Val Civetta 9000 anni fa
alla ricerca di un mondo perduto
di Carlo Franco, dottorando in Archeologia e Storia Antica
presso l’Università Cà Foscari di Venezia
e
di Piergiorgio Cesco Frare e Carlo Mondini
dell’Associazione Amici del Museo di Belluno HOME NOTIZIARI
Nello scorso numero del Notiziario, ARCA ha fornito una prima sommaria descrizione della campagna di scavo sul Mesolitico Recente effettuata in Val Civetta, nei pressi del Pian de la Lora.
Ora, presentiamo una piacevole piece introduttiva di due dei partecipanti, Piergiorgio Cesco Frare e Carlo Mondini, e, successivamente, la relazione preliminare dello stesso scavo, redatta dall’archeologo che ne ha diretto i lavori, il dott. Carlo Franco.
Entrambi gli articoli sono apparsi sul n° 1, anno XXX, Estate 2008, della rivista Le Dolomiti Bellunesi del CAI-Sezioni Bellunesi. Ringraziamo gli autori per la concessione alla pubblicazione.
E LE CRODE STANNO A GUARDARE
Migliaia di anni fa.
Le Crode si liberano della cappa di nevi perenni che ne ha ricoperto le pareti per millenni. Vedono sciogliersi i ghiacciai, che imprigionano i loro fianchi scolpendo circhi, scavando valli, disegnando archi morenici. Vedono le lingue di ghiaccio ritirarsi velocemente dal fondo delle vallate, disseminando dietro a sé numerosi bacini lacustri. È la fine dell’era glaciale.
Assistono al ritorno della vegetazione che, favorita dal clima via via più caldo, risale verso le alte quote: dapprima un tenue strato di arbusti striscianti, poi le erbe, e infine, con l’aumento dell’umidità, maestose foreste di conifere.
E con la vegetazione le Crode vedono aumentare la fauna. L’onda montante della foresta sospinge verso le alte praterie alpine stambecchi, camosci e marmotte, mentre reca con sé, nelle aree cha va a colonizzare, cervi e caprioli. E tutto il popolo alato a rompere col suo canto gli alti silenzi della montagna. A poco a poco il severo e desolato deserto di ghiaccio e roccia lascia il posto a una verde distesa brulicante di vita, che attira predatori di ogni genere: il lupo, la lince, la volpe, l’orso, l’aquila, l’avvoltoio. E, con essi, il più formidabile di tutti: l’uomo mesolitico.
Le Crode assistono impassibili al variopinto alternarsi delle stagioni nella piccola valle sospesa sul fianco di altissime pareti rocciose. Due forcelle mettono in comunicazione questa con altre conche pensili che circondano la grande montagna. La parte più elevata della valletta è occupata da un minuscolo bacino lacustre, racchiuso da uno sbarramento di un lembo di morena frontale dell’antico ghiacciaio. A nord, poco più in basso, un ampio inghiottitoio carsico da cui defluiscono le acque dei versanti e che spesso ospita un laghetto effimero.
È verso la stagione calda che le Crode assistono all’arrivo degli esseri umani. Da dove, non si sa. Forse hanno risalito il corso del fiume seguendo le millenarie piste stagionali degli ungulati, forse provengono dalla grande pianura a latifoglie più a sud. Sono spesso pochi cacciatori di passaggio saliti da un accampamento più a valle per battute di caccia giornaliere. Armati di arco e di frecce, nelle ore crepuscolari si appostano in attesa del pascolo di cervi e caprioli ai margini del bosco; stanno in agguato sulle forcelle aspettando i branchi di camosci; inseguono gli stambecchi sulle balze rocciose. E la valletta si riempie dei loro richiami secchi e delle grida di esultanza per la preda conquistata. Altre volte, invece, quegli stessi luoghi si animano di più numerose voci e di rumori nuovi. Sono interi gruppi familiari che si accampano per una prolungata tappa di un diverso itinerario stagionale sul margine più rilevato della morena, a nord del laghetto pensile, montano alcune tende fatte con bastoni e pelli, accendono dei fuochi. Mentre gli uomini – maestri in trappole, camuffamenti e richiami per ogni genere di selvaggina – sono occupati nella cattura degli animali, donne e fanciulli si dedicano alla raccolta delle bacche e radici e funghi commestibili, del miele racchiuso nei favi sotterranei, e di rami secchi per alimentare le fiamme dei focolari.
Di tanto in tanto un lieve picchiettio, che echeggia tutt’intorno, rivela l’attività di qualche abilissimo artigiano ante litteram intento a lavorare la selce. Dalla riserva di blocchetti di vario colore, raccolti durante il lungo viaggio sulle colline più a sud o sulle rive e le secche ghiaiose del grande fiume, egli ne sceglie con cura uno. Con abili colpi di un percussore in corno di cervo di un altro ciottolo di selce gli dà la forma voluta, che ha ben chiara nella mente, e poi ne stacca delle lame sottili con gesti esperti a lui tramandati da generazioni lontane. Con i supporti ottenuti egli confeziona tutto lo strumentario necessario al gruppo per la vita quotidiana e la caccia: grattatoi, da utilizzare a mano o immanicati, per raschiare le pelli degli animali catturati e macellati; bulini per incidere osso, palco di cervo, conchiglie scambiate con altri gruppi in pianura; raschiatoi per tagliare ogni sorta di materiali teneri, come legno e altre fibre vegetali; microliti di forma geometrica per armare le frecce. Nel suo fare rapido e preciso dissemina sul terreno una quantità infinita di schegge di scarto e frammenti di lavorazione.
Qualche anno fa.
Da secoli i monti hanno ricevuto i loro nomi. Agli antichi pastori deve il suo la nostra valletta, che essi chiamano Pian del la Lòra, a indicare l’imbuto naturale che inghiotte le acque nel fondo della conca. Insieme nascono i nomi dei vari altri pascoli come Pèlsa, Col Greàn (oggi orfano della ‘g’), Camp. Con l’arrivo di geografi e mappatori la grande montagna diventa ufficialmente La Civetta. Giungono infine gli alpinisti, che si mettono a scalare e battezzare sistematicamente ogni cima fino al più modesto pinnacolo. E così le nostre Crode si ritrovano inopinatamente con strani nomi: Cima De Gasperi, Hochemporspitze, Neuländerspitze, Campanile di Brabante, Torre Venezia…
Una tersa giornata di mezzo autunno. Alimentato da una precoce e abbondante nevicata presto scioltasi, il laghetto effimero della Lòra occhieggia giù in basso verso le Crode dagli esotici nomi, che assistono al viavai degli ultimi escursionisti della stagione e di qualche cacciatore di oggi alla vana ricerca di preda. Solo due persone curiosamente sembrano più interessate al suolo che ai panorami. A un tratto eccole chinarsi a raccogliere qualcosa dal terreno: sono schegge di selce di vari colori e dimensioni. Si guardano con un sorriso d’intesa, perché sanno che quello è il segno del passaggio di antichissimi frequentatori del sito. Ne riferiranno sulle pagine di Le Dolomiti Bellunesi. Altri appassionati come loro qualche anno dopo confermeranno, con ritrovamenti analoghi, che il luogo era meta di cacciatori-raccoglitori mesolitici.
Un anno fa.
L’estate porta sotto le Crode della Grande Civetta gente in quantità. Tra i rifugi è un viavai continuo di escursionisti e alpinisti di tutte le fogge e provenienze. I più audaci, al pari d’insetti dai lunghi filamenti, si arrampicano sulle pareti verticali infiggendovi i loro aculei. Ma una mattina, tra la variopinta processione, le Crode vedono, con stupore, giungere al Pian de la Lòra una strana compagnia con vanghe picconi secchi setacci paline teloni picchetti cartelli. I nuovi venuti, piantata una tenda sul luogo dell’accampamento dei cacciatori di un tempo, si dedicano ad una serie di operazioni curiose: quadrettano con delle fettucce un tratto di prato, poi cominciano a scoperchiarlo, rovesciando e riponendo con cura lì accanto le zolle ritagliate con la vanga. È uno scavo archeologico. Alcuni di loro, inginocchiati sui bordi della zona decorticata, prendono ad asportare cautamente il terreno, scrutandolo pazientemente riempiendone secchi, che altri trasportano al vicino ruscello. Qui, altri ancora passano attentamente i sedimenti nell’acqua corrente con grandi vagli d’acciaio. Non cercano oro, come pensa qualche passante, ma ogni più piccola traccia di un mondo perduto. Lame, nuclei, trapezi: è Mesolitico, Mesolitico Recente. Lo scavo prosegue, alla scoperta degli ultimi cacciatori-raccoglitori delle Dolomiti.
E le Crode, incuriosite, stanno a guardare. ■
Piergiorgio Cesco Frare
e Carlo Mondini
DATI E CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
SUL SITO MESOLITICO DI PIAN DE LA LÒRA
(SCAVI 2007)
Con questo articolo si presentano ad appassionati e studiosi di preistoria alpina le ricerche archeologiche condotte sul sito mesolitico di Pian de la Lòra (Alleghe-BL) dall’Università Cà Foscari di Venezia (Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente). Tali attività sono nate per verificare la presenza di un deposito archeologico in situ lungo la porzione più meridionale della Val Civetta, in corrispondenza di un’area dove alcuni membri del Gruppo Archeologico ARCA di Agordo e dell’Associazione Amici del Museo di Belluno avevano rinvenuto in precedenza diversi manufatti litici di tradizione castelnoviana (Mesolitico Recente). Questi reperti di superficie, recuperati nel corso di prospezioni amatoriali, si concentravano in particolare su un piccolo dosso morenico a 1930 m di quota, interposto tra un’ampia zona umida e un bassopiano imbrifero localmente noto appunto come Pian de la Lòra. Valutate le possibilità di successo attraverso un’ispezione del Prof. Paolo Biagi sul punto dei ritrovamenti più significativi (giugno 2007), si è deciso quindi di effettuare un sondaggio stratigrafico alle coordinate 46°22’15” N, 12°01’02” E.
Previa autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, le operazioni di scavo sono state condotte dal 7 al 13 luglio 2007, sotto la direzione scientifica del prof. Paolo Biagi e il coordinamento sul campo dell’autore. Attraverso l’impiego delle attrezzature messe a disposizione di gruppi archeologici coinvolti, è stata complessivamente aperta una trincea di 12 mq, da cui è stato possibile riportare alla luce una collezione litica significativa e tipologicamente articolata, unitamente ad una piccola struttura di combustione a pozzetto. Secondo una metodologia efficacemente testata dall’archeologia preistorica, seppur disattesa talvolta nelle ricerche d’alta quota, il riempimento carbonioso di questa struttura è stato avviato all’analisi archeobotanica in vista della datazione assoluta di un campione rappresentativo. Nel corso dei lavori, il suolo scavato ha mostrato una potenza massima oscillante tra 15 e 30 cm, a seconda del settore planimetrico; una variabilità che è stata ricollegata alla naturale irregolarità del deposito crioclastico di base. Per tutta l’estensione della trincea, è quindi emerso un profilo pedostratigrafico essenziale, organizzato in un orizzonte superiore di colore marrone scuro (US1), marcatamente argilloso e associato ad una fitta trama di apparati radicali, sovrimposto ad un orizzonte più chiaro (US2), di norma più sottile, privo di radici e di matrice più grossolana. I residui carboniosi e le industrie litiche sono affioranti quasi esclusivamente in questo secondo livello più basso, mostrando, per colluvio post-deposizionale, una concentrazione più alta negli affossamenti naturali del letto roccioso basale.
Al termine delle ricerche, il bilancio dei risultati è parso estremamente positivo, senza contare il bagaglio di esperienze acquisito sul campo da tutti i partecipanti. Scavare a quasi 2000 m di quota ha comportato una costante ottimizzazione dei tempi e un notevole sforzo logistico, ma proprio per questo la soddisfazione finale è stata ancora più grande. Le scoperte effettuate sono risultate ben superiori alle aspettative iniziali, dimostrando inoltre come volontà, passione e sistematicità dei metodi applicati possano offrire, anche in tempi brevi e a basso costo, risultati scientificamente importanti. Gran parte del successo ottenuto nel recupero delle testimonianze della cultura materiale va certamente attribuito al perseverante utilizzo del vaglio ad umido dei sedimenti con setacci a maglie da 1,5 mm, reso possibile dalla disponibilità di un flusso costante di acqua proveniente dal troppopieno di un serbatoio imbrifero più a monte e defluente verso Pian de la Lòra.
A conferma delle idee formulate sulla base dei soli reperti superficiali, la collezione litica rinvenuta negli scavi è risultata omogeneamente inquadrabile nel Mesolitico Recente di tipo castelnoviano (ca. 8000-6500 dal presente - misura non calibrata), permettendo una collocazione dell’episodio di occupazione del sito durante il miglioramento climatico dell’Atlantico iniziale. Oltre a centinaia di schegge di lavorazione e numerosi supporti laminari non ritoccati, sono state infatti riconosciute le armature da freccia specifiche di questa fase, di forma trapezoidale asimmetrica. Ad esse si aggiungono non soltanto altri manufatti diagnostici sul piano crono-culturale, come lame ad incavo/denticolate, nuclei a stacchi laminari e tipici residui della lavorazione (microbulini), ma anche diversi grattatoi su lama, di solito rari tra i ritrovamenti mesolitici d’alta quota. In attesa dell’analisi tecnologica, tipologica e tipometrica delle industrie, sul piano strettamente funzionale non sono al momento possibili considerazioni ulteriori, se non la constatazione oggettiva, data l’altitudine del sito, di una intensa produzione litica laminare finalizzata al confezionamento di uno strumentario da caccia. In tal senso, è parso significativo anche il riconoscimento di almeno un percussore nell’insieme litico e il rimontaggio di diversi frammenti già nel corso dei lavori di scavo. Le interpretazioni paleoeconomiche risultano comunque limitate dall’impoverimento pedogenetico del deposito archeologico, dal quale non sono emersi né resti faunistici, né altri reperti di materiale organico.
Come parte integrante di strategie di sussistenza messe in atto da bande nomadi di cacciatori-raccoglitori, l’occupazione pre-neolitica di Pian de la Lòra doveva collocarsi all’interno di sistemi logistici ad elevata mobilità stagionale. Riprendendo alcune ipotesi formulate dagli studiosi per altri siti coevi di media e alta montagna, è possibile che la Val Civetta fosse toccata dagli itinerari venatori mesolitici tra la tarda primavera e l’inizio dell’autunno, quando, al di sopra della copertura forestale, lo scioglimento delle nevi apriva ai branchi di ungulati gregari ampi pascoli costellati da pozze naturali. La caccia d’altitudine a cervi, camosci e stambecchi poteva realizzarsi secondo modalità insediative diverse, difficili da cogliere sul piano archeologico. Considerando l’insieme litico e la sua posizione, esposta e panoramica, è comunque probabile che il sito studiato sia il risultato di un’incursione temporanea di alcune unità distaccatesi da un gruppo forse più ampio, accampato verosimilmente a quote minori. Più difficile è invece avanzare ipotesi sull’origine geografica dei frequentatori del bivacco. L’apparente assimilabilità della selce rinvenuta negli scavi con quella reperibile dalle più note fonti di approvvigionamento delle Prealpi Bellunesi e Trevigiane (Vallone Bellunese, Alpago, Cansiglio), suggerirebbe una loro provenienza da latitudini minori. Per quanto sia nota la scarsità di litotipi scheggiabili nei comprensori dolomitici, la sola osservazione delle materie prime può tuttavia essere fuorviante. Se da un lato, infatti, è credibile che cacciatori in esame fossero diretti estrattori della selce sfruttata, dall’altro non è escluso che questa potesse essere ottenuta anche da bande autoctone attraverso scambi con gruppi affini stanziati lungo la fascia prealpina o al margine pedemontano della piana alluvionale del Piave. Se ciò fosse vero, il sito potrebbe essere stato frequentato anche da soggetti di esclusiva origine locale.
A sostegno di entrambe le ipotesi, intervengono i più aggiornati bilanci delle conoscenze acquisite sulla presenza umana mesolitica nei territori in esame. In questo settore delle Dolomiti, infatti, non sono poche le località che hanno restituito industrie litiche culturalmente assimilabili a quelle di Pian de la Lòra. Tra queste, Forcella Alleghe e Forcella Pecol distano solo 6-7 km dal sito scavato, in direzione nord-est, ma nel raggio di 15-20 km incontriamo i sito di Mondeval de Sora VF1,VF2 e VF18, Forcella Aurine, Melei, Col de la Roda, Prà della Vedova-Pramperet, sempre in provincia di Belluno, e Colbricon IX e Passo Rolle appena oltre il confine veneto-trentino. Più a sud, lungo la fascia prealpina bellunese, non mancano testimonianze coeve a S. Antonio di Tortal, Col Moscher del Garda, Monte Faverghera, Cavalea, Riparo B di Villabruna, Fiammoi e in località Col Cavalin-Monte Serva, mentre svariati ritrovamenti di tradizione castelnoviana sono noti da tempo anche nell’area del Montello e presso il comune di Tarzo, ai margini settentrionali della pianura trevigiana.
Mappa dei siti del Mesolitico Recente
nelle Dolomiti, senza idrografia;
La variazione cromatica segna il superamento di quota 1900 m s.l.m.
(elabor. di C. Franco)
La frequentazione pre-neolitica di Pian de la Lòra deve essere letta nel contesto di un’antropizzazione estesa dalla Pianura Veneta al cuore delle Dolomiti. Quale fosse la relazione reale tra i diversi siti del Mesolitico Recente più sopra nominati, e i gruppi umani di cui sono traccia, è una questione tuttora aperta. Per paralleli etnografici, l’analisi di questi rapporti deve inoltre tener a mente che le testimonianze raccolte possono non indicare la contemporanea presenza di più bande su uno stesso territorio, bensì il passaggio di una sola o pochissime di esse nel corso di itinerari stagionali tramandati per generazioni e attuati attraverso tappe dalla funzione specifica. Da questo punto di vista, è significativo riconoscere quanto la Val Civetta sia ricca di situazioni topografiche per le quali da tempo i preistorici italiani hanno evidenziato un ricorrente valore strategico nelle strategie venatorie mesolitiche (selle, forcelle, terrazzi panoramici su passaggi obbligati, massi erratici, bacini lacustri).
Nello studio del Mesolitico Recente delle Dolomiti, le interpretazioni paleoeconomiche della distribuzione degli insediamenti e il loro inquadramento crono-culturale si sono spesso dovuti basare sulle sole industrie litiche di superficie. Sino al 2007, per la fase preistorica in esame, gli unici siti estensivamente scavati risultavano infatti Mondeval de Sora VF1 (Selva di Cadore, BL), Plan de Frea II e Plan de Frea IV (Selva di Val Gardena, BZ), di cui solo i primi due associati a datazioni assolute (R-1939: 7330 ± 59) uncal BP e R-2567: 7112 ± 121 uncal BP). In questo quadro, si inseriscono oggi le ricerche condotte in Val Civetta, sia come risposta alla scarsità di dati archeologici, archeobotanici e di cronologia assoluta, sia come pagina nuova nella storia delle ricerche sulla preistoria alpina. Sul periodo in cui Pian de la Lòra è testimone, segnato dal declino e dalla scomparsa degli ultimi cacciatori-raccoglitori dell’Italia nord -orientale in corrispondenza dell’arrivo delle prime comunità neolitiche dai Balcani, le domande cui rispondere sono ancora molte e altrettante le ricerche da condurre. Il lavoro svolto in questa prima campagna di scavi, frutto della determinazione e della passione di tanti, costituisce solo un piccolo passo verso la comprensione di quegli eventi, su cui l’analisi dettagliata delle industrie e le programmate datazioni assolute cercheranno di gettare nuova luce. ■
Carlo Franco
La trincea di scavo, 10 mq di estensione,
con saggio B visibile in alto al centro (foto di C. Franco)
Alcuni esempi della tipologia litica rinvenuta:
microbulini (1,3-6),incaviadiacenti a frattura (2), lame ritoccate (7-9), trapezi (13-15),
triangoli (16-17) e nuclei (10 e 18)
(disegni di C. Franco e G. Almerigoia)