Jean Guilaine
LA MER PARTAGÉE
Il Mediterraneo prima della scrittura,
tra 7000 e 2000 anni prima di Cristo.
In questo numero ARCA presenta la seconda parte del capitolo VII del libro dal titolo La Mer Partagée, edito da Hachette-Littêratures nel 1994 e scritto da Jean Guilaine professore al Collegio di Francia, uno dei maggiori specialisti francesi del Neolitico. Riteniamo che, nonostante i dati utilizzati nel testo siano da far risalire a più di un decennio fa, il quadro presentato sul lento sviluppo dell’età del Rame, lungo tutto il perimetro del Mediterraneo e le sue più ampie adiacenze, sia del tutto valido e costituisca una vasta e approfondita sintesi del fondamentale passaggio fatto dall’Uomo verso il mondo attuale: quello di padroneggiare le tecniche del fuoco ai fini della produzione e dell’utilizzo dei vari metalli, fondamentale tra essi il rame. Si tratta di una sintesi di cui, sinceramente, sentivamo il bisogno.
Come metodo, Guilaine procede in modo sistematico all’analisi di un aspetto essenziale della preistoria, e cioè, la nascita delle sovrastrutture sociali conseguenti o parallele all’invenzione della metallurgia: le elite di potere, le strutture religiose, il controllo delle comunità, le accumulazioni di ricchezza, le stratificazioni di casta, etc. L’autore ci guida passo-passo, fondandosi sui dati di scavo dei maggiori siti archeologici dell’età del Rame fino a toccare il Primo Bronzo, entro realtà umane sviluppatesi attorno al mare Mediterraneo, dall’Iran al Portogallo e dall’Ungheria all’Egitto e al Maghreb. Nel testo egli sostiene inoltre che, più che analizzare aspetti della PREISTORIA, il periodo trattato SIA GIA’ STORIA e che la distinzione tra le due tappe dell’Umanità, solitamente basata sull’evento ‘invenzione della SCRITTURA’, vada rivista: la scrittura insomma, secondo l’autore, arriva troppo tardi; di conseguenza mancano documenti relativi a descrizioni, racconti, miti, riguardanti quello sviluppo che ormai è da considerare parte integrante dell’evoluzione culturale e della strutturazione del mondo moderno.
La seconda parte del capitolo che riportiamo interessa la zona di mondo che va da una linea ideale nord-sud che passa per l’Albania fino all’estremo Occidente europeo; questa cesura non è del tutto arbitraria: divide grosso modo le aree delle metallurgie più antiche del rame, originatesi nel VI-V millennio avanti Cristo nel Vicino e Medio Oriente e nel Mediterraneo dell’Est, da quelle più tarde del IV-III millennio, site nel Mediterraneo Occidentale fino a comprendere il Portogallo e il Maghreb africano. La prima parte del capitolo è stata presentata nel Notiziario ARCA n° 22.
Capitolo VII
Il regno del metallo:
l’età del Rame lungo il bordo del Mediterraneo
--- SECONDA PARTE ---
L’Adriatico: una frontiera?
Si è vista la precocità delle manifestazioni metallurgiche in tutta l’area balcanica. A questa espansione, nel V millennio, partecipa pienamente la civiltà di Vinça la cui area copre la Yugoslavia orientale(ora Bosnia, Nota.d.Red.), la Romania del Sud-Ovest e il sud dell’Ungheria. Ma questo complesso non raggiunge il Mediterraneo dove esso abbandona il campo a delle culture più specificatamente adriatiche. Precisamente, come reagì il mondo adriatico a questo antico sviluppo delle tecniche metallurgiche?
In Albania, il metallo fa la sua apparizione nel quadro dello sviluppo della civiltà di Maliq. Questo insediamento situato presso Korçe, nel sud del paese, presso la frontiera con la Grecia, era posto in una zona paludosa, e i suoi edifici in legno, qualche volta su pali, costituivano in parte una città lacustre. Vien da pensare che la terra fosse generosa poiché le popolazioni vissero in questi luoghi dal V fino al II millennio a.C.: vi si trova senza dubbio la sequenza più completa della preistoria albanese. Nella fase antica, i vasai di Maliq producevano una bella ceramica dipinta, a più toni (generalmente in bruno e in rosso su fondo chiaro). I motivi, sovente a spirale, evocano la cultura tessalica di Didimi, ma conservano una forte impronta autoctona, segno di una creazione senza dubbio parallela, che non esclude contatti. La metallurgia fa allora una timida apparizione.
A Kamnik, in un contesto probabilmente contemporaneo, è stata scoperta un’ascia piatta, lunga e spessa, che potrebbe essere il più vecchio oggetto in rame dell’Albania.
Poco dopo, nel corso della fase Maliq II, quando il vasellame dipinto declina, la metallurgia s’impone rapidamente. Sul sito eponimo stesso, è stata ritrovata una gamma variata di pezzi: asce piatte a bordi rettilinei o leggermente incurvati, ceselli o bulini, lame di sega (coltelli?), ami o ganci, aghi, lesine di sezione quadrata a due punte. Uno stampo monovalve in argilla e delle scorie di rame segnano l’indigenato di queste produzioni. L’origine del minerale sarà da cercare nelle aree cuprifere vicine (Rehovë). Certo alcuni pezzi caratteristici delle culture balcaniche, in particolare gli strumenti del tipo asce-martello o accette, sembrano qui sconosciuti. Tuttavia l’Albania orientale sembra ben integrata nel movimento metallurgico molto antico dell’Europa del Sud-Est. Nello stesso sito, di Maliq, il decollo della lavorazione del rame si colloca tra il 4500 e il 4000 a.C.
Queste conoscenze tuttavia non contamineranno le terre basse, e l’Adriatico rimarrà per un certo tempo una barriera all’espansione della metallurgia verso ovest. Alla stessa epoca, sull’altra riva del canale d’Otranto, in terra italiana, la brillante cultura di Serra d’Alto – la cui bella ceramica dimostra l’abilità dei vasai – continuerà ad ignorare le tecniche della metallurgia. Sulla costa est dell’Adriatico, la lavorazione del rame non avrà maggior successo: le popolazioni di Hvar-Lisicisi, in Dalmazia, resteranno insensibili a questi saperi. Si dovrà attendere, perché il rame s’impianti realmente nell’Adriatico orientale con la costituzione di altri orizzonti culturali (Peliesac o Nakovanska, Vecedol, Ljubljana.) alla fine del IV e il corso del III millennio. Verso la stessa epoca, questa regione subirà pure qualche impatto da popolazioni con ceramica cordata.
Il Mediterraneo centrale: una metallurgia lunga a nascere
Allorché, verso gli inizi e la metà del III millennio, il rame e le prime leghe vengono fuse a Creta, a Cipro e in Egeo e la costa mediterranea dell’Italia centrale e la Corsica si aprono alla metallurgia, il sud-est della penisola italica, la Sicilia e Malta rimangono poco recettivi se non refrattari alla lavorazione del metallo. In quel tempo, queste regioni hanno rotto con la civiltà di Diana che aveva dominato il Mediterraneo centrale nel IV millennio. Dal 3500 al 3200 a.C., a volte anche prima, sono fiorite piccole culture un po’ dappertutto: Piano Conte, San Cono-Piano Notaro e Conzo, in Sicilia, Zinzulusa in Italia del Sud-Est. I loro strumenti di pietra si apparentano già strettamente alle produzioni dell’età del Rame: si fabbricano delle punte di freccia a forma di foglia o a peduncolo, si sfaccettano bei coltelli in selce, impeccabilmente rifiniti, la cui moda si manterrà durante circa un millennio. Pure gli stili ceramici inaugurano i nuovi tempi. Nel mezzo di questo ambiente rinnovato la metallurgia tuttavia fatica ad affermarsi: il metallo non apparirà che lentamente e ancora in modo molto parsimonioso.
Pertanto, l’espressione stessa Età del Rame resta contestabile per molte delle culture sud-italiche che, tecnicamente si trovano ancora in uno stadio pre-metallico.
È così che, nel sud-est, le tombe a ipogeo della necropoli di Laterza non hanno fornito che una specie di pugnale a testa centrata prolungata e una lama con terminazione a forbice. Pugnale o emblema del capo?. Forse entrambi. Questo tipo di daga fu comune a gruppi siciliani contemporanei poiché un esemplare fu scoperto nella grotta di Chiusazza. Ugualmente, essa giunse fino alla Toscana (Monte Bradoni).
Sempre nelle sepolture di Laterza è stata pure trovata una decina di placchette rettangolari o a trapezio con fori per rivetti: si trattava di rasoi o di strumenti da toeletta ? Non si sa. Allo stesso modo sembra difficile caratterizzare la Sicilia che si rivelerà molto poco fornita di oggetti in rame, anche nell’epoca dei vasi campaniformi.
Nella stessa Malta la penetrazione del metallo fu tardiva. A parte la placca in oro fissata su una parure e la cui età rimonta all’epoca dei templi, non si sono scoperti insiemi metallici anteriormente al 2400-2300 a.C. D’altra parte ciò lascia ben aleggiare dei dubbi sulla verisimiglianza della teoria tendente, a cominciare dal III millennio, a considerare Malta come l’inevitabile punto di sosta e passaggio di trafficanti e di fabbri egei volti alla conquista dell’Ovest, facendo scalo nell’arcipelago prima di raggiungere la Spagna. Se così fosse stato, questi metallurghi avrebbero lasciato ben qualche traccia del loro passaggio. Allo stato delle conoscenze, la lavorazione del metallo appare posteriore al periodo dei templi, nella seconda metà del III millennio. A quel tempo vengono colate le asce piatte o con leggero margine, le lame di pugnale a rivetti, e la morfologia di questi pezzi si aggancia ormai a una primitiva età del Bronzo. L’origine di questi primi veri metallurghi non è risolta, ma una migliore conoscenza delle relazioni dell’arcipelago con le civiltà italiche della Prima età del Bronzo potrebbe permettere di chiarire questa questione. Dopo una fase megalitica prestigiosa ma refrattaria alle tecniche del rame, segue una brutale recessione. In seguito, questa volta senza alcun ritardo tecnologico, Malta prende il posto fra le culture metallurgiche dell’età del Bronzo del Mediterraneo centrale.
L’Italia peninsulare: balbettamenti e dinamismo
Come e da dove il metallo fece la sua apparizione sulla scena italiana?. Prima che alcune regioni acquisiscano molto rapidamente il controllo della fusione del metallo, alcuni dati, peraltro molto isolati, indicano esperienze precoci di una qualche ampiezza. È così che delle scorie di rame scoperte sulla acropoli di Lipari, nelle isole Eolie, in un livello della civiltà di Diana, sono il segno di un primo interesse per la lavorazione del metallo. È allo stesso periodo, nella prima metà del IV millennio, che occorre riferire qualche frammento di rame trovato nell’abitato di Santa Maria in Selva (Marche) e una lesina scoperta nel sito di Fossacesia (Abruzzi). Curiosamente, questi tentativi non sembrano avere avuto un seguito poiché si dovrà attendere qualche secolo prima che si produca un effettivo decollo della metallurgia, specialmente in Italia centrale.
E se si getta un colpo d’occhio sulla mappa della distribuzione delle prime civiltà della penisola italiana che svilupparono le vere tecniche metallurgiche, la loro dispersione geografica non può mancare di stupire. Le regioni che investono in modo netto nella fabbricazione di oggetti di rame sono la Campania, il Lazio, la Toscana e, a più alte latitudini, l’Emilia e la pianura lombarda. Altrove, verso la transizione dal IV al III millennio, la metallurgia è ignorata o debolmente presente. È dunque sul lato occidentale dell’Italia centrale che i primi fabbri si esprimono di colpo con il massimo vigore. Strana situazione, poiché se – come si è scritto sovente – le prime influenze nella lavorazione del metallo furono esclusivamente egee è sulla costa adriatica o nel sud-est che si sarebbero dovuti accendere i più antichi centri di fabbricazione di strumenti di rame. Ora, a parte il caso di Laterza e, inoltre, il lato tirrenico, non c’è altro: la generalizzazione della lavorazione del metallo marca il passo per un po’ di tempo. A meno di ammettere alcuni ritardi nella ricerca al di fuori di queste zone pioniere, ci si deve arrendere all’evidenza che non è avvenuta una diffusione equilibrata di certe tecniche, ma solamente la comparsa di qualche area privilegiata.
La cultura di Gaudo ( Campania), la cultura di Rinaldone (Lazio e Toscana), le culture di Remedello e di Spilamberto (Lombardia ed Emilia), ciascuna di queste civiltà possiede caratteri specifici: per esempio un gusto praticamente esclusivo per le sepolture in grotte artificiali nell’Italia peninsulare, una preferenza per le sepolture individuali nelle zone nordiche. Ugualmente, lo stile ceramico varia abbastanza da una regione all’altra. Al contrario, davanti a queste diversità regionali gli strumenti metallici da loro fabbricati dimostrano una certa omogeneità.
L’elemento più tipico è un pugnale a lama triangolare con nervatura o, al contrario, piatto, munito d’un piccolo codolo a trapezio, o quadrato, perforato per il passaggio di un unico rivetto per l’ immanicamento. Lo si ritrova nella regione di Napoli (necropoli di Buccino) come in Lombardia (tombe di Remedello), passando per la Toscana (grotte di Vecchiano). Una variante è costituita dai due pugnali di Spilamberto che hanno un codolo trapezoidale e una lama a spalle in corno. Altre daghe a codolo con tre o quattro perforazioni sono piuttosto una specificità dell’Etruria: Guardistallo, Gorgola, Ponte San Pietro, Fojano. Qualche pugnale a nervatura o no, hanno un codolo arrotondato – si parla qualche volta per loro di alabarde – o, al contrario, rettilineo e a più buchi di fissaggio. Li si possono incontrare nelle tre principali civiltà italiche dell’età del Rame (Gaudo, Rinaldone, Remedello). Un esemplare a tre rivetti proviene dal sito di Murgia Timone a Matera.
Le asce piatte dicono poco. Si trovano qualche volta nelle tombe di Remedello, di Rinaldone e di Conelle-Ortuchio a Mosanvito. Saranno precocemente dotate di bordi: Pomarance, Pienza. Più originali sono gli spilloni in argento, con testa a gruccia, di Remedello. Si deve infine sapere che qualche gioiello in antimonio è stato valorizzato dalle popolazioni toscane del III millennio. Si conoscono dei bottoni conici in una grotta funeraria di Monte Bradoni.
Le strette somiglianze sottolineate tra alcuni pezzi metallici dal nord della Calabria fino alla pianura del Po non devono però accreditare l’ ipotesi di una origine unica di fabbricazione. Le genti di Remedello hanno potuto utilizzare un rame con alta percentuale di arsenico. Il rame di Rinaldone è ricco a volte in arsenico ma pure in antimonio. Questo esempio sembra indicare immediatamente il ricorso a sorgenti mineralogiche diversificate.
Le Alpi italo-svizzere allo sbocco dell’Europa centrale.
L’Italia del Nord, con le sue culture di Remedello e di Spilamberto partecipa attivamente, verso la transizione IV-III millennio, allo sboccio di tecniche metallurgiche nel campo sud-alpino. A meno di ammettere un’invenzione ripetuta, è possibile che quest’area settentrionale abbia giocato un ruolo essenziale nell’introdurre la metallurgia in Italia. Si sono viste in effetti le difficoltà geografiche ad accogliere l’ipotesi di un influsso esclusivamente egeo; l’assenza di officine dinamiche lungo la costa adriatica, per produzioni ispirate dal mondo greco, è abbastanza eloquente. Perché dunque non supporre una penetrazione di prospettori, minatori, fonditori e fabbri provenienti dalle terre centro europee, attraverso le valli e i passi alpini?. Senza dubbio le Alpi costituirono per lungo tempo una barriera verso ovest e verso sud rispetto alle influenze delle civiltà del mondo danubiano e balcanico. La prova ne è che, se la metallurgia si installa molto presto – nel V e per tutto il IV millennio – in Bulgaria, Romania, ex-Yugoslavia centrale, Ungheria, Albania, la progressione verso Occidente della conoscenza del lavoro sul metallo, a partire da questo nocciolo-motore europeo, fu particolarmente lenta. Tuttavia, si opera una specie di contaminazione, precisamente nel mondo alpino, che permette la nascita di nuovi gruppi metallurgici più occidentali: Mondsee, in Austria, o, più a ovest ancora, Pfyn, in Svizzera. Diversi oggetti furono importati in certe paleo-comunità occidentali prima che si installassero nel mondo alpino dell’Ovest popolazioni definitivamente acquisite ai saperi della metallurgia. Non abbiamo forse scoperto in Svizzera nel sito di Bürgeschüsee-Sud, in un contesto tecnico di assenza del lavoro sul metallo, tutta una serie di perle di rame?. Le datazioni assolute collocano questi reperti all’intorno del 3500 a.C.
Nel corso del Neolitico finale, degli oggetti di rame compaiono in più siti: Vinelz, Lüscherz, Portalban. Situazione simile si produce in Italia del Nord, prima dello stesso emergere delle culture di Remedello e di Spilamberto. Un deposito di asce piatte in rame proveniente da l’Isolino, a Varese, ha forse una datazione molto antica. Queste annotazioni non valgono ugualmente per dei frammenti di oggetti di rame scoperti ad Attigio di Fabriano presso Verona, datati al passaggio tra V e IV millennio?. Infine, la recente scoperta nelle Alpi austro-italiane dell’uomo di Similaun, detto ‘l’uomo dei ghiacci’, apporta a questa raccolta dei dati nuovi. Nella buona stagione, sembra che il nostro frequentasse l’alta montagna, meno innevata di quanto si pensi, e questa non costituiva più una barriera intransitabile alle idee e alle tecniche. Precisamente, l’Uomo di Similaun, morto verso il 3200 a.C., era munito di un’ascia di rame, forse di fabbricazione italiana. Di sicuro, l’Italia del Nord e il mondo alpino occidentale non hanno ancora svelato i meccanismi che trasferirono, su queste terre, la pratica della metallurgia.
In tutti i casi – e Remedello lo dimostra bene – il lavoro sul metallo è qui divenuto effettivo alla fine del IV millennio. Si sono già evocati gli utensili o le armi scoperti in pianura Padana e ai suoi margini. La bella arte rupestre alpina offre in questo campo forse i dati più spettacolari. Le armi sono così frequentemente raffigurate sia su rocce all’aria aperta sia su stele di più regioni delle Alpi o della loro periferia: Sion, Aosta, Alto Adige, Lunigiana presso La Spezia. Sicuramente, la datazione delle incisioni su roccia comporta sempre una certa imprecisione, ma la morfologia degli oggetti rappresentata permette di venire a capo di tale handicap.
D’altra parte, la scoperta di certe stele nel contesto archeologico preciso, come a Sion (Svizzera) assicura correttamente la posizione nel tempo di numerose scene rupestri della Val Camonica o della Valtellina.
Si possono vedere su alcune stele della Lunigiana (Pontevecchio) o dell’Alto Adige (Lagundo I) delle incisioni rappresentanti una varietà di pugnali a lama triangolare larga, a bordi rettilinei o convessi. Queste daghe sembrano rifarsi alla fase di sboccio della cultura di Remedello, alla transizione IV-III millennio. La loro morfologia, comportante a volte una nervatura di rinforzo, la loro impugnatura stretta, il loro pomolo ad arco sottolineato, in qualche caso, da una linea di punti, li apparenta strettamente al pugnale in osso di Spilamberto e a certe lame scolpite sulle stele di Sion. Si conclude che i pugnali di metallo, più frequenti di quanto lascino credere le scoperte archeologiche, erano già largamente presenti tra il 3000 e il 2000 a.C. nella vita quotidiana. Di più, le armi o gli utensili raffigurati sulle stesse rocce, mal identificate rispetto ai documenti metallici noti, fanno pure parte della panoplia degli agricoltori alpini.
Fra gli altri pezzi legati ad una metallurgia primitiva, segnaliamo ancora qualche pendente originale costituito dall’assemblaggio di due spirali formate per arrotolamento di un filo di rame. Una di queste parure è raffigurata su una stele di Sion a lato di un pugnale triangolare. Se ne conoscono anche sulle rocce della Val Camonica (Masso di Borno). Questo genere di ornamento deriva, all’evidenza, da simili pendenti in rame noti, più anticamente, in Europa centrale: così nei depositi di Stollhof o di Male Levare, in Austria. Questo è un argomento in più per supporre l’avanzamento di alcune tecniche metallurgiche attraverso le valli alpine.
Le isole occidentali:
le iniziative Corse
Tra le isole del Mediterraneo occidentale, la Corsica sembra avere manifestato il dinamismo più vivo nella corsa alle pratiche metallurgiche. È così che a Terrina, tra Aleria e Casabinda, lo scavo di un deposito nel quale furono accumulati ossi di animale, dei ciottoli spezzati, delle conchiglie di ostrica, doveva anche rivelare dei resti di metallurgia arcaica. Sono stati trovati dei crogioli poco profondi, tenuti con grosse impugnature a manico di legno, dotati di un bordo intaccato per permettere il versamento del metallo liquido. Le pareti di questi recipienti conservavano ancora delle particelle di scorie o di patina ramosa. La pasta stessa di questi crogioli era vetrificata: può essere che nel loro confezionamento avessero usato un degrassante particolare. La scoperta di un tubo, forse modellato con impasto di argilla e paglia, sembra indicare che il metallo fosse riscaldato in forni.
Il carattere indigeno di questa metallurgia sembra fuori di dubbio. Il minerale trattato potrebbe provenire dalle miniere situate a una ventina di chilometri da Terrina (Matra, Tallone); dodici datazioni al radiocarbonio collocano questa piccola installazione tra il 3600 e il 2800 a.C.. Ma si tratta di datazioni estreme, e si dovrà senza dubbio tenere una forchetta oscillate più verosimilmente tra il 3400 e il 3000, cosa che conferma ugualmente la precocità in rapporto alla maggior parte delle officine dell’Ovest - Mediterraneo.
In tutti i casi, prese globalmente, queste datazioni sono più antiche di quelle della prima metallurgia toscana che si situa verso il 3100-3000 a.C. Come spiegare questa differenza dato che si potrebbe pensare che il lavoro del metallo abbia potuto essere importato dal continente?. Al di fuori di Terrina, la prima metallurgia del rame resta poco conosciuta in Corsica. Un’ascia piatta è stata scoperta a Pallaghiola (Gualdariccio ), ma non in contesto.
La Sardegna del IV millennio è ben meno ricca della Corsica. La cultura di Ozieri, molto brillante sotto diversi aspetti, caratterizzata per l’ ambiente sociale dinamico materializzato nei reperti dello scavo di grandi tombe collettive in ipogeo, ha superbamente ignorato la metallurgia. Solo qualche oggetto è ad essa attribuibile e per di più nello stadio terminale del suo sviluppo, verso la fine del IV millennio. Nella località di Cuccurru s’Arriu a Cabras, una lama di pugnale e parecchie lesine a sezione rettangolare provengono da abitazioni del settore F dello scavo: questi pezzi apparterranno a una facies di Ozieri tardiva. La metallurgia si impianterà lentamente nel corso del IV millennio terminando con i gruppi d’ Abealzu e di Filigosa. Si dovrà attendere qualche secolo per trovare, infine, grazie all’orizzonte di Monte Claro, una prima serie di produzioni caratteristiche. Si tratta di lame di pugnale o di punte di giavellotto a nervatura centrale e a codolo allungato, di sezione quadrangolare, come le daghe di una tomba di Via Basilicata a Cagliari, o della tomba 7 di Serra is Araus a San Vero Milis. I pezzi dovuti alla ingegnosità dei fabbri delle civiltà dei vasi campaniformi sono contemporanei. A questi lavoratori del metallo si possono attribuire i pugnali delle tombe di Anghelu Ruju o di San Bartolomeo. Meno caratteristici sono gli spilloni e una punta di freccia peduncolata, due placche
rettangolari, in rame, decorate, degli anelli d’argento di provenienza Anghelu Ruju, un pugnale a linguetta con due rivetti e un’ascia piatta da San Bartolomeo.
Al di fuori, dunque, di qualche tentativo realizzato verso il 3000 a.C., la Sardegna non ha conosciuto la lavorazione effettiva del metallo che verso il -2500. Nulla si oppose tuttavia a una nascita più antica della metallurgia, anche perché il centro dell’isola contiene un giacimento di rame di grande importanza, a Fontana Raminosa. D’altra parte, è senza dubbio il minerale estratto da questo giacimento che, nel II millennio, è servito a fabbricare certi lingotti a pelle di bue trovati in terra sarda. Perché questo distretto non sarà stato sfruttato, al modo dei giacimenti dei dintorni di Terrina, negli ultimi secoli del IV millennio?.
Le Baleari: quanto ad esse, restano al traino. Il Neolitico non è attestato se non in fase tardiva. E si dovrà attendere la fine del III millennio per vedere impiantarsi qui popolazioni che utilizzavano ceramica a decoro stampato o inciso nello stile campaniforme, senza dubbio sotto l’effetto di relazioni rafforzate con i paesi della Catalogna dove esistono recipienti identici.
Nel riparo di Son Matge, a Maiorca, questo orizzonte culturale s’accompagna ad una pratica evidente della metallurgia. Sono stati ritrovati una sessantina di spilloni, a differenti stadi di finitura. Si tratta, in generale, di modelli corti, varianti da 2 a 7 cm, qualche volta a due punte, di sezione rotonda, quadrata o appiattita. Venivano immanicati nel metacarpo o nel metatarso di caprovini. Residui d’ossido di rame sono stati ugualmente scoperti, aderenti alle pareti di alcuni vasi.
Queste manifestazioni si possono approssimativamente datare al 2300 - 2200 a.C. Verso la stessa epoca poteva circolare un modello di pugnale in rame a rivetti noto specialmente nelle tombe di Puig: sembra essere proprio di là il prototipo dei pugnali di bronzo che saranno largamente divulgati agli inizi del II millennio e di cui si ritroveranno dei buoni esemplari nelle numerose grotte artificiali di Maiorca o di Minorca.
La Francia del Sud:
un risveglio più lento?
Ci si interroga sulle date e sulle modalità della introduzione della lavorazione del metallo nella Francia del Sud. Sembra che questo processo prenderà avvio anche qui verso la fine del IV millennio, ma in modo meno vivace che nella penisola italiana e iberica. In tutti i casi, non si sono ancora descritte le grandi scoperte ben dotate di oggetti di metallo e la cui datazione sarà abbastanza nettamente anteriore al 3000 a.C. Ci si deve accontentare di qualche indice, raro e disseminato, trovato nei contesti del Neolitico Finale. Qui ancora, la comparsa delle prime tracce della metallurgia s’inscrivono in un netto rinnovamento economico, sociale, e culturale, adatto a favorire lo slancio. Verso il -3500, la civiltà chasseiana sparisce più o meno rapidamente. A dispetto dell’esistenza di facies regionali, la forte unità manifestata da questa cultura lungo tutto un millennio ha espresso la sua robusta coesione, senza dubbio favorita da strutture sociali ed economiche ben adattate ai bisogni dell’epoca. Ormai, un mondo nuovo si organizza. La ricomposizione si effettua su più piani: nuovi circuiti commerciali, dissodamento di terre ancora incolte, moltiplicazione degli abitati, brusco sviluppo di sepolture collettive. Questo rinnovamento, legato a una estensione del territorio coltivato, impose un più grande sfruttamento delle potenzialità locali, un contatto senza dubbio più forte col territorio e le sue possibilità. Così si spiega la messa in attività di officine regionali di estrazione della selce destinata prima di tutto alla clientela circostante.
Si può essere certi che in siti come Salinelles (Gard) o Murs e Malaucene (Vaucluse) furono messe a punto certe tecniche minerarie che permisero lo sfruttamento di numerosi giacimenti di rame del bordo del Massiccio Centrale e dei Pirenei. La fabbricazione artigianale di magli, che sovente possedevano una scanalatura di fissaggio, ne è testimonio. Questi robusti attrezzi potevano servire ad intaccare la roccia da abbattere: l’ipogeo da scavare, i pilastri megalitici che han dovuto esporre, gli arnioni di selce che dovevano liberare, le gallerie delle miniere dove si imponeva l’allargamento. D’altra parte, l’interesse che si è portato su certe rocce verdi o blu era già ben radicato. La ricerca sistematica dei minerali verdastri era stata una costante delle popolazioni del IV millennio. Scoprire i filoni di variscite e di turchese – come la si faceva secoli dopo a Gava – doveva immancabilmente sbocciare nella scoperta di altre rocce verdi – come la malachite – utilizzabili allo stato naturale ma suscettibili di essere scaldate e modificate. Questa lunga maturazione indigena non attende che uno scatto per fare dei nuovi progressi. C’è lo spazio per credere che le tecniche della lavorazione del minerale furono introdotte dopo rispetto al mondo italico o all’area iberica. Allo stato delle conoscenze, non è stata osservata la presenza di rame nativo, oggetto di una semplice martellatura fatta a caldo o a freddo. Le prime manifestazioni della metallurgia autoctona mostrano di colpo il ricorso al metallo fuso. Certamente, la lunga esperienza acquisita dagli indigeni nella osservazione delle rocce e del loro sfruttamento aveva largamente preparato le mentalità alla introduzione della metallurgia. Gli iniziati che comunicarono le loro tecniche alle popolazioni locali trovarono un terreno recettivo ai loro consigli.
Tuttavia l’interesse per gli utensili e gli ornamenti di metallo fu lento a manifestarsi e ciò pure nelle regioni favorevolmente dotate di cappellacci di filoni di minerale di rame, questi facilmente sfruttabili. Così le produzioni si svolgono in tempi un po’ diversificati. I pugnali sono delle piccole lame: grotta di Labeil o abitato di Roquemengarde, nell’Herault.
Un pugnale a rivetti dal dolmen di Pepieux (Aude) è più originale. Si son potute colare le prime asce piatte: grotta della Maddalena a Verrieres; grotta dei Maurous a La Vaquerie, Herault. Le lesine a sezione quadrata sono già fortemente apprezzate: dolmen di Ferrieres-les-Verrieres, abitato di Montferrand a Treviers, riparo di di Saint-Etienne-de Gourgas, abitato di Roquemengarde a Saint-Pons-de-Mauchiens, tutti questi siti si trovano nell’Herault. Lame meno tipiche (grotta di Sargel, Aveyron), degli spilloni (dolmen di Boun-Marcou, Aude) e, soprattutto, delle perle (grotta di Pas de Julié a Traves, Gard) completano la panoplia di questi primi fabbri. Si osserverà che tutte queste produzioni compaiono in zone ricche di minerali di rame – le Cevennes – o alla loro immediata periferia. È evidente che il fiorire delle tecniche metallurgiche fu facilitato senza dubbio dall’esistenza di giacimenti naturali. La presenza di più oggetti di metallo nel sito di Roquemengarde, in un insieme del 3000 a.C. circa, in prossimità del distretto minerario di Cabrieres, è un dato interessante, suscettibile di contribuire a invecchiare l’ introduzione della lavorazione del metallo nella Gaule du Sud.
È senza dubbio verso la stessa epoca, in effetti, che le miniere di Cabrieres sono state messe a sfruttamento. Qui è stato possibile trovare più siti riportanti dei magli da minatore con un peso oscillante tra 600 g e 5 kg circa. Nel luogo detto ‘Roque Fenetre’ è stata scoperta anche un’area di trattamento del minerale: tre fosse scavate nello scisto sono servite da bacino di lavaggio prima di essere reinterrate. Terminata questa fase preliminare, il minerale passava per altre fasi di lavoro.
L’età del Rame
dalla Provenza ai Pirenei
In effetti, verso il 2700-2600 a.C., nella Francia Mediterranea la metallurgia del rame è ormai fiorente. È nelle regioni meglio fornite di giacimenti cupriferi che i produttori d’oggetti metallici si espressero con massima fermezza, cioè originalità: il bordo delle Cevenne, già citato, la Montagna Nera, certe terre caussenardes (di altopiano), le zone pirenaiche e sotto-pirenaiche. Da questo punto di vista, la carta di distribuzione delle culture del sud della Francia ben dotate di oggetti di rame si accorda sensibilmente con le aree ricche di minerale. Tuttavia, si trovano ugualmente abbastanza numerosi pezzi di metallo in certe regioni periferiche, in particolare le pianure, sbocchi naturali delle regioni montagnose da dove fu estratta la materia prima. Così il corridoio Aude-Garonne o la bassa Languedoc, tra le altre.
Globalmente, la Provenza resta abbastanza sprovvista di oggetti di rame, riflettendo con ciò le limitate potenzialità minerarie. Strumenti di rame compaiono tuttavia nella prima metà del III millennio, facilmente provenienti da altre regioni. Così le lesine e i pugnali, a lama triangolare e a linguetta, trovati nel dolmen d’Orgon (Bouches-du-Rhône) sono considerati come delle importazioni nord-italiane. Lo stesso vale per i corredi di rame (asce, pugnali, pendenti) trovati nelle sepolture di Fontaine-les Puits in Savoia, e le cui affinità con la civiltà padana di Remedello sono probabili.
Per contro, altri strumenti od ornamenti hanno un carattere più locale. Così, a est del Rodano, le lesine del dolmen di Camdumy e di Verrerie-Vieille nella Var, o le perle dei megaliti di Muraires, di Roque d’Aille o di Verrerie-Vieille. Ma, a volte, si attribuisce loro un’origine dalla Linguadoca.
Poiché sono proprio la Linguadoca e i suoi prolungamenti caussenarde che di conseguenza appaiono come delle regioni pilota in materia di metallurgia. Nella parte orientale della Linguadoca, verso il 2700 a.C., la fusione del minerale era probabilmente realizzata in forni muniti di soffietti di cui si sono ritrovati i tubi: grotte di Peyroche II ad Aurioles, in Ardeche; grotta di Campefield a Sainte-Anastasie, Gard. Le produzioni più frequenti, attribuibili al gruppo di Font-Buisse, sono delle lesine e dei pugnali, questi si presentano con varietà abbastanza numerose: a volte piccoli e a losanga (grotta della Baumette a Cournonterral, Herault), a volte a lama triangolare e linguetta ben individualizzata (grotta di Louziere, Saint-Paul e Valmalle, Herault), a volte a lama triangolare e a codolo corto libero, qualche volta intaccata (villaggio di Font-buisse a Villevielle, Gard), daghe a codolo e lama da ogiva (grotta Saint-Joseph a Sainte - Anastasie, Gard), infine lunghi pugnali a lama fogliacea e nervatura mediana con o senza codolo (grotta 46 a Saint-Geniess-de-Comolas, Gard). Le asce piatte scoperte in stretta associazione con i corredi ben datati sono rari (grotta della Rouquette, Saint - Hilaire - de - Brethmas, Gard). Gli utensili più comuni sono delle lesine, a sezione quadrata, largamente diffuse dalla fine del Neolitico; sono qualche volta allungate come quelle del villaggio di Font-Buisse. Si conoscono pure dei ceselli da fabbro o da carpentiere. Gli ornamenti di metallo si collegano a diverse varietà: perle ad anello, discoidi, biconici, a botticella, a rigonfiamento mediano. Una delle originalità è costituita da un modello biconico a faccette multiple (grotta della Rouquette).
Sulle causse di l’Aveyron e della Lozere, per la metallurgia del gruppo di Treilles (o Rodeziano) si conferma la prima fioritura tra il 2700 e il 2200 a.C. e, può essere, anche dopo di questa ultima datazione. Si nota qui ancora una certa diversità dei pugnali: corte daghe a linguetta allungata e tacca di fissaggio (grotta della Graillerie a Verrieres, Aveyron); dei pugnali allungati a linguetta intaccata e lama in ogiva (grotta I delle Cascades a Creissel, Aveyron, tumulo X di Freyssinel, Lozere). Altri pezzi, a lama innervata su una sola faccia, hanno un codolo perforato per l’immanicamento: in Lozere, dei pezzi dal tumulo X di Freyssenel o dal dolmen di Saint - Georges - de - Levejac; in Aveyron, un pugnale dal dolmen della Gachette a Bertholene.
Nella parte occidentale delle Causses, altri oggetti di metallo sembrano dover essere attribuibili alla civiltà d’Artenac, un complesso dell’età del Rame la cui zona di diffusione privilegiata ricopre essenzialmente il bordo atlantico del Massiccio Centrale, le Charentes, la Vandea. Gli oggetti di ornamento in rame sono frequenti: perle circolari, biconiche, cilindriche; ma più specifico è un curioso pendente: una linguetta munita di un anello come a Ayveron e a Quercy. Citiamo pure una varietà di lungo spillone a testa arrotolata e gambo arcuato trovato nella grotta di Cujoul d’Armand a Penne, Tarn.
Sul bordo meridionale della Montagna Nera, nel corridoio Aude-Garonne, il Rossiglione e i Pirenei dell’Est, sono stati scoperti numerosi strumenti di rame. Le asce specialmente sono particolarmente numerose e di forme variate: dai piccoli esemplari di qualche centimetro a cunei di gran taglia (Saverdun, Ariege: 19,5 cm). Un deposito di asce trovate a Centeilles (Siran, Herault) comporta, assieme a asce di rame con leggero bordo, qualche abbozzo forse di lingotti. Ancora qui i pugnali presentano una morfologia variabile: a losanga (grotta di Festes, Tuchan, Aude), a linguetta intaccata (grotta delle Escaliers, Armissan, Aude), a lama ogivale innervata e codolo allargato (dolmen della Pierre des Couteaux, Bize, Aude). Le lesine a sezione quadrata sono ugualmente ben rappresentate (grotta di Monton, Corbere, Pirenei occidentali). Le perle sono soprattutto biconiche, di modello corto o allungato.
La penisola Iberica:
qualche nota preliminare
Con la penisola Iberica, entriamo in pieno in uno delle più importanti zone metallogeniche d’Europa. C’è da dire subito che l’inizio della metallurgia ha naturalmente beneficiato di condizioni del tutto eccezionali. Qui più che da altre parti si pone questa questione fondamentale: la lavorazione del metallo è dovuta ad una banale diffusione culturale oppure è il frutto della dinamica interna delle popolazioni locali?. Per poter rispondere in modo certo a un tale dilemma, si dovrà prima conoscere bene l’evoluzione delle civiltà iberiche del V e IV millennio: sono questi i tempi in cui si è pervenuti ad uno stadio suscettibile d’innescare il decollo della metallurgia. Ma entro i gruppi del Neolitico antico a ceramica impressa, nel VI millennio, e entro le belle civiltà della piena età del Rame centrate sul III millennio vivevano popolazioni ancora troppo poco conosciute. Messe da parte le tribù dette delle ’tombe a fossa’, impiantate in Catalogna, e all’ovest, e le comunità megalitiche atlantiche, il nostro approccio alle civiltà del resto della penisola è ancora troppo poco avanzato anche se le recenti ricerche hanno tentato di colmare l’handicap. In particolare è vero per tutte le comunità metallurgiche del sud-Est spagnolo (Almeria) di cui su ha qualche volta difficoltà a comprendere i differenti stadi evolutivi e cronologici. Per cui c’è da essere contenti della realizzazione di scavi stratigrafici recenti, che offrono delle lunghe sequenze, come quelle del villaggio di Los Castillejos a Montefrio, presso Granada, o, nel sud-ovest, quelli di Papa Uvas a Aljaraque (Huelva) e a Valencina de la Concepcion presso Siviglia. Solo questi lavori dovrebbero permettere nell’avvenire di sequenziare le minime trasformazioni della evoluzione delle società andaluse e a percepire a partire da quale stadio esse sono divenute esperte nell’arte della lavorazione del metallo.
Questo problema si supera infatti con una ricerca che approfondisca le relazioni tra le regioni metallifere e le scoperte archeologiche. A questo proposito, si può osservare che la carta di distribuzione delle più antiche asce di rame, attribuibili alla transizione IV-III millennio, combina perfettamente con quella delle regioni ben fornite di minerale: Almeria, Algarve, Estremadura, Alto-Alentejo, litorale di Beira. Diciamo che esiste una probabile relazione tra l’emergenza della metallurgia e le potenzialità locali. Non ci si stupirà dunque di vedere in queste due zone essenziali – il sud-est e il Portogallo – fiorire, a partire dal 3200-3000 a.C., due belle civiltà dell’età del Rame: Los Millares e Vila Nova de São Pedro. Ma queste culture non sono già troppo abbaglianti, e non mascherano forse un decollo più antico del metallo, ancora poco percettibile allo stato delle ricerche?. In altri termini, quando, nella penisola Iberica, iniziano a fiorire i primi grandi centri metallurgici, non sono essi la conclusione indigena di un lungo cammino, senza dubbio poco spettacolare se non oscuro e di cui il detonatore non diviene percettibile che nello stadio finale della sperimentazione, quando sono definitivamente padroneggiate le colate di grossi strumenti (asce, pugnali)?. La questione merita di essere posta e, di fatto, non è nuova. Già H. e L. Siret, alla fine del secolo XIX, avevano attirato l’ attenzione sul sito di El Garcel, in Almeria. In un contesto caratterizzato da corredi neolitici di tipo arcaizzante (vasi con fondo a punta, microliti) avevano incontrato delle scorie di rame attestanti un manifesto processo di lavoro sul rame. Certi autori hanno visto là i più antichi tentativi metallurgici della penisola. Altri, scettici, hanno invocato, in questo caso, la mescolanza di reperti neolitici con documenti di frequentazioni più recenti. Gli abitati, un po’ più tardivi, come il sito di Parazuelos, nella stessa regione, hanno fornito indici più netti ancora: punzoni, punte triangolari, ‘pugnali’, scorie. Ma questo sito è anch’esso anteriore ai villaggi della piena età del Rame?. Se non si giungerà a dimostrare l’esistenza di lunghi tentativi autoctoni di una metallurgia che si sta cercando, si dovrà pertanto ammettere la tesi di una diffusione della tecnica?.
Rimarchiamo a questo proposito che la questione di una influenza egea diretta sulle prime manifestazioni iberiche del lavoro sul metallo non sembra sostenibile.
Non è dunque più logico ammettere che le popolazioni sud-iberiche pervenute ad uno stadio d’evoluzione avanzato e col beneficio di dati mineralogici eccezionali non poteva che sbocciare in una brillante età del Rame ? Lo stesso si può dire, se il detonatore che innescò il processo fu esterno: per esempio la possibile introduzione della fusione del metallo o quella dell’uso di stampi bivalve, o anche il frutto di una reinvenzione locale, come ha sostenuto C. Renfrew, essendo presenti tutte le condizioni perché si manifestasse un vigoroso rinnovamento culturale. Così alla fine del IV millennio lo sfruttamento dei giacimenti di rame si innesca molto velocemente come lo dimostra, per esempio, la riscoperta di miniere antiche nel sud-ovest della Spagna, nella provincia di Huelva. Nella regione di Rio Tinto, centro di estrazione attivo anche al giorno d’oggi, presso il villaggio di El Pozuelo, sono stati recentemente studiati dei lavori minerari preistorici nel sito di Chinflon. Si sono trovate delle fosse lunghe parecchi metri e larghe 0,80 m dove è stata bruciata la roccia per meglio penetrare la massa di quarzo. Si incontrano un po’ dappertutto dei picconi e dei piccoli magli con scanalatura, in roccia vulcanica, rifiuti danneggiati di antichi minatori. Aimè!, questi primi sfruttamenti sono stati qualche volta scambiati non come estrazioni dell’età preistorica, ma per dei lavori quasi attuali. Sembra invece che l’essenziale degli strumenti di pietra ritrovati in superficie o nei sondaggi debba collocarsi alla epoca della più antica attività, cioè l’età del Rame. Utensili di selce trovati all’intorno e dei piccoli vasi trovati nello scavo di uno dei pozzi confermano questa impressione. Più tombe megalitiche formanti una piccola necropoli a poca distanza dalla miniera hanno fornito dei corredi di cui alcuni elementi – per esempio, una lesina di rame – sembrano contemporanei di reperti dell’area della miniera. In prossimità dei giacimenti, si sono scoperti i resti di un abitato o di un’area di lavoro.
La produzione di rame di Chinflon può essere stimata in decine di chilogrammi. È in tonnellate che si dovrà stimare la produzione attribuibile allo stesso sito in piena età del Bronzo.
Spagna e Portogallo:
produzione dell’età del Rame
Verso la fine del IV millennio a.C., il lavoro sul metallo si generalizza in più regioni della penisola Iberica: il sud-est (Almeria), il sud cioè Andalusia e Algarve, il Portogallo medio, l’Estremadura. Senza essere tenuti alla divergenza del fenomeno, le altre regioni della Spagna e del Portogallo mostrano per tutto il III millennio, produzioni molto meno numerose: la metallurgia le penetrerà spesso con un leggero ritardo rispetto alle province precoci del sud e dell’ovest. Questi centri, dove si accesero molto presto le prime forge, furono di colpo molto differenti le une dalle altre?. A considerare le loro produzioni non sembrerebbe. In effetti, a dispetto di piccole e inevitabili varianti tipologiche, gli strumenti di rame delle diverse province del Sud iberico sono molto avvicinabili tra loro. I pugnali comportano frequentemente una nervatura mediana di rinforzo; due tacche separano la lama dal codolo, questo breve, cioè molto corto. Si possono avvicinare alcune daghe trovate nell’acropoli di Alcalar, nel sud portoghese, al complesso di Los Millares. Le asce iberiche di questa epoca sono piatte, a tallone quadrato. Nel sud-est, i loro trancianti, leggermente ad arco e incurvati, sono poco sviluppati.
Nell’ovest e nel nord-ovest, i pezzi hanno piuttosto una tendenza allungata e rettangolare, svasando un poco verso la zona funzionale.
Qualche pezzo più originale completa questa panoplia dei primi oggetti iberici in rame. Piccole sgorbie, cunei, bulini, punzoni, ceselli dovevano essere di grande utilità, per il lavoro del legno o della pietra. Falci curve possiedono qualche volta una perforazione per il fissaggio del manico e provengono da Vila Nova de São Pedro; i loro trancianti si sviluppano sulla traccia convessa del pezzo. Delle vere seghe, a lama dentellata, sono note tanto in Portogallo che in Andalusia (Los Millares, Marroquies Altos, Jaen). Sono anche stati colati degli spilloni, delle lesine bipunta, degli anelli. Queste stupefacenti produzioni sono favorite dalla prossimità di terreni minerari e senza dubbio si è assistito all’avvio di un intenso sfruttamento dei giacimenti locali. Riesce la ricchezza metallifera del cappellaccio dell’Algarve a spiegare la quantità elevata di rame estratto da un sito come Santa Justa (quaranta pezzi)?. Crogioli e scorie sottolineano in questo caso il carattere indigeno delle produzioni. Il minerale utilizzato è di un rame leggermente arsenioso, benché si conoscano dei pezzi di rame puro. Sono verosimilmente esistiti degli stampi bivalve per la realizzazione di pugnali con largo rigonfiamento del tipo d’Alcalar.
Eccetto il sud e l’ovest, questa prima e brillante età del Rame resta ancora mal garantita nella penisola. Sugli altopiani centrali provincie intere hanno fornito solo documentazione di poca consistenza. Le zone periferiche (Pirenei, Catalogna, Valencia, zone cantabriche) hanno dato qualche pezzo, asce piatte essenzialmente, dall’aspetto arcaico. Ma si tratta sovente di scoperte isolate, e i legami con le civiltà locali e i siti stratificati sono difficili da afferrare. In questa constatazione, non si vede la semplice traduzione di civiltà globalmente meno brillanti di quelle del sud e dell’ovest?. Tutto pare indicare che, eccettuate queste due aree, la maggior parte della penisola, nonostante qualche testimonianza, ebbe ad uscire malamente dallo stato neolitico prima della formazione delle popolazioni a vasi campaniformi dell’età del Rame evoluto. È verso il 2500 a.C. che questi gruppi daranno luogo alla nascita di una metallurgia specifica. Si utilizzerà ormai esclusivamente un rame arsenicale, e la forgiatura sarà largamente praticata. Si produrranno allora punte di freccia a lungo codolo conico (detto ‘di Pamela’), pugnali a linguetta e a bordi martellati, qualche esemplare dei quali, tardivo, può essere considerato come un’autentica spada.
Orefici d’Occidente
L’Occidente, rispetto agli orefici egei del III millennio, non fa una bella figura. I gioielli d’oro e d’argento sono rari e abbastanza elaborati. Perle, anelli, piccole placche, fili rettilinei o ritorti sono gli ornamenti d’oro più frequentemente incontrati. Globalmente, l’argento è utilizzato con ancora più parsimonia. Il giro d’orizzonte di queste produzioni occidentali sarà dunque rapido.
La penisola italica sembra aver preferito l’argento all’oro. Nella civiltà di Remedello, il pezzo più originale - che non appare di tipo egeo - proviene da Villafranca Veronese. È una specie di bandana o di diadema a forma d’arco che, per la sua morfologia, potrebbe pure richiamare certe lunule irlandesi dell’età del Bronzo iniziale. Questa parure poteva essere fissata in fronte o sul pube, come un collare. La sua circonferenza è ornata da una linea impressa a sbalzo; la stessa tecnica è stata utilizzata per rappresentare, alle due estremità, un segno a psi: si è visto a volte in questo segno schematico un uccello in volo, ali dispiegate, o un personaggio con le mani alzate.
Dello stesso orizzonte culturale, lo spillone d’argento a testa di gruccia di Remedello resta del tutto eccezionale per la rarità del suo materiale. Degli spilloni simili fabbricati in osso esistono nella cultura di Gaudo. Le affinità di questi ornamenti sono piuttosto nord-orientali che mediterranei. Si conoscono certi esemplari, sempre in osso, nel sud della Francia: Donzere, Drôme; Vesseaux, Ardeche; le Prevel, Montclus, Gard. Ma il gruppo vicino più fornito è quello delle palafitte svizzere dove il contesto, poco preciso, sembra rinviare alla civiltà della ceramica cordata. Si trovano pure dei pezzi identici in Boemia. Ciò fa dunque prevedere delle affinità con i popoli delle asce da combattimento e si ricorda che in Ucraina, in periferia dell’area di stanziamento di questa civiltà, sono stati fabbricati esemplari in metallo a cui si sono potuti ispirare certi gruppi fratelli dell’Occidente.
Quando si saranno menzionate due perle cilindriche e un braccialetto di Gaudo, qualche perla sarda, si sarà fatto il giro delle produzioni italiane. A ovest, gli oggetti d’argento anteriori al 2000 a.C. sono pressoché inesistenti. Nella Spagna mediterranea, si dovranno attendere le bandane e i diademi della civiltà di El Argar, verso il 2100-1500 a.C., o, più tardi ancora, le tazze e le bottiglie del tesoro Villena, per meglio raggiungere le capacità degli artigiani occidentali.
L’oro ha maggiormente tentato i Mediterranei dell’Ovest. Certamente l’Italia è restata refrattaria a questo metallo. Per contro, il Midi della Francia e la penisola Iberica, approfittando delle loro possibilità in materia di oro nativo o di oro alluvionale, hanno fatto nascere qualche gioiello originale.
Nella Francia del Sud, dei piccoli oggetti d’oro (anelli, fili, perle cave, applique) fanno la loro comparsa tra gli insiemi del Neolitico finale, verso la transizione IV-III millennio: così nella grotta IV de Las Clausos a Auriac (Aude) o nel monumento di la Halliade a Bartres (Hautes Pirenées). Altri documenti più difficilmente databili poiché trovati nelle tombe collettive utilizzate a lungo si inseriscono senza dubbio nello stessa nicchia cronologica: tale è il caso delle perle delle sepolture di Saint-Eugene (Aude) o di Casteller (Bouches-du-Rhone).
La scoperta dell’oro nativo, con la raschiatura dei filoni superficiali oppure con lo sfruttamento alluvionale, ha senza dubbio facilitato l’emergere di queste piccole antiche produzioni. È allora un’epoca di piena evoluzione tecnica nel corso della quale la lavorazione del metallo è in via di affermazione. In questo contesto, la scoperta più interessante è avvenuta a Pauilhac, nella Gers, purtroppo più di un secolo fa (1865). In una sepoltura, sette perle d’oro, oggi disperse, s’associano a un diadema dello stesso metallo, di forma a losanga, lungo 20,8 cm, sottolineato nel contorno con una linea di punti a sbalzo; due altri tratti ritagliano il gioiello in senso longitudinale. Questo bell’ ornamento del corpo può sostenere la comparazione con alcuni pezzi d’oreficeria scoperti nelle tombe cretesi del Bronzo antico, ma potrebbero essere nettamente più antiche. Il corredo che accompagna questi reperti, è purtroppo, incerto. Si dice che queste parure d’oro siano stata trovate con lunghe lame di selce, con pendenti in zanne di cinghiale, due belle asce polite in roccia verde. Questi elementi, specialmente gli ultimi citati, sono dei buoni indicatori delle culture occidentali del Neolitico medio.
Certe volte si è aggiunto che queste tombe contenevano i resti di un cavallo, verosimilmente domestico. Ora, dei cavalli domestici esistevano in Europa centrale nel IV millennio e in queste regioni si adottò presto il costume di disporre questi fedeli compagni nelle sepolture, a lato dei loro padroni. Le tombe di Pauilhac potrebbero dunque aver costituito in Francia il ricettacolo di una delle prime manifestazioni della lavorazione dell’oro, di asce da parata identiche a quelle dei grandi tumuli bretoni e di una carcassa di cavallo. Se tutti questi documenti sono proprio contemporanei, questa tomba risalirebbe a circa 4000 anni a.C.!
La penisola iberica, e specialmente le terre del sud, toccate precocemente dalla pratica del lavoro del metallo, hanno fatto così nascere delle produzioni originali d’oreficeria. Qui in modo particolare, la ricchezza naturale in rame e in metalli preziosi del suolo e del sottosuolo ha facilitato le cose. Così la maggior parte dei giacimenti furono oggetto di prospezioni e sfruttamenti sistematici nel corso del tempo protostorico e antico. È alla fine del IV millennio che fanno la loro comparsa dei gambi spiralati, degli anelli, delle piccole lamelle martellate e qualche volta decorate: così è nel tholos di Barro, in una delle tombe d’Alcalar o negli ipogei di São Pedro de Estoril, in Portogallo, nelle tombe de la Canãda Honda o della Canãda del Carrascal, nel tholos di Matarubilla, nella provincia di Siviglia, nella tomba I di Loma de Belmonte nel sud-est. Tuttavia, questi monumenti sovente sono stati riutilizzati verso il 2500-2300 a.C. da popolazioni a vaso campaniforme, particolarmente sensibili al fascino dei gioielli e delle parure in oro. Oggi dunque non si sa se tali perle o tali lamelle d’oro sono attribuibili alle popolazioni dell’inizio della età
del Rame o ai loro successori.
È il caso di alcuni diademi, trovati in una sepoltura di Montilla, nella provincia di Cordova, o ancora quello della tomba di Quinta da Agua Branca a Santa Maria de Lobelhe, in Portogallo. A dispetto di queste difficoltà, le osservazioni attestano a volte la lavorazione dell’oro prima dell’emergere della cultura dei vasi: i due pendenti d’Ermengeira, in Portogallo, tavolette d’oro decorate da due linee periferiche a sbalzo e terminate con dei nodi, sono generalmente attribuite a una fase precoce del lavoro sul metallo.
Altri pezzi hanno un contesto ancora impreciso: Neolitico finale?; inizio dell’età del Bronzo?. Così è per il famoso diadema della grotta di Los Murcielagos de Albuñol ( Granada ). È una placca di oro martellato, senza alcun decoro, più stretto alle sue estremità ciascuna forata da due buchi per il legame di fissaggio. È lungo 65 cm per una larghezza massima di 6 cm e poteva essere montata su una banda di cuoio o di pelle. Si scoprì questo pezzo unico sul seno di un personaggio semi-mummificato. Gli inizi dell’oreficeria iberica furono dunque promettenti senza che questo territorio, tuttavia vasto, fosse stato così fertile come allora lo fu il mondo egeo. È infatti nel II millennio che si affermerà, in varietà come in quantità, il talento degli orefici. A El Argar, tuttavia, l’argento dominerà l’oro: le tombe di questo villaggio non hanno fornito meno di trecentoventi oggetti in argento – contro solamente sei in oro – tra cui dei diademi di grande qualità. Ma è il celebre tesoro di Villena che, con le sue scodelle d’oro, le sue bottiglie d’oro o d’argento i suoi braccialetti massicci battuti e i suoi scettri, inaugurerà nella preistoria iberica una tradizione d’oreficeria di alto livello. Nel I millennio, il sud-est, regione del leggendario regno di Tartessos, porterà questa gioielleria verso altre vette.
Ad ovest del Maghreb:
un impatto iberico?
Un tempo, i meccanismi d’introduzione della metallurgia in Africa del Nord sembravano chiari: verso il 2500 a.C. dei contatti con la penisola Iberica, dovuti a delle popolazioni che utilizzavano ceramiche campaniformi, avrebbero trasmesso al Maghreb occidentale le conoscenze necessarie per trasformare minerale in metallo. Gli elementi della dimostrazione erano ancora rari ma eloquenti: un pugnale di rame trovato a Chenoua, presso Algeri, delle punte metalliche del tipo ‘de Pamela’ repertoriate a l’Ain Dahlia a El Mriet, nella regione di Tangeri, a Karrouba o a La Stidia, presso Mostaganem, più resti di vasi a ornamentazione campaniforme in Algeria e, soprattutto, in Marocco.
Ora, al giorno d’oggi l’ipotesi sembra messa male per la scoperta di reperti che possono rapportarsi a una metallurgia ben più antica. È così che in Marocco, nella grotta di Kef-el-Baroud, presso Ben Slimane, nella Chauia, si sono portati alla luce, in questi ultimi anni, tre oggetti di rame: due lesine a sezione quadrangolare, e un’ascia piatta. Quest’ultimo pezzo e uno dei due punzoni furono malauguratamente ritrovati fuori contesto. In cambio, l’altra lesina era collegata con una occupazione della cavità, datata, dopo correzione, tra il 3800 e il 3400 a.C.
Certamente è necessario che dei nuovi siti vengano a portare conferma a questi risultati del tutto spettacolari – per l’Occidente – ma ancora troppo puntiformi.
I pezzi scoperti a Kef-el-Baroud non sfigurerebbero, per la loro morfologia, tra gli insiemi sud-iberici dell’età del Rame. E si sarebbe tentati di evocare relazioni ancestrali, attraverso lo stretto di Gibilterra, tra le terre del Marocco e quelle dell’Andalusia, alcune almeno del VI millennio. All’età del Rame, tali spostamenti potevano essere molto ben legati alla circolazione di prodotti determinati: si sa, per esempio, che le esportazioni di avorio africano o i gingilli in guscio d’uovo di struzzo hanno avuto luogo verso il Sud–Est iberico. Perché un commercio di ritorno non avrebbe potuto portare dalla Spagna e dal Portogallo, degli oggetti fabbricati in rame?. Se un tale schema si confermasse, si dovrà ammettere, per la metallurgia iberica, un decollo nettamente più antico, di qualche secolo, di quello che si ammette abitualmente: attorno al 3200 a.C. Ma si può pure domandare, in un tale scenario, se le date di Kef-el-Baroud non debbano essere ringiovanite. Osserviamo anche che altri pezzi maghrebini in rame hanno una morfologia antica: così un’ascia piatta, non localizzata, del museo di Tetuan, o un’altra trovata nell’Hued El Akrech, presso Rabat. Per contro, due altre asce piatte, a trancianti incurvati, una di Columnata, presso Tiaret, l’altra a Karrouba ( Mostaganem) non dovevano appartenere che ad una fase evoluta dell’età del Rame.
Non è certo che la lavorazione del metallo, in Marocco, abbia un’origine esclusivamente iberica. E l’esistenza di una metallurgia fortemente antica nella parte occidentale del continente africano merita di essere sottolineata. Si potrà pensare che gli effetti di questa paleo metallurgia ovest - africana abbia potuto farsi sentire fino alla zona mauritana e marocchina. Ricordiamo che, nella regione di Agades, nel Niger, forni, contenenti a volte scorie di rame, sono stati costruiti all’inizio del III millennio. Ma queste datazioni restano ancora più recenti di qualche secolo di quelle ottenute a Kef-el-Baroud. Di più, si ignora quale tipo di oggetti producessero allora gli artigiani nigeriani, cosa che ci priva di possibili comparazioni con il rame marocchino. L’ipotesi iberica resta dunque, allo stato, la più verosimile.
l Mediterraneo e il ‘peso’ del metallo:
alcune situazioni brillanti
La comparsa della lavorazione del metallo, e particolarmente il più diffuso tra essi, il rame, risponde a situazioni estremamente variate. Alcune regioni hanno potuto essere il teatro di esperienze antiche, ma che hanno in seguito progredito poco; altre zone hanno visto la fioritura di una metallurgia precoce e, di colpo, passare a una forte dinamica; in altre ancora, l’uso del metallo non si è imposto che più tardivamente, con un successo certo o, al contrario, mitigato. Esistono pure delle terre che ignorano l’uso del rame: Malta per esempio. Sarà dunque semplicistico vedere nella adozione della metallurgia uno stadio irreversibile e rapidamente diffuso da un capo all’altro del Mediterraneo. No, sono esistiti degli stati molto diversi con forti disparità cronologiche, accelerazioni rapide, periodi di calma, oppure declino spesso inspiegabile. Ritorniamo su alcuni casi.
La Turchia apre certamente la via nei balbettamenti della lavorazione del rame: dall’8000 al 7000 a.C., anteriormente alla conoscenza, su queste terre, della ceramica. Tuttavia la maturazione sarà lunga, molto lunga poiché il punto ottimale della paleo-metallurgia turca non sarà raggiunto che nel III millennio
Nel frattempo, i Balcani avevano distanziato, grazie al loro dinamismo e alle loro riserve minerarie, i fabbri anatolici. Nel 4500 a.C., l’Europa centro-orientale splendeva di una luce particolare: i pesanti strumenti di rame e gli ornamenti d’oro più sofisticati erano prodotti in abbondanza e largamente diffusi. Verso il 4000 a.C., anche la Palestina genera, a lato di qualche buon utensile, straordinari pezzi cerimoniali destinati alla tesaurizzazione. In seguito è il turno dell’Egitto di sorpassare i primi tentativi locali per giungere, verso il 3500 a. C., al punto di non ritorno nelle pratiche metallurgiche. I Balcani poco dopo conoscono una forte recessione e i grandi centri metallurgici si spostano verso est: la Turchia e il Caucaso saranno di conseguenza centri attivi di produzioni ineguagliate. Mentre nell’Europa balcanica la metallurgia del rame conosce una brusca rarefazione, all’incirca nel 3200-3000 a.C. dopo molti tentativi senza grandi effetti, sembrano accendersi i focolai mediterranei: Creta, le Cicladi, l’Italia peninsulare, la pianura Padana, la Corsica, il sud della penisola Iberica sono ormai sedi di officine attive, di irradiazione certa. Si vede come la prima via metallurgica del Mediterraneo sia stata complessa.
Ma, al di là di questi sviluppi successivi e vari, conviene riflettere anche sulla durata di questi periodi ‘Calcolitici’ o di queste antiche età del Bronzo, quest’ultime rimanendo, tecnicamente, periodi dominati dal rame. Nei Balcani, l’età del Rame si è installata per più di due millenni: iniziata verso il 5000 a.C. con una fase di ascensione rapida, proseguirà fino verso il -2500, nel quadro di una produzione molto rallentata. Sono esistite ‘età del Rame’ di durata più ristretta: in Italia, in Francia, in Spagna, in Sardegna, il primo metallo sarà re durante un millennio circa, tra il 3200 e il 2200 a.C. A Malta, la prima metallurgia conosciuta sarà quella del Bronzo verso il 2300 a.C.
L’abbandono, rapido e progressivo, della lavorazione del rame, a profitto del bronzo di stagno, sarà caratterizzato da minori disparità cronologiche. Certamente, la Mesopotamia marca qui una precocità del tutto particolare e, nel III millennio, questa lega farà la sua comparsa in Anatolia, nel Levante e nell’Egeo del Nord-Est. Ma altrove, la generalizzazione del bronzo non si realizzerà che intorno al 2000 a.C. e, a volte, più tardi.
Per concludere la lista di questi comportamenti eterogenei, si segnalerà l’antichità – ancora una volta – della Turchia in materia di paleo-metallurgia del ferro: nel III millennio, qualche oggetto di ferro è già presente in rare sepolture anatoliche. Gli Ittiti perfezioneranno presto i procedimenti di fabbricazione di questo nuovo metallo e appariranno, agli occhi del mondo, come gli inventori della siderurgia.
Traduzione di
G. Fogliata