina svolta abbiamo potuto documentare, sulla base delle fonti archivistiche
e della toponomastica, come le principali attività
economiche attestate nelle montagne del Canale d’Agordo, e più nello
specifico nelle zone circostanti il Riparo del Colaz, fossero connesse
principalmente con l’allevamento capro-ovino e pertanto con lo sfruttamento
delle relative risorse silvo-pastorali fino alle quote medio-alte. Solo in
misura minore e per periodi storici specifici (principalmente durante il dominio
di Venezia) è documentato lo sfruttamento intensivo del bosco per il legname e
la resina. L’attività dei carbonai potrebbe riguardare la fine
dell’Ottocento e parte del primo Novecento. La caccia dovette essere praticata
in tutti i tempi, ma con un ruolo economico marginale rispetto
all’allevamento.
Con tali dati,
e con quelli che seguiranno per l’aspetto archeologico, si è inteso apportare
un ulteriore, piccolo contributo a quell’insieme di lavori
demoetnoantropologici già pubblicati da altri autori, i quali
hanno descritto in modo esteso la realtà pastorale del Bellunese e del
Feltrino dal Medioevo al Novecento (12).
Gabriele Fogliata