di Francesco Laveder
Le antiche miniere dell’Alta Valle del Mis sono state oggetto negli ultimi anni di studi e ricerche che hanno fatto emergere nuove conoscenze storiche (1). Dal 2012 al 2014 il gruppo ARCA ha svolto tre campagne di scavo in località Le Loppe, ritrovando le tracce di un antico forno di fusione e l’ingresso di una miniera (2). L’origine del toponimo è da collegare al termine dialettale loppe, derivato dal latino faluppa, che significa «scoria di fusione» (3). La località, in passato indicata anche come Pian delle Loppe, situata nei pressi di Pattine e della confluenza del torrente Campotorondo nel torrente Mis, sulla sua destra idrografica, è compresa in un’area più vasta un tempo indicata genericamente come Vallalta (Figura 1). La presenza in quest’area di antiche attività metallurgiche è indicata anche da un altro toponimo, Costa della Fusina, che indica l’ultimo tratto di una pendice di monte che scende con continuità, dalla forcella Pelse a Campotorondo fino a Le Loppe, con a est il torrente Campotorondo e a ovest il torrente Lovatel. Il toponimo è noto sia per tradizione orale che scritta, attestato come Costa della fusina, Costa della Fucina e Costa fusina o fucina in documenti del 1622, 1676, 1686, 1732 e 1829, è nominato anche in due carte del 1713 e 1740 e localizzato esattamente nella mappa del 1855 del Catasto austriaco, nel comune censuario di Soranzen (4).
Localizzazione di alcune miniere in Alta Valle del Mis (carta IGM Gosaldo 1888-1926)
(sulla base di una tavola allegata allo Studio inedito di Aldo Bibolini del 1924)
1) Miniera di mercurio di Vallalta
2) Le Loppe
3) Pian de la Stua
4) Alla Lasta
5) Stalletta
Il ponte Marcoi, consentiva alla strada proveniente dal ponte di Titele,
di attraversare il torrente Mis prima di arrivare a Pian della Stua.
Marco Antonio Corniani degli Algarotti, direttore delle miniere di Valle Imperina agli inizi dell’ Ottocento, riferendosi a un’ antica miniera posta nel territorio di Gosaldo, che probabilmente corrisponde a quella di Le Loppe, scriveva che, volendo «prestare orecchio alle tradizioni», essa era posta «al discender d’una falda di monte in una valletta, che nel suo declinare, in certo modo, segna una linea equidistante alla valle Imperina» (5). Lo stesso Corniani, in un’altra relazione scriveva che «la denominazione di Costa Fusina deriva dall’ erezione in quella località di qualche forno o fusina per la fonderia di metallurgiche vene, che in vicinanza della valle estraevano» (6). Costa della Fusina divide in due parti equidistanti il versante montuoso posto sulla destra idrografica del Mis, compreso fra la confluenza del Pezzea (Forni-Macatoch) e la confluenza del Laonei (Titele-Bitti); quindi l’ equidistanza di questa costa, di cui parlava Corniani, esiste veramente, ma non con riferimento a Valle Imperina.
Per inquadrare meglio l’attività di ricerca svolta dal gruppo ARCA a Le Loppe, riteniamo utile riassumere le notizie storiche, edite ed inedite, relative alla fucina e alla miniera di Pian delle Loppe, integrandole con alcuni dei nuovi dati emersi dalle recenti campagne di scavo.
Le prime fonti storiche sulla presenza di una miniera in questa località risalgono al XV-XVI secolo; le prime attestazioni certe sono però solo del XVII secolo; l’attività mineraria, con fasi alterne, proseguì anche nel XVIII, XIX e XX secolo. Nelle recenti campagne di scavo nei pressi di Le Loppe sono state individuate due antiche roste, in cui avveniva l’ arrostimento del minerale, probabilmente estratto in loco; su campioni (uno di carbone e tre di terriccio carbonioso) prelevati da queste roste nel 2012 sono state eseguite delle indagini radiometriche che confermano una datazione dei carboni compresa fra i primi decenni del XV secolo e la fine del XVIII secolo.
1417 -1480. Non sono finora stati ritrovati documenti che indichino con certezza lo svolgimento di attività minerarie locali in questo periodo del Quattrocento, dopo il passaggio dell’Agordino sotto il controllo della Repubblica veneta, nel 1417. Si può tuttavia far notare che in Alta Valle del Mis, già dal 1452 sono documentati i Dalle Feste, insediati presso il filone metallifero di Bus di Gosaldo (oggi Le Feste), originari di Festi in Val Clusone nel Bresciano, probabilmente dei tecnici minerari; altri cognomi di addetti ad attività metallurgiche (Castelàz, Gadénz, Mattarèl) compaiono invece a fine Quattrocento e nel Cinquecento (7).
1480 – 1487. In questi anni sono documentate due investiture minerarie del 1480 e 1483 che riguardano il Canal del Mis, termine che in quel tempo indicava anche il tratto dell’Alta Valle del Mis compreso fra la confluenza del torrente Mis con i torrenti Pezzea e Laonei, quindi la zona di Vallalta e Le Loppe (8). L’attività mineraria in questo periodo fu promossa dai certosini di Vedana, in particolare dal priore Gregorio Trevisan, assieme ad alcuni patrizi veneti, con concessione della durata di 25 anni (scadenza nel 1507). Le datazioni al radiocarbonio sembrerebbero confermare l’effettivo svolgimento di attività di estrazione e arrostimento del minerale in questo periodo, almeno fino alla guerra con l’Arciduca d’Austria del 1487, che interessò anche questo territorio.
1502 - 1510. Lo sfruttamento di questa miniera, potrebbe essere stato ripreso, dopo i fatti di guerra, nei primi anni del Cinquecento, per opera di Giovanni o Hans Hegner detto Venediger, imprenditore di origine tedesca che «mercanteggiava di rame e di ferro» e che si stabilì a Tiser all’inizio del Cinquecento, ottenendo nel 1507 la concessione mineraria per lo sfruttamento delle miniere di rame di Agordo («possendi effodere ramina e mineris existentibus in Agord territorii Belluni»), ma che già da qualche anno prima, probabilmente dal 1502, aveva fatto costruire una fucina («seu metali colari facit suis edificijs») (9). Il collegamento fra l’attività metallurgica di Venediger in questa località e la miniera di Le Loppe è verosimile, ma non suffragato da prove certe; il fatto che la concessione sulle miniere di rame dell’Agordino a lui intestata risalga al 1507, anno della scadenza della precedente concessione fatta ai certosini di Vedana sul territorio Canal del Mis, lascia supporre che l’attività in loco del Venediger fosse stata in qualche modo approvata e appoggiata dagli stessi certosini.
1510 - 1542. Dopo i fatti della guerra cambraica che misero fine all’attività mineraria promossa da Venediger, per circa 30 anni tutto tace.
1542. GianBattista da Cologna, si impegna a «tuor tutta quella vena vechia» che da circa 30 anni si trovava abbandonata «al Mis dove soleva esser la fusina che faceva lavorar el Venadega Thodescho et sui compagni», definendo poi i dettagli di come pagare la decima sul rame ottenuto da questa vena o minerale di rame estratto da miniere locali (10).
1548. Zuan Francesco dalle Biave, notaio bellunese, concessionario nel 1548 della fucina posta sul torrente Mis, risulta anche proprietario della busa di San Zuane, che non viene però mai citata tra i documenti che riguardano le buse di Valle Imperina (11). Il collegamento fra questa busa e la miniera di Pian delle Loppe è solo ipotetico.
1548 – 1675. In questo periodo, di oltre un secolo, mancano notizie sicure sulla miniera di Pian delle Loppe, mentre si trova qualche informazione sulla fucina (vedi seguito).
1676. In quest’anno, il 7 maggio, viene concessa al Cavalier Zanetto Zanchi q.Domenico una «minera di rame e vetrioli», localizzata «nel monte dentro il cavo Vallalta loco detto alla Costa della Fusina sotto il territorio di Feltre trà Valalta e montagna detta Le Moneghe» con «Investitura al numero 351» (12).
Si tratta di una notizia inedita e della prima sicura attestazione della presenza di una miniera di rame nei pressi di Le Loppe e di Costa della Fusina. Bisogna sottolineare che quando fu istituito il Magistrato alle Miniere che ordinò il censimento e il rinnovo di tutte le investiture minerarie, nel periodo che va dal 1666 alla caduta della Serenissima nel 1797, il territorio di Vallalta, sulla destra idrografica del Mis, era in “territorio feltrino” ed era quindi stato assegnato al controllo del Vicario alle Miniere di Feltre. Il concessionario di questa miniera, Zanetto Zanchi, è verosimilmente il padre di quel Domenico Zanchi che, nei primi decenni del Settecento, fu Soprintendente alle Miniere di Agordo e primo promotore degli scavi per conto pubblico nella miniera di mercurio di Vallalta (1).
Si può supporre che fosse esistito un altro concessionario, dal 1666 al 1676 e che Zanetto Zanchi abbia mantenuto la concessione per 10 anni, dal 1676 al 1686.
1686. In quest’anno, il 27 gennaio, viene concessa
sa al «Domino Giacomo Fulcis di Beluno» una «minera dimostrante rame et altro metallo», localizzata «nel territorio di Feltre in luoco detto nel Monte dentro in Val Alta alla Costa della Fucina tra Valalta e le Monache, confina a matina Campo Torondo, a mezzo dì La Val delle Monache, à sera Aqua de Antpez e à settentrione la Rova di Zes» (12). Si tratta, anche in questo caso, di una notizia inedita, che conferma il ruolo della nobile famiglia Fulcis nell’attività mineraria agordina, prima della riorganizzazione mineraria del 1666, ma anche a inizio Settecento (13). Giacomo Fulcis risulta concessionario di una miniera di rame e chissi per vetriolo in Valle Imperina nel 1685 e fu anche Capitano di Agordo fra il 1689 e il 1690, dopo esser già stato Capitano di Rocca Pietore nel 1675 (14).
1790. Nel «Catastico delle montagne di Campotorondo e Vallalta», in corrispondenza della localizzazione di questa miniera si trova indicato il toponimo «busa» (15), posto nei pressi di un grande masso erratico, tuttora ben evidente.
1829. Rodolfo Hirsch, membro della Società Veneta Montanistica di Venezia, interessata allo sfruttamento delle miniere della zona di Vallalta, scrive una relazione in cui fa riferimento a una miniera di rame e argento, scoperta nei pressi di Costa Fusina e fa eseguire alcuni saggi analitici per verificarne la produttività (16).
1859. Giuseppe Alvisi, nella sua Storia di Belluno, descrive la miniera di mercurio di Vallalta, quella di ferro e parti di piombo argentifero a Pian della Stua e anche quella di rame a Le Loppe, riprendendo le notizie sui lavori della Società Veneta Montanistica in questa miniera (17):
«Ai piedi di Campo Torrondo, monte sovrastante a mattina e rinomato per le sue molte ammoniti, esistevano altre due miniere, di rame l’una, di ferro l’altra con parti di piombo argentifero. Quella di rame, quantunque se ne ignori ogni particolare di tempo e durata, pare abbia dato risultati migliori, a giudicare delle scorie tuttavia esistenti del minerale torrefatto pel non poco rame che ancora contengono. È tradizione, che una grossissima piena di acqua, circa un secolo fa, portasse via forni e fabbriche senza lasciarne traccie. Esisteva però a sinistra della valle, e lontana mille metri incirca da quella di mercurio; né manca speranza di rinvenirla; anzi a tal uopo si praticò dalla Società Montanistica veneta una galleria di ricerca, che corre già per oltre 56 metri.»
1922. Durante le ricerche svolte nel primo dopoguerra, subito dopo l’apertura della strada del Mis, iniziano gli scavi presso Le Loppe (18).
«Nell’indagine Pattina in valle del Mis, a Nord Est di Vallalta, venne aperta la galleria denominata Pian delle Loppe allo scopo di raggiungere dei vecchi lavori inaccessibili. Essa venne ubicata sulla destra del torrente Mis, presso la confluenza con la valle di Campotorondo, e raggiunse m. 103, senza incontrare né lavori antichi né tracce di minerale.»
1923. In quest’anno proseguono gli scavi iniziati nel 1922, alla ricerca di pirite, ritrovando tracce certe degli antichi lavori minerari (18), cioè «pozzi» (scavo verso il basso), «fornelli» (scavo verticale o inclinato più di 45°) e «rimonte» (scavo inclinato fino a 45°).
«Nell’indagine Pattina e Ponte Marcoi in valle del Miss, la galleria Pian delle Loppe in corso di escavo alla fine del 1922, venne proseguita e andò a sboccare in un’antica galleria aperta entro un filone quasi verticale di siderite con mosche di fahlerz della potenza di m. 1 a 1,50, che attraversa in direzione Sud-Est la formazione di schisti bianchi, addossata in quel punto a calcari. Tale galleria venne sgombrata e riattata e si trovarono vestigia di antichi lavori e cioè pozzi, fornelli e rimonte. A m. 130 dall’imbocco, la galleria si arrestò contro le arenarie variegate, senza incontrare tracce di pirite.»
Le indagini recenti condotte dal gruppo ARCA hanno permesso di identificare l’ingresso di questa galleria di scavo del 1922-1923.
Minatori al lavoro
da ‘De re metallica’ di Giorgio Agricola
1938. Durante le ricerche minerarie del periodo autarchico, un professore di geologia scriveva così, a proposito di questa miniera (19):
«Poco ad E di Pian delle Loppe, ove esisteva, a quanto riferisce la tradizione, la miniera più importante, il tempo ha cancellato ogni traccia dei lavori antichi. Da persone anziane del luogo è conosciuta l’ubicazione dell’imbocco della galleria principale. Anche qui, stando alle notizie storiche e considerando le condizioni geologiche che sono identiche a quelle di Pian della Stua, dovrebbe trattarsi verosimilmente di un giacimento filoniano iniettato negli scisti. All’esterno manca qualsiasi traccia del minerale estratto; al Pian delle Loppe, dove esisteva il forno per il trattamento metallurgico del minerale, sono invece frequenti le scorie ferrifere che molto spesso presentano inclusi cupriferi. Quest’ultima circostanza induce a pensare che anche il minerale del Pian delle Loppe fosse siderite almeno in parte cuprifera.»
1966. Prima dell’ alluvione di novembre, uno studioso tedesco, qui «trovò sul lato Sud del Mis a ovest della Valle Lovatel due imboccature di pozzo ricoperte da terreno alluvionale e smottamento, di cui una, per il suo rivestimento in muro e ciottolato, chiaramente apparteneva a una galleria principale» (20).
I reperti archeologici ritrovati durante gli scavi del gruppo ARCA nel complesso metallurgico posto in località Le Loppe dovrebbero consentire di disporre di nuovi elementi per una sua più sicura datazione cronologica. Al momento non esistono fonti scritte che documentino l’esistenza in questa sede di una fucina prima dell’inizio del Cinquecento.
1502 - 1510. Sappiamo, come già detto, che Hans Hegner detto Venediger in questo periodo era proprietario di una fucina per la prima fusione del rame, costruita nei pressi del torrente Mis, che restò attiva fino al 1510, quando i veneziani, durante le vicende della guerra cambraica, la danneggiarono sequestrando anche circa 1500 chili di rame, qui ritrovate il 25 agosto 1510 (9).
In questa sede ci sembra opportuno riferire alcune notizie inedite sulle origini e sulla sorte del Venediger dopo i fatti di guerra, che lo videro impegnato attivamente come filo-imperiale, avendo salva la vita, dopo la cattura, grazie al pagamento di 1500 ducati di taglia. Le origini del Venediger vengono specificate in un atto notarile del 1509, in cui è citato come «domino Joanni Venedega q.domini Pauli de Hegnelstat de Alemanea», nome probabilmente da riferire all’attuale Allensbach-Hegne, presso il lago di Costanza, al confine tra Austria, Svizzera e Germania, area nota per la presenza di miniere. È quindi probabile che il cognome Hegner faccia riferimento alla città di Hegne (Hegnel), da cui Venediger proveniva. In un altro atto notarile del 16 settembre 1510, poco dopo la cattura, la moglie «domina Isabeta, uxor ser Joanis Venedega» riferisce che suo marito si trovava nel carcere di Treviso («eius viri in civitate Tarvisii detenti et carzerati»); nell’atto notarile Isabeta nomina, finché non verrà liberato, un procuratore per i beni e per la casa del marito, posta «in riva Ardi» cioè sulle sponde del torrente Ardo a Belluno (21). Pare, in effetti, che il Venediger riuscì, grazie all’interessamento della moglie, a tornare libero, riuscendo a ritagliarsi ancora un posto nel commercio del rame. Nel settembre del 1512, in un documento relativo al pagamento dei dazi per il trasporto su zattera lungo il Piave di cinquanta botti di rame, si dice che una parte del dazio fu mandata «a Cao de Ponte in casa de ser Zuane Todescho» (22), che, probabilmente si può identificare con il Venediger. Il Vescovo di Belluno aveva il potere di riscuotere il dazio sulle merci che passavano dalla Muda di Capo di Ponte (Ponte nelle Alpi) e di altre mude del Bellunese. Dopo Bartolomeo Trevisan, morto a Venezia il 9.9.1509, il papa Giulio II nominò Vescovo di Belluno Galeso Nichesola, filo-imperiale, che prese possesso della sua sede solo per procura, entrando in città per la prima volta solo a pace definitivamente conclusa, nel novembre 1517. Venediger però era già morto, perché in un altro documento inedito del 1514 sono citati i «creditores hereditatis q.domini Joannis Venedega» (21).
1510 - 1542. La fucina resta in stato di abbandono e le scorie metallurgiche o «loppe», contenenti ferro restano sul terreno, nei pressi della fucina, dando probabilmente origine al toponimo.
1522. Si ha notizia di una richiesta di investitura per «una fusina da colar rame cum le sue rason de boschi» posta «in quelli loci distrecti del Mis» (23).
1537. Si ha notizia che «li muri e li coperti de la fusina hano cominzato a ruinar» e, per tal motivo, fu ordinato ad un tal Apollonio Gualdrin, imprenditore coinvolto dal 1536 al 1541 nell’attività mineraria agordina, di «dar principio et continuar ala reparazione de la dicta fusina» (24).
1542. La fucina viene riattivata e data in appalto a privati «con facoltà di recupero di tutta la vena estratta da tempo immemorabile, e lasciata abbandonata nelle zone del Mis» (24). Nell’atto di vendita di questo minerale, l’acquirente, Gian Battista da Cologna, oltre all’ acquisto del minerale abbandonato o «vena vechia» che da circa 30 anni si trovava abbandonata «al Mis dove soleva esser la fusina che faceva lavorar el Venadega Thodescho et sui compagni», compera anche «tutta quella lopa vechia» abbandonata «la qual è appresso la fusina soprannominata», impegnandosi a pagare la decima anche su questa lopa «in modo ditto da sopra dela vena che è al Mis che fu del Venadega» (10).
1545 - 1561. Nel 1548 Zuan Francesco dalle Biave risulta proprietario di «una fusina da colar vena cum un fuogo et un par de mantesi posta su lagua del Mis». Nel 1561 egli dichiara di aver «speso 16 anni in ricerche e sfruttamento di miniere nella pieve di Agort assieme a Dionisio di Agort» (25). Negli scavi del 2014 nel complesso metallurgico di Le Loppe è stata riportata alla luce la canaletta che doveva servire a contenere la ruota idraulica necessaria per azionare i mantici della fucina.
1570. I fratelli Pietriboni di Agordo, imprenditori minerari in Valle Imperina, dichiarano di possedere «edifitii e fusine da colar vene, far vetriol et altro in la Val d’Imperina et anco in Canal di Mis» (26). Un primo possibile affitto di questa fucina ai Pietriboni risale al 1549 (24). Negli stessi anni (1566-1574) i Pietriboni furono coinvolti in una vertenza giuridica per il taglio dei boschi di Vallalta, che avevano preso in affitto dai canonici del Capitolo di Feltre, probabilmente per rifornire la propria fucina sul Mis (27); ricordiamo che i carboni prelevati dalle antiche roste vicine alla fucina hanno un picco di attività compreso nel ventennio 1560-1580, quindi, verosimilmente nel periodo di gestione dei Pietriboni.
1580 – 1666. Non ci sono notizie certe sull’ attività di questa fucina negli ultimi decenni del XVI secolo e per tutto il XVII secolo. A questo proposito si possono fare solo ipotesi. Qualche indizio porta a ritenere che Bartolomeo Bontempelli dal Calice (1538 – 1616), ricco mercante veneziano originario del bresciano (Val Sabbia), avesse in appalto una miniera nel territorio di Agordo, a Vallalta (1). Nella seconda metà del 1500 si stabilirono in Alta Valle del Mis alcuni bresciani provenienti da Bagolino in Val Sabbia, assumendo poi il cognome Bressan (7). In quel periodo i bresciani erano l’elite tecnologica nella lavorazone del ferro, avendo introdotto l’uso degli altiforni "alla bresciana". Non sappiamo se anche la fucina posta a Le Loppe venne in questo periodo modificata in forno “alla bresciana”. Bartolomeo Bontempelli morì senza eredi diretti; una sua discendente, Santina Butta-Calice, figlia di Domenico Butta, nel 1641 sposò Giuseppe Crotta (1614 – 1666?). A livello di ipotesi si potrebbe quindi pensare che la gestione della miniera e della fucina a Le Loppe, attraverso il ramo dei Butta-Calice, fosse passata sotto la gestione Crotta, almeno fino al 1655, anno del bando di Giuseppe, dopo l’omicidio del fratello Giovanni Antonio, avvenuto il 2 settembre 1654. Giovanni Antonio aveva in precedenza preso in affitto i boschi di Sagron di sotto, in territorio di Primiero, poco distanti da Le Loppe, avvalendosi come «fattor o conduttor» di un tal «Piero Bressan» (28).
Negli ultimi decenni del Seicento la fucina potrebbe poi essere stata gestita prima da Zanetto Zanchi e infine da Giacomo Fulcis, concessionari della miniera di Costa Fusina.
1700. Un violento nubifragio si abbatte sull’ Agordino il 5 ottobre e i due tecnici inviati sul posto dal Magistrato alle miniere riferiscono che «tanta copia d’acqua, che, gonfiatosi sopra modo il torrente de l’Imperina, asportò due fucine e theazzi da vetriol di ragion del Fulcis et di Iseppo Morandi, poste in puoca distanza fra di loro, l’una da una parte, l’altra dall’altra della valle» (29).
Giacomo Fulcis risultava concessionario della miniera a Costa della Fucina nel 1686 e quindi, probabilmente, anche della vicina fucina, posta «dall’altra parte della valle» rispetto a Valle Imperina, cioè in Valle del Mis, a Le Loppe.
Sembrerebbe quindi che la distruzione a causa di un’alluvione della fucina a Le Loppe sia avvenuta nel 1700 e non nella più famosa alluvione del 1748, che spazzò via anche le fucine di Forno di Canale e creò ingenti danni in varie zone dell’ Agordino e del Primiero; le notizie riferite agli anni 1701 e 1744 (vedi seguito) indicano infatti che già in quegli anni la fucina non era più presente a Le Loppe. Il riferimento erroneo all’alluvione del 1748 derivava dalla notizia riportata dall’Alvisi (17), ma anche dalla tradizione orale, riferita da una fonte del 1856, secondo cui «un secolo fa» furono «interamente distrutte le fabbriche e i forni da una immensa piena di acque, che se ne portarono via ogni fondamenta ed ogni traccia» (30). Deve quindi essere interpretata con cautela, fino al ritrovamento di ulteriori conferme, anche la notizia riportata da un informatore locale, Savino Chiea, che fu minatore nelle miniere di Vallalta, che riferisce, secondo un racconto tramandato per tradizione orale familiare, che questa disastrosa alluvione ostruì e fece scomparire l’accesso alla miniera seppellendo «una ventina di minatori al lavoro».
1701. Il 3 ottobre di quest’anno i Deputati alle Miniere scrivono a Vincenzo da Riva, Capitano e Podestà di Feltre, una lettera inedita in cui si apprende «la notizia che in Valalta vi fosse ammassata quantità considerabile di loppe cioè materie dalle quali colandole si possi ricavar del rame come habbiamo concesso al nostro Soprintendente della Publica Minera posta in
Agort di portarsi sopra l’accennato luoco per riconoscere la situazione delle matterie unite sopra terra e la qualità delle medesime, così adempiute dallo stesso con puntualità l’incarico ci riferisce haver ricavato che il sito dove si trovano raccolte le dette loppe con il nome annesso, per il lungo del Mis possi esser tutto delli Canonici di costì» cioè di proprietà del Capitolo dei Canonici di Feltre. In un’altra lettera inedita, datata 28 novembre 1701, Vincenzo da Riva risponde ai Deputati alle miniere di aver appurato «com’il Capitolo di questi Canonici essista al possesso del sito in Vall’Alta dove s’ attrovano le loppe nelle predette accennatene», ma che «ho rilevato non havere li Canonici stessi investitura alcuna» (31).
Queste due lettere inedite sono la principale conferma che la distruzione della fucina a Le Loppe possa realmente essere avvenuta con l’alluvione dell’anno precedente.
1744. Arduino che visitò questo luogo in quest’ anno, riferisce di aver visto una «grande quantità di scorie delle miniere che colà escavavansi», ma non vide nessuna fucina, riportando invece la notizia che qui, nel 1570, si trovava la fucina dei Pietriboni e aggiungendo che «il metallo estratto dai minerali di questa valle, detta allora canale del Mis, era il rame» (26).
1785. Nicolò Zanchi, magistrato dei Deputati alle Miniere di Valle Imperina, in una sua relazione, riferendosi a «antiche notizie» e «antichi documenti», esprime «la certezza che le fabbriche fodinali erano situate a vicenda tanto nella Valle Imperina, come nella opposta Valle di Tiser» (32). Sono passati 85 anni dalla distruzione della fucina di Le Loppe e circa 110 anni da quando il bisnonno di Nicolò, Zanetto Zanchi, aveva ottenuto la concessione della miniera di Le Loppe.
1827. Nei primi decenni dell’Ottocento le scorie di fusione a Le Loppe furono viste dal Catullo «in una corsa fatta nella valle Pezèa, in compagnia del dotto e venerato mio amico il conte Corniani» (33).
1938. Il preside dell’I stituto Minerario di Agordo, che visitò personalmente il Pian delle Loppe, scriveva così (34):
« In questa zona non è stato nemmeno possibile rintracciare gli antichi lavori che, si presume, siano stati grandiosi a giudicare dalle grandi quantità di loppe che si rinvengono nella località alla quale hanno dato il nome ‘Piano delle Loppe’. Anch’io, l’anno testé decorso, ho potuto constatare la grande quantità di loppe passando nella Valle del Mis verso Vallalta. Degli antichi forni fusori, ivi certamente esistiti, non è rimasta alcuna traccia che possa offrire qualche luce sugli antichi lavori».
Meccanismo di trasmissione del movimento,
dalla ruota idraulica ai mantici.
1961. Un professore universitario riferisce, in uno studio pubblicato in quest’anno, basato sulle osservazioni fatte da Moretti nel 1938, che in località Le Loppe «scomparsa ogni traccia di antichi lavori minerari» furono trovate «scorie ferrifere, che presentano però degli inclusi cupriferi», facendo supporre che anche qui il minerale estratto fosse «siderite almeno in parte cuprifera» (35).
1966. Le scorie erano ancora visibili negli anni Sessanta, quando un autore di lingua tedesca così le descrive (20):
«Al Pian delle Loppe (Sclackenfeld) soprattutto sulla strada verso Vallalta, si trovano ancora frammenti di scorie pesanti, nere, un po’ porose, levigate, con alto contenuto di Fe e Cu in un’area molto diffusa, come riferimento a una fusione voluminosa. Qui a Vallalta non si trova nessun rame e d’altra parte nelle scorie non c’è nessun mercurio documentabile, escluso un terreno alluvionale di scorie di Vallalta lungo il fiume. Gli antichi forni devono essere stati situati tutti nelle vicinanze.»
2008. Indagini di superficie svolte dal Gruppo ARCA in quest’area, oltre al campionamento di minerale locale, di scorie di fusione e al fortunato ritrovamento di un frammento di rame semilavorato molto probabilmente fluitato da intense acque meteoriche o alluvionali, hanno consentito di effettuare ricerche archeometallurgiche che hanno permesso di stabilire che la loro composizione chimica è diversa da quelle di Valle Imperina, facendo ritenere che le scorie derivino da minerale estratto e lavorato nell’Alta Valle del Mis, dove i filoni cupriferi sono interessati da contaminazioni di metabasiti, cioè di rocce metamorfiche derivanti da rocce magmatiche basiche (36).
2012. La campagna di saggi di scavo condotta a Le Loppe dal Gruppo ARCA ha consentito di trovare sicure tracce di antiche attività metallurgiche, identificando il sito dove eseguire lo scavo nell’estate 2013. Gli scavi hanno portato alla luce anche un pezzo di vaso, identificato provvisoriamente come un “vaso da stufa” attribuibile al periodo medievale fra XV e XVI secolo (2).
2013. La campagna di scavo condotta a Le Loppe dal Gruppo ARCA ha permesso di identificare con sicurezza la localizzazione di almeno 2 antiche roste, in cui avveniva l’arrostimento del minerale, probabilmente estratto in loco; le analisi radiometriche di datazione eseguite, presso i laboratori di Caserta, su campioni (uno di carbone e tre di terriccio carbonioso) prelevati negli scavi del 2012 in corrispondenza di queste roste, hanno dato questi risultati:
- il campione di carbone è datato, con probabilità al 99%, in un periodo compreso tra il 1440 e il 1464; se la probabilità è aumentata al 100%, il periodo si estende agli anni compresi dal 1430 al 1489; i picchi centrali stanno entro il decennio 1450-1460; un periodo sicuramente antecedente alle prime notizie storiche documentarie sull’attività metallurgica in questo sito.
- un primo campione di terriccio è datato, con probabilità al 50%, in un periodo compreso tra il 1554 e il 1602; se la probabilità è aumentata al 100%, il periodo si estende agli anni dal 1477 al 1640; i picchi centrali stanno entro il ventennio 1560-1580, che corrisponde al periodo di massima attività della gestione Pietriboni.
- un secondo campione di terriccio è datato, con probabilità al 75%, in un periodo compreso tra il 1453 e il 1516; il picco centrale sta attorno al 1485, confermando in parte il dato ottenuto dal campione di carbone.
- un terzo campione di terriccio è datato, con probabilità al 50%, in un periodo compreso tra il 1763 e il 1801; il picco centrale sta attorno al 1780. Se il dato è reale e non frutto di bioturbazioni, indicherebbe che in quest’area si continuò a far fuoco con legna anche successivamente alla cessazione dell’attività della fucina.
La campagna di scavo del 2013 ha inoltre portato alla luce l’esistenza di resti di una costruzione in muratura di rilevanti dimensioni, con residui abbondanti di scorie metallurgiche (loppe) e rilevanti segni di deposito di materiale ghiaioso alluvionale proveniente dalla Valle di Campotorondo, proprio alla base di Costa Fusina.
2014. La campagna di scavo estiva ha confermato la presenza di un edificio con mura di rilevanti dimensioni, verosimilmente adibito a complesso metallurgico; è stata inoltre portata interamente alla luce una calchera annessa a questo edificio.
CONCLUSIONI. Riassumendo, sembra probabile che il minerale estratto dalla miniera a Le Loppe (siderite con mosche di fahlerz o tetraedrite, minerale che contiene in media un tenore di rame del 45 %) venisse qui arrostito e sottoposto alla varie fusioni. I dati radiometrici indicano che l’attività estrattiva e fusoria in questa località potrebbe essere iniziata già nel XV secolo, aprendo nuove prospettive di ricerca sul periodo antecedente all’attività del Venediger, che nella fucina di Le Loppe, produceva rame e scorie contenenti ferro, nei primi anni del Cinquecento. Miniera e fucina restarono attive per circa due secoli, con vicende alterne; l’attività della fucina cessò verosimilmente a causa di un’ alluvione che interessò il tratto terminale del torrente Campotorondo, prima della sua confluenza nel Mis, il 5 ottobre 1700. Non si può escludere, invece, che gli scavi minerari nei pressi di Le Loppe e qualche attività mineraria ad essi collegata, proseguirono anche dopo questa alluvione e fino alla fine del Settecento, quando in questa località veniva ancora segnalato il toponimo busa; nell’ Ottocento e Novecento le sporadiche attività di scavo eseguite localmente furono condotte principalmente per verificare la possibilità di sfruttare nuovamente con profitto la miniera, ma senza mai portare agli esiti sperati.
Francesco Laveder
Pian de le Loppe:
nello scavo del 2014 è venuto alla luce
il vano della ruota idraulica.