Jean Guilaine

 

LA MER PARTAGÉE

 

Il Mediterraneo prima della scrittura, tra 7000 e 2000 anni prima di Cristo.

 

In questo numero ARCA presenta la prima parte del capitolo VII di un testo edito da Hachette-Littêratures nel 1994 e scritto da Jean Guilaine professore al Collegio di Francia, uno dei migliori specialisti francesi sul Neolitico. Riteniamo che, nonostante i dati utilizzati nel testo siano da far risalire ad un quindicennio fa, il quadro presentato sul lento sviluppo dell’età del Rame lungo tutto il perimetro del Mediterraneo, e le sue più immediate adiacenze, sia del tutto valido e costituisca una ampia e approfondita sintesi del fondamentale passaggio fatto dall’Uomo verso il mondo attuale, quello del padroneggiare le tecniche del fuoco e poi della produzione e dell’utilizzo dei vari metalli, fondamentale tra essi, il rame.   Una sintesi di cui sinceramente sentivamo il bisogno.

Come metodo Guilaine procede in modo sistematico all’analisi di un aspetto essenziale della preistoria, e cioè, l’invenzione della metallurgia e le sovrastrutture sociali ad essa conseguenti: le elite di potere, le strutture religiose, il controllo sociale, le accumulazioni di ricchezza, le stratificazioni sociali, etc. L’autore ci guida passo-passo, fondandosi sui dati di scavo dei maggiori siti archeologici dell’età del Rame, fino a toccare il Primo Bronzo, siti distribuiti attorno al mar Mediterraneo, dall’Iran al Portogallo e dall’Ungheria all’Egitto e al Maghreb; egli sostiene inoltre che, più che analizzare aspetti della PREISTORIA, il periodo trattato sia già STORIA e che la distinzione tra le due tappe dell’Umanità, basata sull’evento "invenzione della SCRITTURA", vada rivista: la scrittura insomma  arriva troppo tardi per cui non ci sono documenti scritti di quello sviluppo che ormai è da considerare parte integrante dell’evoluzione culturale umana e che struttura il mondo moderno.  

La prima parte del capitolo che riportiamo riguarda l’ampia zona di mondo che va dall’Iran fino ad una linea ideale nord-sud che passa per l’Albania: questa cesura non è del tutto artificiale; divide grosso modo le aree delle metallurgie più antiche, originatesi nel VI-V millennio avanti Cristo all’Est e nel Mediterraneo dell’Est, da quelle più tarde del IV-III millennio, site nel Mediterraneo Occidentale fino a comprendere il Portogallo e il Maghreb africano; la seconda parte del capitolo sarà presentata in un successivo Notiziario.

   

Capitolo VII

   Il regno del metallo:  l’età del Rame sul bordo del Mediterraneo

                                                                                                 -- PRIMA   PARTE --

 

C’è una tappa capitale nella storia delle società mediterranee, quella che vede la generalizzazione delle tecniche della metallurgia. Di fatto, la messa in campo del lavoro dei metalli prese del tempo: in molti luoghi, tra la produzione embrionale di piccoli oggetti di rame e la fabbricazione di utensili massicci ed efficaci trascorsero molti, lunghi secoli. Altrove la metallurgia fu introdotta in un sol colpo, forte di tutte le conoscenze tecniche, in rottura con il fondo autoctono dello strumentario in pietra.

La lavorazione del metallo non fu comunque messa in pratica dappertutto nello stesso momento. In questo campo, il Mediterraneo dell’Est e il Medio Oriente si presentano, in modo indiscutibile, fra i più antichi focolai metallurgici conosciuti: così in Iraq, in Iran, in Anatolia. In Europa, sono i paesi delle regioni centro-orientali di questo continente (Bulgaria, Romania, Serbia e Ungheria) che iniziarono precocemente la fabbricazione di oggetti di rame e di bronzo.  I paesi dell’Egeo e poi quelli del Mediterraneo occidentale ne beneficiarono con un risveglio più tardivo, anche se la loro produzione, poi, fu prosperosa.

Al di là di questi aspetti legati ai tempi e alle tecniche, un problema di fondo risiede nella valutazione dell’impatto sociale legato all’apparizione della metallurgia. In cosa la conoscenza di metodi, che permetteva la creazione di oggetti in metallo, modificava profondamente il comportamento degli uomini?. Certamente, non si possono negare le qualità di efficacia dovute a una maestria tecnica in costante miglioramento: i pugnali, gli scalpelli, la sega, l’ascia di rame poi di bronzo sono certamente di un’efficacia maggiore che i loro antenati di pietra. Questo progresso causa inevitabilmente una più grande domanda e di conseguenza un’estensione dei mercati.

Un altro risultato concerneva più direttamente le relazioni sociali stesse: possedere un bel pugnale di metallo, ornare i propri vestiti o il proprio corpo  di gioielli d’oro o d’argento, bere in una coppa dalle forme ricercate valorizzano chi se lo può permettere, grazie al proprio status e al proprio potere di agire così. Il metallo è dunque a un tempo segno di ricchezza, proprietà dei potenti e, all’occasione, oggetto di capitalizzazione. Così si spiega la sovente tesaurizzazione di utensili, di armi o di ornamenti i cui pezzi ne sono l’oggetto.

E non parliamo, prendendo in considerazione la redditività di una tale risorsa, dei conflitti che conducono a generare il possesso di certe miniere, di competizioni tra officine di produzione dei pezzi sempre più ricercati, di gestione dei circuiti di distribuzione che portavano in scambio i materiali e i regali più preziosi. Così si giustificano certi rovesciamenti introdotti dalla metallurgia nello spazio europeo. Si potrà anche evocare il prestigio dei fabbri, la gloria del combattente armato di pugnale o di giavellotto, il fascino delle dame di quel tempo ornate da gingilli in metallo rutilante, per giudicare, attraverso tali immagini, il peso sociale del metallo nelle società dell’inizio della protostoria.  

Questo giro di orizzonte tenterà di mostrare le diversità delle realtà metallurgiche, gli scarti cronologici tra le diverse aree culturali e, anche, la parte avuta dalle specificità regionali.  

 

Padronanza del fuoco e inizio della metallurgia nel Vicino Oriente: il dinamismo anatolico

 

            Nell’acquisizione delle tecniche metallurgiche sono stati messi in evidenza più stadi. La tappa più arcaica consiste nella martellatura a freddo del rame trovato allo stato nativo. Molto presto si sa riconoscere il rame e dare ad esso una forma determinata, spesso di piccoli gioielli. Questa fase primitiva, totalmente indipendente dalla padronanza delle tecniche del fuoco, non è ancora metallurgia, ma un semplice bricolage delle rocce. Tale tipo di situazione si può trovare anche nelle culture che ignorano del tutto la fabbricazione della terracotta: nella grotta di Shanidar, al nord-ovest dell’Iran, un piccolo pendente in rame è riferibile al X millennio. Ugualmente, nel sito presso Zawi Chemi, agglomerato dove sono apparsi i primi segni della sedentarizzazione del IX millennio, e l’uomo, ancora cacciatore-raccoglitore, confeziona degli ornamenti preparati  con un minerale, la malachite. A Cayönü, nella Turchia orientale, in un sito preceramico databile all’incirca all’8000 a.C., sono stati portati alla luce dei bastoncini appuntiti, dei ganci, dei fogli, dei fili e delle perle di rame nativo martellato a freddo o portato ad una temperatura di circa 500°C. Una perla di rame proviene dal villaggio d’Ali Kosh (Deh Luran), nel sud-est iraniano, datata all’VIII millennio. In questi villaggi preceramici dove l’agricoltura e l’allevamento sono già presenti, le potenzialità del fuoco sono dunque solo parzialmente esplorate: a Jericho, poco dopo l’8000 a.C., si sanno fabbricare rivestimenti di piastre in gesso, ottenuto trasformando il solfato di calcio. Qualche figurina in terracotta appare nel IX millennio a Mureybet, sull’Eufrate, e poi durante l’VIII millennio a Cayönü  ed a Aswad  presso Damasco, per divenire in seguito più frequenti. Allo stesso modo, secchi d’argilla cotta fanno la loro timida apparizione a Mureybet, al passaggio tra il X e il IX millennio.

            L’apparizione della ceramica verso il 7000 a.C. nel Levante, può essere un po’ prima in Turchia, è il risultato progressivo di una ricerca del controllo delle alte temperature. Una via era stata ormai aperta, e il lavoro del metallo non poteva che approfittarne, poiché ogni perfezionamento nelle tecniche della fabbricazione del vasellame doveva indurre parallelamente un sensibile progresso in materia di metallurgia. L’uomo è quindi coinvolto nella ricerca il cui sbocco avrà effetti molteplici.

È in Turchia che il progresso appare più rapido. A Çatal Höyük, nel VII millennio a.C., delle perle e dei tubi di rame e di piombo sono ottenuti martellando e arrotolando fogli di metallo. Delle scorie, provenienti da un livello contemporaneo, attestano che si sapeva già fondere il rame. Qualche oggetto di piombo di Çatal Höyük può pure essere dovuto ad una prima manipolazione del piombo nativo. A Hacilar, dei piccoli oggetti di rame sono noti molto presto e si manterranno per tutta la lunga evoluzione del sito. Gli archeologi parlano pure di un’età del Rame; si è al passaggio dall’VII al VI millennio. Di fatto, queste tecniche non permettono ancora di parlare di una piena metallurgia. Non esiste ancora in effetti la manifattura di oggetti ‘pesanti’. Ma il processo di riduzione dei minerali è ormai in marcia.

            In molte di queste località, la ricerca dei coloranti per le pitture del corpo, per tingere i tessuti e decorare i muri è frequente. Dei blocchi di malachite, un carbonato di rame, entrano in queste attività a lato di altre rocce: turchesi, apatiti, lapislazzuli.

            Si doveva attendere qualche secolo perché il rame, fuso e colato negli stampi, desse pezzi più grandi e più elaborati. Nel VI millennio, a Mersin, in Cilicia, si sanno produrre asce piatte. Un po’più recente è l’ascia ad occhio di Can Hasan, in Anatolia.

            In un tempo limitato, sembra, da siti del sud della Turchia la metallurgia conquista poco a poco l’insieme dell’Anatolia. La sua generalizzazione, nel corso del V e IV millennio, va alla pari con una diversificazione geografica dei minerali estratti. Pure molto velocemente, sono assicurati dei contatti con i grandi centri vicini della lavorazione del metallo: la Mesopotamia, il Caucaso, il sud-est del continente europeo. Il dinamismo autoctono e le conoscenze migliorate nelle relazioni a più grande distanza, forse anche per l’ingresso di popolazioni nomadi, spiegano pure alcuni progressi tecnici di cui queste terre sono state teatro. Nella transizione IV-III millennio, si sanno lavorare le leghe: il rame arsenicale è la più frequente; il bronzo di stagno compare a Troia, e questo sito mostra anche un notevole sviluppo nel dominio dell’oreficeria e dell’argenteria. Il ‘tesoro di Priamo’ – che nulla ha a che fare con l’Iliade omerica ma risale alla prima metà del III millennio – ne costituisce il più bel fiore. E nelle tombe del re di Alaca Höyük, si vedrà lo stesso comparire fra i gioielli e il vasellame d’oro, d’argento o di elettro (lega di oro e argento), alcuni dei più antichi oggetti di ferro dell’Antico Mondo. Bisognerà ritornare su questi siti eccezionali. 

 

Dalla Mesopotamia all’Iran

           

            Si deve anche dire qualche parola sulla prima lavorazione del metallo in Mesopotamia e negli immediati dintorni. Non abbiamo forse preteso per lungo tempo che là ci fosse la culla mondiale della lavorazione del rame?. Se, come si può vedere, la Turchia sembra fare globalmente prova d’un certo progresso tecnico in questo campo, il paese del Tigri e dell’Eufrate, ma pure l’Iran, costituirono, e presto, aree di sperimentazioni metallurgiche. E in queste regioni, la precoce accelerazione, i progressi tecnici e la strutturazione sociale daranno rapidamente alla Mesopotamia una posizione avanzata nel processo di passaggio a degli stadi superiori di civilizzazione.

            Attorno al 6000 a.C., ci si accontenta di martellare il rame per ricavarne qualche lama, delle punte o delle perle, sia nella media valle del Tigri (Samarra) che sull’altopiano iraniano (Tepe Sialk). La costruzione di forni a cupola, la comparsa di crogioli utilizzati per la trasformazione del minerale sono dovuti alle popolazioni della cultura di El Halaf, vasto complesso che va dai monti dello Zagros (tra Iran e Iraq), fino alla Cilicia e al Libano, o alle culture circostanti. Tra il 5500 e il 5000 a.C., si sa procedere alla riduzione dei carbonati e degli ossidi per torrefazione e produrre utensili di piccola dimensione.

            Pertanto non è che in un contesto più evoluto, marcato dallo sviluppo delle località proto-urbane e dal ricorso ad una irrigazione più sofisticata, che la metallurgia farà i più sensibili progressi. Nel corso del V millennio, nei forni si sanno raggiungere temperature ben maggiori di 1000 °C, colare il rame e costruire modelli per fabbricare oggetti di buona taglia. A Sialk, i fabbri produssero asce piatte e zappe. Alcune officine per il trattamento del minerale sono state scoperte a Tepe Ghabrestan non lontano dal mar Caspio e, a sud, a Tal-i-Iblis; se ne conoscono pure in Kurdistan (Seh Gabi).

            Gli inizi del IV millennio vedono ancora un rafforzamento del ruolo del rame in alcune comunità del Medio Oriente. Il metallo importato dalla regione di Sialk (Iran centrale) è largamente utilizzato a Susa, in Élam. Servì specialmente a produrre asce piatte ritrovate in abbondanza  nelle tombe di una delle necropoli della città. Ma ciò non avveniva ancora dappertutto. Senza dubbio l’offerta rimaneva inferiore alla domanda, a meno di ammettere che i circuiti d’approvvigionamento del metallo non funzionassero che seguendo alcuni assi. In tutti i casi, in Mesopotamia stessa, il rame rimaneva scarso e, per non far ricorso ai vecchi utensili fuori moda di selce, furono costretti a produrre delle falci in argilla cotta a più di 1100° C. Non erano degli oggetti simbolici, ma dei veri strumenti messori come ha dimostrato l’analisi delle tracce d’usura. Progressivamente, d’altronde, nel corso di questo periodo, detto d’El Obeid, il rafforzamento del quadro di vita urbana, con le sue costruzioni monumentali, lo scavo di canali d’irrigazione a profitto della collettività mettono in gioco delle comunità sempre più forti. Un tale contesto favorì la nascita di elites, alcune delle quali si accaparrarono presto il potere economico e/o politico.

            Al IV millennio, nel 3500 a.C., ormai esistono delle vere città rinchiuse dietro potenti muraglie e la cui autorità amministrativa e religiosa si esercita su scala dell’intera regione. La domanda più pressante delle classi dirigenti favorì allora pienamente la circolazione di rame iraniano e ne accentuò la produzione. Accanto ad armi (pugnali, asce piatte) e gioielli comparvero presto dei recipienti in metallo.

            Nacquero allora le prime leghe intenzionali. Cominciarono a circolare alcuni bronzi al 10% di stagno. Nel III millennio, il bronzo serve a produrre l’utensileria ordinaria. Il bisogno di rame induce la messa in campo di circuiti di approvvigionamento più lontani: si va a cercare il minerale perfino nella penisola dell’Oman, lontano verso sud. Piombo, oro, argento sono abilmente lavorati. A Ur o a Khafajeh, si utilizza qualche volta del vasellame in piombo. L’argento serve prima alla fabbricazione di gioielli (pendenti, spirali, braccialetti) e poi, in un secondo tempo, questo metallo è pure usato per produrre recipienti. L’oro è utilizzato nella confezione di diversi ornamenti (perle, bottoni, pendenti, bandane) e di vasi. Verso il 2500 a.C., le tombe ‘reali’ di Ur sono dimostrazione dell’alta tecnicità degli artigiani: gli orafi conoscono la saldatura, la brasatura, la granulazione; i bronzisti divengono maestri nell’arte della martellatura o della produzione a cera persa e la loro produzione è sorprendentemente diversificata.  A dire il vero, il sistema sociale e il contesto urbano hanno fatto della Mesopotamia uno dei focolai di punta delle tecniche metallurgiche.

Con questo, però, non dobbiamo immaginare che la regione rappresenti, nel Medio Oriente, una terra d’elezione unica per gli artigiani del metallo. Esistevano altri centri creatori, e qualche volta, da lunga data, in Afganistan, in Turkmenia, in Pakistan, nel sultanato di Oman, nel Caucaso. Ma lasciamo là queste terre lontane, così brillanti, e ritorniamo sulle rive del Mediterraneo.

 

Egitto: un brusco decollo verso il 3500 a.C. ?

           

             La comparsa della metallurgia in Egitto si sviluppò lentamente e in modo progressivo. Nel sito di Badari, nella media valle del Nilo, e nelle località agricole vicine, agli inizi del V millennio si manifestarono i primi oggetti in rame conosciuti: perle, tubi, aghi. Queste piccole produzioni parrebbero piuttosto martellate a freddo a partire da rame naturale più che scaldate e fuse. Alla stessa epoca, l’arte della ceramica accusa dei netti progressi come lo attesta la fabbricazione di vasi a corpo rosso vivo e a vetrina nera presso il bordo, tecnica che si perpetuerà durante più secoli. Il controllo del fuoco permette pure un’altra scoperta: bruciando del fard pestato a base di malachite con della sabbia silicea, gli egiziani inventano la smaltatura, processo utilizzato per ricoprire perle di steatite. Più a sud, queste conoscenze sono presenti quasi allo stesso momento: è un indice che le invenzioni possono essere realizzate su di un territorio abbastanza vasto?; qui ancora la malachite pestata serve come pittura del corpo e il rame è richiesto per la fabbricazione di aghi.

            Per ricavarne il metallo, verso la fine del V millennio i minerali vengono estratti da piccoli giacimenti del deserto orientale. L’oro e l’argento si aggiungono al lavoro sul rame. Pertanto la produzione resta modesta e limitata a qualche ornamento (perle, spilloni), più raramente a delle lame di pugnale: così a El Amrah, presso d’Abydos (Egitto centrale, lungo il Nilo).

Nel IV millennio, nel corso del Predinastico evoluto, la metallurgia sembra realmente prendere il volo. Questa evoluzione va di pari passo con la comparsa di più vasti agglomerati, con un’organizzazione sociale più rigida che permette di valorizzare le migliori potenzialità della valle del Nilo, che esplica l’emergere delle province e lo scambio a distanza di pietre preziose (turchese, agata, cornalina, lapislazzuli) che servono alla fabbricazione dei gioielli usati come ornamento ai defunti. È pure l’epoca dove il progresso della statuaria animale mostra un’evidente maturazione della religione egiziana antica. Questo ribollimento tecnico e sociale non può che avvantaggiare la metallurgia, anche se l’utensileria in pietra, specialmente in selce, costituisce ancora la materia base. Viene importato allora il minerale dal Sinai, il rame viene fuso e colato. La panoplia degli oggetti fabbricati si diversifica bruscamente: asce, ceselli, pugnali, rasoi, punte di freccia o di arpone, spilloni, lesine. Più raro, l’argento poteva essere importato dall’Asia del Sud-Ovest. Infine la lavorazione del metallo non è più limitata a qualche località della valle: la si ritrova pure a Maadi, presso il Cairo.

Con il periodo thinita ( tra il 3150-2700 a.C.), la metallurgia del rame rafforza ancora la sua capacità. A quest’epoca compaiono frequentemente pugnali con costola centrale, punte di giavellotto a sega, cunei, asce, scalpelli, ai quali si dovranno aggiungere dei pezzi legati alla valorizzazione del corpo: rasoi, spilloni, gioielli diversi tra cui braccialetti in oro. Il vasellame di rame si sviluppa: recipienti a tronco di cono, ad ellisse, a tulipano. Le tombe dell’Antico Impero contengono numerosi recipienti ad orlo svasato o a becco più o meno accentuato per versare. Le tombe di Giza, attribuibili alla IV dinastia, hanno fornito delle serie di notevoli pezzi in metallo: secchi o vasi per bere, aghi con cruna, coltelli a sega, scalpelli. Il bronzo non farà la sua comparsa in Egitto che all’inizio del II millennio. C’è da dire che tecnicamente, l’Antico Impero è da considerare, per tutta la sua durata, un’autentica età del Rame.

 

I primi fabbri d’Israele

 

Verso il 4500 – 4000 a.C., la Palestina effettua una nuova tappa del suo sviluppo. La creazione di nuove località s’intensifica, in particolare nella regione del sud come nella valle di Beersheva. L’introduzione dell’irrigazione potrebbe aver favorito la nascita e l’espansione di queste colonie agricole. Ai cereali si aggiunge ormai la cultura dell’olivo e della palma da dattero. Il processo d’acquisizione e di scambio di materie guadagna in ampiezza: selce dal Neghev centrale, asfalto dal Mar Morto, conchiglie dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, alabastro, granito ed ematite dal Neghev meridionale e dal Sinai, ossidiana – in piccola quantità – dall’Anatolia, basalto e fosforite dalle regioni orientali. Solo l’origine dell’avorio non è localizzata. A queste comunità sedentarie si giustappongono adesso dei gruppi praticanti una sorte di pastoralismo transumante delle aree desertiche al margine. È in un tale contesto socio-economico che i primi oggetti di metallo fanno qui la loro comparsa.

Curiosamente, una distinzione si opera di colpo tra due grandi varietà di oggetti. Da una parte, vengono fabbricati degli strumenti utili destinati all’uso quotidiano: asce, scalpelli, lesine, aghi. Questi utensili sono colati in stampo a partire da un rame puro. Sono, quantitativamente, poco abbondanti. Dall’altra parte, l’accento è messo, molto fortemente, sulla fabbricazione d’oggetti di prestigio, ricchezze capitalizzabili ma inutilizzabili nella vita corrente: scettri con decori esuberanti, masse sferiche o discoidi, corone, piccoli recipienti. Questi pezzi, di valore eccezionale, sono ottenuti, con il metodo detto ‘a cera persa’, con un rame arsenicale di miglior qualità rispetto al metallo puro. Di più, mentre gli strumenti della vita di tutti i giorni sono scoperti nelle località stesse, come a Shiqqim, i pezzi da cerimoniale sono, praticamente trovati in cassette isolate o nelle tombe. E come non menzionare qui la straordinaria scoperta di Mishmar: quattrocentoventitre oggetti di quel periodo, la più stupefacente concentrazione di rame del Vicino Oriente. Da sola, questa casetta sorpassa, e di molto, il totale di tutta la produzione metallica della Palestina. Contrariamente agli utensili di uso corrente, si ignora il luogo di fabbricazione di questa prestigiosa scoperta.

Un altro dato su questa età del Rame del Sud-Levante non manca d’interesse: al di fuori di rari siti prossimi al mar Morto, si percepisce che la totalità delle scoperte d’oggetti di rame si localizza nel sud della Palestina tra la valle di Yarkon e il deserto del Neghev, nelle fiorenti località di questa regione: Abu Matar, Bir-es Safadi, Shiqqim. Ed è in questi agglomerati meridionali centrati nella valle di Beersheva, che si son trovate tracce della lavorazione del metallo. I siti del nord, e non dei minori, (Megiddo, Tel-el-Farah, Beth Shan) ne sono sprovvisti. Certo il sud era relativamente prossimo – qualche decina di chilometri – alle fonti del minerale come nel Feinan, una regione della Palestina orientale, ricca di cuprite, un ossido di rame. Citiamo pure il distretto di Timna, presso il golfo di Aqaba, o il Sinai meridionale. Ma è senza dubbio, al di là delle potenzialità naturali, la dinamica dell’evoluzione sociale che portò a generare la comparsa della metallurgia e delle sue notevoli applicazioni, come notano T. E. Levy e S. Shalev. E d’altra parte la fabbricazione tutto d’un tratto di due varietà di prodotti radicalmente distinti, quali gli utensili e i pezzi da cerimonia, mostra all’origine due tipi di comportamento: una metallurgia domestica a partire dal minerale di rame puro, e una lavorazione del metallo altamente sofisticata e basata sulla fabbricazione di pezzi di prestigio in rame arsenicale. Di questi ultimi, probabilmente le officine erano tenute segrete. I processi non dovevano esserne divulgati: un gruppo sociale determinato ne controllava la conoscenza e anche la diffusione nelle comunità dinamiche della Palestina meridionale.

In seguito, nel III millennio, il metallo prese una maggiore importanza nella vita economica. Nel tempo, certe località del sud, come Arad, traggono in parte la loro prosperità dallo sfruttamento delle miniere del Sinai e della distribuzione del metallo. Questo brillante sviluppo conoscerà in seguito un’eclisse quando le città palestinesi crolleranno. Il bronzo farà la sua apparizione in queste regioni verso la fine del III millennio.

 

Cipro: il debutto dell’industria prospera

 

    A Cipro, verso il 3500 a.C., avveniva una certa trasformazione del panorama culturale. Succedendo all’architettura delle case rettangolari ed ad angoli arrotondati, come quelle di Sotira, compaiono delle case circolari con infrastruttura in pietra. È il caso di Erimi. Tutto va come se la vecchia moda delle abitazioni rotonde, ben note molto tempo prima, a Khirikitia o a Kalavasos-Tenta, ritrovasse il favore della popolazione. Questo ritorno alle origini non durerà molto: dopo qualche secolo si costruiranno delle case più sofisticate formate da più stanze quadrate o rettangolari come a Sotira-Caminudhia. Questi cambiamenti nell’architettura corrispondono anche ad un epoca dove la ceramica dipinta, rossa su fondo crema, rimpiazza ormai i vasi scarlatti con decoro di fasci di linee ondulate. Allora cominciano pure a diffondersi delle figurine in terracotta con la testa girata all’indietro. E presto saranno divulgati i così originali idoli a croce, scolpiti in picrolite. Infine e soprattutto, questo periodo corrisponde alla prima apparizione della metallurgia. Debutto ben modesto, è vero. Verso la metà del IV millennio, circola qualche oggetto di rame. La lista di quanto scoperto è presto detta: uno scalpello, un gancio e un coltello a Erimi, un elemento di parure a spirale a Souskiou (Kouklia), un gancio e una piccola placca a Kissonerga-Mylouthkia. E gli specialisti discutono per sapere  se queste prime produzioni in rame sono dovute a contatti col continente o se esse hanno origine puramente indigena, favorite in questo caso dalla presenza di giacimenti di rame sull’isola. Poiché in questo campo si conosce la ricchezza naturale di Cipro – il cui nome diverrà sinonimo di  ‘rame’ – e lo sfruttamento intensivo del quale le miniere saranno oggetto, specialmente nell’età del Bronzo. In certe parti dell’isola e specialmente nella regione del monte Troodos o alla sua periferia, possono anche essere stati trovati dei noduli di rame nativo. Ma si può parlare di una genesi totalmente  autoctona in un momento dove alcune vicine regioni (Anatolia, Palestina) intensificano le loro produzioni metalliche attorno al -4000, -3500?. Alcuni autori, e specialmente R. F. Tylecote, propenderebbero volentieri per un’origine anatolica di questa prima metallurgia cipriota. Esistono in effetti delle inclusioni di stagno in alcuni dei pezzi ricordati più sopra. Ora, lo stagno a Cipro è assente e potrebbe, si può pensare, provenire dalla Turchia, seguendo in ciò la rotta, già antica, dell’ossidiana diffusa nell’isola. Ma altri ricercatori stimano che lo stagno può ben essere stato presente, in piccole quantità nei blocchi di rame nativo. È da fare osservare che lo sviluppo, allora molto notevole, dello sfruttamento locale della picrolite (una roccia pure chiamata antigorite) trovata nei giacimenti di serpentino cipriota mostra con evidenza tutta l’attenzione che le popolazioni insulari portavano a certe pietre colorate, alcune delle quali si avvicinano sensibilmente alla tinta del rame. Un altro argomento in favore di questa tesi risiederebbe nei luoghi stessi di scoperta di questi primi oggetti di rame: il sud e l’ovest dell’isola, là dove si estrae la picrolite. Infine, la maggior parte delle manifestazioni materiali di questa debuttante età del Rame mostra una evidente originalità che rafforza l’indigenato. 

Si deve dunque attendere qualche secolo perché, con la piena fase del Calcolitico cipriota, o cultura Philia, verso il 2800-2500 a.C., si passi progressivamente da una metallurgia embrionale alla fabbricazione di pezzi più elaborati. Inoltre qui si ha ormai una panoplia diversificata. Se gli scalpelli si situano ancora nella tradizione dell’epoca precedente, le altre produzioni mostrano francamente aspetti di innovazioni tecniche; così i pugnali a lama triangolare e a codolo corto, qualche volta bucato per il fissaggio del manico, o le asce piatte, o ancora i rasoi, gli spilloni a testa alcune volte conica o muniti in testa di un rigonfiamento perforato., Si pensa che qualche pezzo scoperto a Sotira-Kaminoudhia fosse oggetto di fusione e di forgiatura attuata sul posto. Ma l’ipotesi dell’influenza anatolica non è ormai più scartabile: troppo forti rassomiglianze affettano certi oggetti. Così si va dagli spilloni a testa conica, repliche dei quali esistono a Tarso, ai pugnali triangolari le cui tombe di Keratas Semayuk hanno fornito modelli similari. E che dire dei cappi a spirale in oro, trovati a Sotira-Kaminoudhia, ed esemplari in rame dei quali esistono in diverse tombe cipriote?. È la prima volta che questo metallo prezioso compare nell’isola e non può essere una coincidenza se gli stessi gioielli sono conosciuti a Tarso. Infine la comparsa, certamente debole, delle leghe – come il bronzo di stagno che non si generalizzerà a Cipro se non nel II millennio – potrà anch’esso suggerire un influsso esterno.

Quando, verso il 2500 a.C., si avvia l’età del Bronzo, Cipro sviluppa una notevole metallurgia del rame a partire dai minerali locali. L’assenza di stagno sembra spiegare questo rifiuto delle leghe. Gli  splendidi materiali portati alla luce nelle tombe artificiali del nord dell’isola consacrano questa originalità culturale, anche se sono discernibili contatti con l’Anatolia. Delle daghe a lama triangolare s’aggiungono ormai i famosi pugnali ciprioti, dalla punta con nervo e codolo ricurvo, che saranno riprodotti per lungo tempo. Cunei, scalpelli, asce piatte, rasoi provengono dalle tombe di Lapithos o di Vounous. Così si radica in Cipro, e per molti secoli, una brillante industria del rame.   

                                                           

 

L’’europeizzazione’ di una tecnica: un po’ di storia

 

La comparsa precoce delle tecniche metallurgiche nel Mediterraneo dell’Est ha favorito molto presto la teoria diffusionista: essa afferma che la lavorazione del metallo, nata in Asia del Sud-Ovest e in Medio Oriente, si diffonderà nel bacino orientale del Mediterraneo e dell’Europa balcanica per sciamare in seguito verso le regioni sempre più lontane e pervenire così fino ai limiti settentrionali del continente europeo.

Questa immagine è stata illustrata da V. Gordon Childe, soggiogato dall’antichità e dalla ricchezza delle civiltà orientali: non era stato forse questo il teatro della nascita dell’agricoltura e poi delle città?, non erano stati questi i primi cambiamenti della storia?. La precocità dell’Egitto, della Mesopotamia, della valle dell’Indo sembravano imporsi in questo campo comune e quindi anche negli altri. Al riguardo, l’Europa faceva la figura del territorio meno progressivo, solamente toccato nel tempo dalle importazioni dall’Est, e queste, in seguito, costituivano il detonatore di focolai metallurgici indigeni. In questo schema di V. G. Childe, la Turchia, in ragione stessa della sua posizione geografica, è considerata l’indispensabile transito verso l’Europa del Sud-Est. L’area egea, pertanto educata alle tecniche del lavoro del metallo, avrebbe trasmesso a sua volta le sue conoscenze al mondo mediterraneo occidentale.

  Alcuni decenni fa, questa trama concettuale ha conservato un ruolo decisivo nelle argomentazioni difese da E. Sangmeister nel corso degli anni sessanta. Sangmeister è tuttavia molto più sofisticato in ragione della mole di dati che è a disposizione dell’autore: con i suoi colleghi di Francoforte, S. Junghans e E. Shroeder, ha realizzato, dal 1950 e durante diversi anni, un considerevole lavoro d’analisi metallurgica condotto per tutta l’Europa.      

Questa iniziativa, fondata sulla messa in evidenza dei componenti e delle impurità dei diversi tipi di rame, ha permesso ai ricercatori tedeschi di far emergere degli insiemi geografici, delle tappe cronologiche esse stesse legate a dei complessi culturali. Così è stato definito un certo numero di gruppi e di sottogruppi ripartiti nei tempi e negli spazi, a iniziare da quelli che si è tentato di usare per spiegare l’estensione delle tecniche metallurgiche nell’insieme dell’Europa. Lo schema di questa tesi può essere così riassunto:

-          Verso il 2600 a.C. si sarebbe iniziato ad utilizzare sommariamente il rame nativo nell’area rumena, bulgara, ungherese. Parallelamente, una metallurgia precoce sarebbe già impiantata nell’area egea (Grecia costiera, Cicladi, Creta); nel quadro delle relazioni mediterranee, questo nocciolo egeo sarebbe stato  esportatore delle tecniche della metallurgia fino al sud della penisola Iberica.   

-          Verso il 2000 a.C. si sarebbe prodotta un’esplosione delle metallurgie locali in Europa centrale  e del Sud-Est, in Italia del Centro e del Nord e nel Midi della Francia. Il sud della penisola Iberica avrebbe iniziato a giocare a sua volta un ruolo propagatore verso i paesi atlantici (Bretagna, isole Britanniche, Danimarca).

Nel seguito si sarebbero affermati lo sfruttamento delle possibilità minerarie locali, la circolazione dei prodotti manufatti, l’accesso a dei nuovi mercati e, progressivamente, la conquista di quasi tutto il territorio europeo.

Che pensare di questo bell’affresco? Non si è certo trascurato di interrogarsi sul metodo utilizzato che cerca di connettere i dati forniti dalle analisi e un quadro cronologico predeterminato.

Osserviamo prima la compressione dei dati: in un tale sistema tutto va ancora sotto la netta influenza delle basse o contratte cronologie, il tutto in meno di un millennio. Altre questioni concernono l’affidabilità dei supporti esaminati. Le componenti ritrovate negli oggetti metallici sono una buona immagine dei minerali originari?. L’analisi, spesso limitata a un solo punto di un oggetto, è credibile, o meglio, il metallo colato è oppure no realmente omogeneo nella sua composizione, specialmente al livello delle impurità?. Gli oggetti finiti non sono ‘denaturati’ dalle tecniche d’estrazione e dalla colata, cioè dall’intervento umano?.

C’è meno accordo su questi punti d’interpretazione tecnica, che portarono alle critiche, che sul quadro cronologico stesso. Verso la fine degli anni ’60, la moltiplicazione delle datazioni al radiocarbonio aveva permesso di calibrare meglio nel tempo l’evoluzione delle culture dell’Europa del Centro e del Sud-Est. Parallelamente, i progressi della dendrocronologia potevano ormai dare una migliore idea dei dati ‘reali’, dell’invecchiamento e della durata di certi complessi culturali. Una visione più razionale del tempo divenne possibile. Si è pertanto percepito che i sistemi di correlazione stabiliti tra le civiltà del Vicino Oriente e quelle dell’Europa carpato-balcanica dovevano essere totalmente rivisti. È a C. Renfrew che si deve essenzialmente la revisione di queste cronologie e della loro nuova pianificazione. Così la civiltà di Vinça, in Yugoslavia, a lungo considerata come contemporanea del più antico insediamento di Troia, in Anatolia, si rivelerà in fatti molto più vecchia: le sue più antiche manifestazioni  sono da collocare nel V millennio. Le date ottenute per le civiltà di Gumelnitsa (Romania, Bulgaria), Cucuteni (Romania, Ucraina), Tiszapolgar (Ungheria), tutte tecnicamente in possesso di rame, mostrano di emergere nella seconda metà del V millennio. Ci si deve arrendere all’evidenza: Troia I e il Bronzo Antico dell’Egeo era fiorita in un’epoca più tardiva delle civiltà calcolitiche dei Balcani. Ma come spiegare questa alta antichità delle culture balcaniche dell’età del Rame?. C. Renfrew ne ha cercato la ragione nell’autonomia stessa dei fenomeni di invenzione, condizionati dalla dinamica interna delle prime società agricole della media Europa. In un’epoca anteriore, in un’area dove si erano stabilite, delle ricche civiltà agricole, le spinte demografiche e l’evoluzione sociale non avevano che potuto favorire i progressi tecnici: miglioramento della conoscenza delle arti del fuoco, l’ottenimento di ceramiche di un livello eccezionale (vasi a smalto di Gumelnitsa, vasellame dipinto di Cucuteni, etc.), ricerche degli affioramenti e lavorazione del rame nativo al meno alla fine del VI millennio a.C., poi fusione del rame nel V millennio. All’aumentare del tempo s’aggiunsero degli elementi di ordine tecnico: l’utilizzazione precoce in queste regioni del rame martellato a freddo verso il 5000 a.C. sarà, secondo C. Renfrew, il segnale di uno sviluppo autoctono e non l’indice di una semplice trasmissione di saperi a partire dall’Anatolia. L’asse di trasmissione sud-est nord-ovest, classicamente difesa dopo V. G. Childe, dovette essere ripensata.

Quanto all’area egea, fu rimessa in discussione la sua primazia cronologica: il metallo vi apparve più tardivamente che sulle terre balcaniche. Per lo stesso motivo fu svelata l’originalità di certe civiltà europee: il loro emergere, il comparire di nuovi stadi di evoluzione pareva dovuto a uno sviluppo proprio molto più che a fenomeni di acquisizione. Idee che non cessarono di ispirare pure altri autori e dare un nuovo impulso all’approfondimento dei progressi autoctoni ai quattro angoli dell’Europa. In una parola, un diffusionismo coattivo aveva generato una salutare reazione.       

A che punto si è al giorno d’oggi ? Sembra confermarsi che i Balcani abbiano conosciuto un lungo cammino autoctono che condusse, dopo il riconoscimento dei minerali, avvenuto nel Neolitico, a una vera produzione metallurgica del V millennio. Nel corso di esso, l’utilizzo dominante del rame nativo non è ancora dimostrato: la malachite e l’azzurrite sono sfruttati, di colpo, a partire dai ricchi giacimenti.

Anche la tesi delle culle multiple in Europa non è ancora confermata. Attraverso l’asse danubiano, si può seguire il filo di una diffusione di tecniche verso l’ovest, certamente lento, ma certo: i gruppi del Balaton, di Mondsee, di Pfyn ne portano testimonianza. Nel Mediterraneo, le relazioni tra l’Egeo e l’Italia sono ancora poco chiare, ma l’antichità del rame di Sitagroi, nelle Cicladi (grotta di Zas) o in Albania (Maliq Ha) mostra bene l’anteriorità di queste zone in rapporto alle prime manipolazioni italiane del metallo, neolitiche pure esse. Il ricorso frequente e, sovente, precoce  alle potenzialità locali con dei bricolage diversi tra loro non sempre facilita la percezione dei paralleli fenomeni di trasmissione delle tecniche.  

 

L’apogeo balcanico

 

Il ruolo dell’Egeo risulta fortemente limitato e invece quello dell’asse inferiore del Danubio, dagli sbocci precoci, viene messo in primo piano: questi sono dei dati rivelati dalle ricerche archeologiche di questi ultimi venti anni. E la carta delle prime civiltà europee che hanno largamente fatto appello, nel loro quotidiano, agli utensili di rame è eloquente: si succedono da est a ovest, Cucuteni, Gumelnitsa, Karanovo VI, Vinça, Tiszapolgar.

Ma il mondo carpato-balcanico non è solamente un focolaio antico della lavorazione del metallo. La dinamica delle tecniche metallurgiche, e del rame in particolare, ha conosciuto una lunga durata: dal VI al III millennio. Di modo che queste regioni sono state la sede di un’eccezionale età del rame, di un incremento produttivo, e per il tempo di duemila anni !. Si fa notare anche una sensibile evoluzione, qualitativa e quantitativa, della produzione degli oggetti in metallo lungo tutta quest’epoca.

Dalla fine del VI millennio, le popolazioni agricole dell’area est-balcanica conoscevano gli affioramenti dei minerali dove si incontra il rame nativo, carbonati e ossidi. Si misero a lavorare questi materiali ‘a freddo’ e a modificarne l’aspetto come facevano, già da lunga data, per molte varietà di rocce.

Si tratta quindi, in partenza, di pezzi levigati e perforati partendo da un nodulo naturale. Parallelamente si manifestano dopo poco degli ornamenti confezionati per martellatura: piccole perle di rame compaiono così in certe tombe delle civiltà di Boian, di Hamangio o di Vadastra, in Romania.

In Bulgaria, si distingue una tappa antica nel corso della quale vengono richieste malachite e azzurrite per la fabbricazione di piccoli oggetti (lesine, perle, pendenti) e per l’utilizzo di pigmenti come cosmetici. Poi sopravviene una fase marcata dall’apparizione di pezzi massicci: asce e cunei, per esempio.

Agli inizi del V millennio, lo sfruttamento e il trattamento dei minerali sono già iniziati e i progressi saranno rapidi: dalla fusione in stampo aperto seguita dalla messa in forma per martellatura, si evolve poi verso l’utilizzo di stampi bivalvi e di forgiatura per dare agli strumenti delle forme più elaborate. Compaiono degli utensili compositi e specialmente le asce-martello oppure le asce-accetta con l’immanicatura mediana.

Si è pertanto davanti, e durerà quasi dal 4500 al 3500 a.C., ad una vera esplosione metallurgica. Il rame sia di Tracia che della Yugoslavia apporta un largo contributo. La produzione si intensifica, e grandi depositi come quello di Karbuna in Ucraina – quasi quattrocento oggetti – segnano importanti stock di merci nel quadro di scambi o di traffici sollecitati dalla pressione della domanda.

È l’epoca dove l’oro conosce, pure lui, una vigorosa produzione basata sulla fabbricazione d’oggetti di prestigio; di colpo, questo metallo figura quale valore rifugio accaparrato dagli abbienti. La necropoli di Varna, sul mar Nero, costituisce, da questo punto di vista, una testimonianza tanto eccezionale quanto antica.

Questa grande epoca balcanica lega, in uno stesso Mercato Comune la lavorazione del rame, una grande area culturale che va dalla Macedonia al sud della Serbia e all’Ungheria all’ovest, alla Moldavia e all’Ucraina all’est, al mar nero e alla Tracia a sud-est.  Esso arriva a poca distanza dell’Adriatico (a Maliq, in Albania), limite che non verrà superato. A confronto, né l’Anatolia né la Palestina non possono, nel V millennio, disporre di un sviluppo simile.

Questo boom terminò. Il declino inizia verso la fine del IV millennio. Il rame si fa raro, le produzioni metalliche cadono. Pertanto al rame puro si preferirà del rame arsenicale e delle leghe. Così comparvero i primi oggetti di bronzo, ma questo metallo resterà tuttavia poco richiesto fino al II millennio. La morfologia degli oggetti cambierà anch’essa: le asce adesso furono ad immanicamento terminale; si fabbricheranno delle sgorbie, dei pugnali a lama triangolare innervata. Le cause di questa mutazione sono state oggetto di differenti spiegazioni, complementari o esclusive. Si sono invocate delle ragioni interne: una crisi dell’agricoltura imputabile all’impoverimento dei suoli e la fine dei grandi insediamenti rurali sedentari.

Si è parlato di ritorno a un genere di vita più nomade, centrato sull’allevamento e sul pastoralismo. È stato pure avanzato il ruolo determinante delle migrazioni distruttrici dei popoli nomadi provenienti dalle regioni del Ponto. Quali che siano le cause, tutto il blocco balcanico oscilla, nel corso dell’Antica età del Bronzo, si va verso una produzione rallentata. Le civiltà interessate (Èzero-Cernavoda, Baden e le sue diverse facies sono, sul piano tecnico, meno prospere. Di fatto il centro di gravità dei poli metallurgici si dispone allora verso est: nel III millennio, sono il Caucaso e l’Asia Minore che portano la fiaccola.

 

Le miniere di rame dell’Europa del sud-est: Ai Bunar (Bulgaria) e Rudna Glava (ex-Yugoslavia)

 

La sorprendente prosperità balcanica di cui il Mediterraneo deve, alla fine, approfittare, s’articola attorno a due punti forti che contribuiscono ad assicurare il successo: le potenzialità in rame e l’uso sociale dell’oro.

Appena l’uomo apprese a estrarre il minerale, poi a rendere il metallo liquido per attribuirgli una forma determinata, per soddisfare la domanda di strumenti di rame fu forzato a ricercare delle zone particolarmente ricche di rocce cuprifere; ai piccoli oggetti di decoro, perle o aghi, si aggiunsero presto, in tutto il sud-est dell’Europa, l’utilizzo di strumenti pesanti, specialmente le robuste asce-scuri. Ciascuno di questi pezzi necessitava di una considerevole quantità di metallo. Solo le miniere sfruttate con dei mezzi organizzati erano ormai capaci di fornire una massa di rame rispondente alle necessità del mercato. Così si costituiranno molto velocemente corpi di prospettori, di minatori, di fabbri, di venditori ambulanti che, ciascuno al loro posto, costituiranno la catena che portava dalla ricerca del minerale alla diffusione dei prodotti finiti. Se il metallo aiutò la nascita di mestieri specializzati, fu pure un fattore decisivo di chiusura sociale: un tal sistema economico genererà degli ingegneri per l’organizzazione della produzione e soprattutto un’elite politica e economica che approfittò del commercio. Due miniere specialmente hanno giocato un ruolo essenziale nello sfruttamento del rame dello spazio balcanico: Ai Bunar in Bulgaria e Rudna Glava in Serbia.  Gli studi su essi hanno mostrato che, molto presto, gli utensili di rame del sud-est europeo sono stati fabbricati grazie alla fusione del minerale.

La scoperta archeologica delle miniere di Ai Bunar, presso Stara Zagora, debutta con una storia curiosa. Nel 1934-1935, un’industriale dei questa città, fabbricante di solfato, era alla ricerca di terreni cupriferi. Gli abitanti del villaggio di Malka Vereira gli indicarono un luogo dove si trovavano delle rocce verdi, identiche a quelle che cercava. Praticò qualche sondaggio che si rivelò poco produttivo. Abbandonò la partita non senza aver segnalato che il giacimento in questione corrispondeva senza dubbio al sito di un’antica miniera romana. Solamente negli anni ’70 che E. N. Cernich, specialista sovietico di paleo-metallurgia si interessò al giacimento di cui intraprese la conoscenza. Le tracce furono così ritrovate su una distanza in arco di cerchio di 1,5 km per una larghezza che poteva essere di 15-20 metri. Ancora oggigiorno, si può vedere nel luogo affiorare la roccia verde. Scavi eseguiti in più punti hanno mostrato tracce intense di sfruttamento risalenti al V millennio.

L’asporto dei preistorici arrivava frequentemente ai 10m di profondità  e qualche volta fino a 20m; le gallerie potevano avere dai 5 ai 6 m di larghezza o più. Sono stati utilizzati picconi in palco di cervo per scavare gli strati più asportabili. Si pensa che la roccia stessa venisse probabilmente scaldata e che probabilmente fosse stata in seguito favorita la frattura versandovi dell’acqua sulla pietra scottata. Questo sfruttamento doveva essere condotto a cielo aperto, ma poté essere pure applicato agli ingressi delle gallerie. Tutto lascia credere che la profondità dei sondaggi doveva imporre  dei sistemi di puntellamento in legno.

Quale organizzazione sociale ha permesso, in queste lontane epoche, il funzionamento di un’impresa così complessa?. C’erano tutte le premesse perché un gruppo specializzato avesse il controllo delle operazioni. In tutti i casi, l’importanza delle indagini lascia pensare che la forza lavoro operante nei luoghi di lavorazione dovesse essere accresciuta continuamente. Il reclutamento della mano d’opera doveva avvenire fra le popolazioni dei dintorni. Così le numerose località della regione di Sara Zagora potevano inviare alcuni dei loro membri a lavorare nei luoghi di sfruttamento durante un determinato periodo.

Plausibilmente, i villaggi attorno, per un raggio d’una quindicina di chilometri, dovevano essere i fornitori di questo proletariato. Gli scavi di questi stabilimenti rivelano la presenza non solamente di oggetti di rame ma pure del minerale attestante l’uso di pigmenti e un piccolo lavoro artigianale effettuato con la materia prima proveniente dalla miniera, ma soprattutto da altri giacimenti della regione. Ai Bunar in realtà ha approvvigionato poco queste località. Nei villaggi più lontani, le tracce di una metallurgia indigena sono spesso assenti e non si incontrano che dei prodotti finiti come a Madretz. Si ignora tuttavia dove si situavano gli ambienti in cui fondere le grandi quantità di rame destinato alla fabbricazione dei lingotti, e poi dei determinati pezzi. Può darsi che il rame partisse verso i centri specializzati per la colata di utensili prima che fossero commercializzati su più larga scala. Le analisi dimostrano che i pezzi in rame di Ai Bunar, sono stati esportati a grandi distanze: se ne trovano frequentemente in Romania e pure fino sul fiume Dniestr in Ucraina (deposito di Karbuna). L’esempio della miniera di Ai Bunar, per la sua ampiezza, resta unico nel mondo balcanico.

Rimonta pure al V millennio lo sfruttamento della miniera di Rudna Glava, in Serbia. Nella parte meridionale e l’area sud-occidentale del massiccio di Rudna Glava, i preistorici hanno trovato, successivamente largamente sventrato, un deposito di minerale (soprattutto malachite) strutturato in forma di vene o di filoni, o concentrato nelle fenditure della roccia. Si è dunque effettuata una serie di sondaggi che ha permesso di vedere le ‘tasche’ di minerale. Tenuto conto della profondità da raggiungere, questi lavori dovevano avere qualche sistemazione quale la realizzazione di piattaforme d’accesso o dovevano aver luogo alcune operazioni come la selezione dei sedimenti. Per attaccare la roccia, i minatori hanno utilizzato strumenti in palco di cervo ma soprattutto degli utensili in pietra di tutte le forme: rotonde, ovali, rettangolari, triangolari.

Si tratta di solito di ciottoli presi dal vicino fiume e trasformati in percussori, cunei, scalpelli, etc. Fra i più sofisticati, citiamo i magli forniti di una scanalatura: si poteva fissarli con delle corde e, nello spazio molto limitato dei pozzi di miniera, utilizzarli per colpire la roccia con colpi vigorosi, circolari o verticali. Molti di questi utensili sono stati ritrovati, spesso fuori uso, sui luoghi di lavorazione. Si è pure fratturata la roccia sottomettendola a operazioni alternate di riscaldamento e raffreddamento: sono stati ritrovati nei riempimenti resti di fuoco.

Secondo B. Jovanovic, la miniera doveva costituire un lavoro stagionale, poiché non si riconoscono abitati nei dintorni del sito stesso. Le più vicine località si trovano già a distanza apprezzabile. I grossi recipienti, poco trasportabili, trovati sul giacimento sembrano confermare questa tesi. Il giacimento e i suoi dintorni erano dunque un luogo d’approvvigionamento in rame dove forzatamente soggiornavano per qualche tempo.

La miniera rifletteva ugualmente, a suo modo, alcune relazioni sociali. Come ad Ai Bunar, ci sono tutte le possibilità perché un clan o una famiglia allargata abbia avuto il controllo del campo. A dispetto della semplicità della strumentazione il lavoro mette in effetti in gioco una specializzazione tecnica (prospezioni, sistemazioni, procedure di estrazione o di trattamento, trasferimenti) poco adatti ad uno sfruttamento individuale, o praticata a livello di nucleo familiare, anche perché la quantità di minerale estratto nel V e IV millennio  può esprimersi, qui, in tonnellate. Questa produzione alimentò la fabbricazione di strumenti in rame diffusi su una grande parte dell’area balcanica e danubiana. Questa prosperità ebbe tuttavia un suo termine.

Le vene ricche in ossidi e carbonati di rame finirono per esaurirsi e, nel III millennio, seguì una recessione nella produzione di minerale. Le miniere delle Alpi austriache e dell’Europa centrale soppiantarono allora i giacimenti dei Balcani.

 

Gli inizi dell’oreficeria in Europa: Varna

 

Si è parlato molto fin qua del rame di Balcani e degli utensili o delle armi fabbricati con quel minerale. Tuttavia, come per altre invenzioni della fine della preistoria, la ceramica per esempio, la scoperta della metallurgia ai suoi inizi non ha prodotto strumenti utili ma degli oggetti superflui, degli accessori. Non è un caso se, un po’ dappertutto, le prime vestigia di rame che compaiono nei contesti neolitici sono dei  ninnoli, delle perle o dei pendagli. La loro fabbricazione rispondeva dunque ad una ricerca disinteressata, a un fenomeno di curiosità tecnica o intellettuale molto più che a una necessità vitale per la vita quotidiana. Solamente in un secondo tempo, l’uomo ha tratto vantaggi dall’invenzione, ne ha sfruttato le possibilità a fini molto più pratici. Il Vicino Oriente e il Medio Oriente mostra così che i veri utensili di rame non emergono, se non secondariamente, in rapporto ai ‘gioielli’ o a degli oggetti anonimi senza alcuna ‘redditività’.

Tenuto conto della sua malleabilità, l’oro non poteva che essere utilizzato nella realizzazione di gioielli o oggetti di prestigio. Per sua stessa natura si escludeva da tutte le applicazioni utili. D’altra parte, più raro delle rocce ordinarie, l’investimento che necessitava per la fabbricazione di ornamenti (martellatura, riscaldamento, colata) gli attribuiva più valore. È per questo che la scoperta dell’oreficeria è di una importanza reale per avvicinarsi all’evoluzione delle comunità: l’oro è assieme un rifugio di pezzi rari e un simbolo sociale che permette di distinguere i grandi, l’elite di una comunità.

Nell’Europa del sud-est, agli inizi della lavorazione del metallo, l’oro possiede un posto tutto particolare. La visita della sala degli ornamenti d’oro del museo di Bucarest è, da questo punto di vista, eloquente. Una buona serie di siti rumeni, attribuibili alla civiltà di Boian e soprattutto di Gumelnitsa (Glina, Gumelnitsa, Vidra, Gradistea, Ulmilor, Sultana, Moigrad) hanno consegnato molti orecchini, anelli, fili, perle, e specialmente una sorte di figurine-pendagli del tutto originali.

Ma è a colpo sicuro a Varna, in Bulgaria, sui bordi del mar Nero, che si trova l’esempio più affascinante, il più riuscito della lavorazione dell’oro, ma pure una delle più antiche manifestazioni  di questa industria: siamo qui verso il 4600-4200 a.C., in un contesto della stessa cultura di Gumelnitsa, dunque da 1500 a 2000 anni prima dei grandi tesori reali del III millennio (Alaca Höyük, Troia) o del II millennio (Micene).

Le tombe del cimitero di Varna contengono dei soggetti disposti in posizione ripiegata o distesa. Si è pure riconosciuta qualche sepoltura ‘simbolica’, senza corpo o con un piccolo numero di ossa, forse dovuto ad una scarnificazione preliminare seguita dall’inumazione di qualche resto. Fra il corredo che accompagnava i defunti meglio forniti, figurano delle ceramiche, dei lunghi coltelli di selce, delle asce e delle scuri di rame ma, soprattutto, una rara quantità di oggetti d’oro. Su 281 sepolture, 61 contenevano ben 3028 pezzi d’oro il cui peso totale passa i 6 kg. Fra questi braccialetti cavi, degli anelli, delle bandane o diademi, dei pendenti antropomorfi, delle perle, dei cilindri che avvolgono scettri. Placche rettangolari perforate costituiscono probabilmente dei pettorali. Tutta una serie di piccoli ‘bottoni’ o gusci bombati dovevano essere in origine cuciti su tessuti. Tra alcuni ornamenti appaiono figure di bovidi. La tomba 4 era una delle più ricche: dischi, braccialetti, scettri, pettorali, anelli, perle, gusci  in oro, due asce e più cunei di rame, infine un piatto con pittura dorata applicata.

Il grande interesse di questa scoperta risiede non solamente nella sua antichità ma pure nel suo carattere autoctono. È l’epoca dove le prospere società balcaniche sviluppano la prima grande metallurgia europea. Sul piano tecnico, è inutile intravedere qui importazioni di cui invano si cercherà l’origine in Mesopotamia o in Egitto: questa oreficeria è del tutto dovuta ad artigiani locali.

Quanto all’emergere precoce di tali tesori, si devono mettere in conto comunità la cui ricchezza va a vantaggio soprattutto di qualche individuo socialmente posto in alto. Si ha qui un cambiamento nell’evoluzione delle società agricole: il potere inizia a radicarsi e il possesso di beni rari s’accentua a profitto di un’elite sociale in corso di costituzione. Come spiegare un tal cimitero dai numerosi defunti così sontuosamente ornati?. Senza dubbio si deve scartare l’ipotesi di una necropoli, cosa banale, di un villaggio ordinario.

Si tratterebbe piuttosto del cimitero di una sorta di aristocrazia commerciante o politica: le tombe ospitavano i corpi di principi o di soggetti d’elite di un territorio molto grande sfruttato solo proprio per mantenere tale casta. In quest’ottica, per tentare di penetrare il significato della necropoli di Varna, si è parlato  di uno Stato che più o meno federava numerose località sotto una stessa bandiera.

La produzione di oro e di rame genera certamente in questo periodo nuove tecnologie, specializzazioni fino a qui sconosciute (dai minatori agli ambulanti ai fabbri), ma pure una più grande apertura verso l’esterno. Alcuni attingono una parte del loro prestigio nello sviluppo di relazioni a grande distanza. Anche se in modo ancora sfocato, oltre i risultati tecnici e le conoscenze pratiche degli artigiani, Varna mostra soprattutto l’evidente piramide sociale.

 

Creta: rallentamenti ed accelerazioni

           

            Fin dove questa attiva metallurgia, impiantata precocemente nei Balcani, fa sentire la sua influenza in direzione del Mediterraneo? La Macedonia fu certamente conquistata presto dalle nuove tecnologie. A Sitagroi, in Tracia, la panoplia di oggetti fabbricati (asce, punzoni, ami, spilli, perle) mostra, nel V millennio, un evidente maestria nella lavorazione del rame. Più a sud tuttavia, il territorio egeo, anche se toccato qua e là da importazioni metalliche dalle aree più ‘avanzate’, non mostra alcun rapido entusiasmo per queste pratiche. È così che a Creta, la scoperta di un’ascia piatta negli strati del Neolitico finale di Cnosso, al IV millennio a.C., resta un fenomeno isolato: può essere il risultato di un regalo d’origine lontana. Nelle Cicladi è noto qualche antico documento: asce piatte dalla grotta di Zas a Naxos del 4000-3500 a.C. Tuttavia, si dovrà attendere l’inizio dell’età del Bronzo, verso il 3000 a.C., perché si manifestino i primi tentativi di una metallurgia attiva: pugnali triangolari corti, con leggera nervatura, rivettati sommariamente, abbozzi di forbici da Pyrgos. Questa produzione insulare, per nulla originale, sembra manifestarsi fuori da ogni pressione esterna, un po’ come a Cipro.

Poco dopo, nel corso del pieno Bronzo Antico, la metallurgia cretese conosce una brusca accelerazione. E, ormai, Creta può dare origine a produzioni specifiche, indice di una metallurgia acquisita, anche se non è da escludere qualche importazione.

I pugnali, in particolare, possono essere a lama corta e larga, spesso ogivale, con fissaggio favorita da due o quattro rivetti. Più esemplari provengono dalle tombe di Lebena o di Aghia Triada. Qualcuno porta una grande apertura nella zona dell’immanicamento. Ma molto frequentemente ci sono pure le varietà a lama allungata e con nervatura e a bordi concavi. Un’abbastanza forte disparità si nota nella forma del settore dell’assoggettamento al manico: paletta semi-circolare, triangolare, trapezoidale, i rivetti, da due a quattro, sono disposti in maniera simmetrica. Una buona serie di queste daghe provengono dai tholos di Messara.

            La metallurgia cretese dell’epoca produrrà pure delle piccole asce, molto piatte, con due buchi di fissaggio, la cui funzione poteva essere soprattutto ornamentale, delle lesine, degli spilloni, delle pinze per depilare. Fra gli utensili del quotidiano sono di conseguenza utilizzati dei bulini o ceselli, dei coltelli, delle seghe. Delle doppie asce erano qualche volta costituite da due pezzi assemblati, ma si è scoperta a Vasiliki uno stampo che serviva a fabbricare degli strumenti in un solo pezzo.

            Su quali basi materiali poté svilupparsi una tale industria?. L’opinione degli autori, su questo punto, varia. Potrebbero aver utilizzato un rame locale anche se, contrariamente a Cipro le possibilità cretesi erano, in questo campo, limitate. Non si conosce che qualche giacimento nel sud, nei monti di Asterussies o nell’ovest dell’isola. Certamente, resti di attività metallurgica esistono manifestamente in più abitati come a Myrtos. Ma le potenzialità locali furono sufficienti per alimentare la bella industria metallurgica cretese del III millennio?. Si può dubitare. E certi archeologi, come K. Branigan, evocano l’ipotesi di un apporto di minerali esterni. Diverse possibilità orientano verso la Grecia continentale, ma non si possono escludere importazioni antiche di minerale cipriota. Queste supposizioni troveranno qualche tipo di supporto nell’allargamento dei contatti tra Creta e diverse regioni del Mediterraneo orientale. Questo movimento si induce dalla presenza di qualche prodotto straniero: sigilli d’avorio, sigilli cilindrici, scarabei egiziani, pugnali di tipo siriano. Ma certi autori dubitano di un commercio di rame con Cipro prima del 2000 a.C. Gli utensili e le armi importati alla luce a Creta sono frequentemente di rame arsenicale, e le percentuali di quest’ultimo elemento potrebbero indicare che si ha già qualche volta da fare con leghe internazionali. Qualche analisi sembra pure mostrare un ricorso ai bronzi di stagno, senza che l’origine di quest’ultima materia sia, per certe epoche, chiarita.

 

Le Cicladi

 

            Le Cicladi mostrano una pratica della metallurgia largamente ricalcata, in cronologia, su quella di Creta. È vero che in un’epoca, all’inizio del Bronzo Antico, la circolazione degli uomini e dei prodotti attraverso l’Egeo conobbe uno sviluppo fin qui senza precedenti, facendo della posizione geografica delle isole altrettante terre di scalo, dei luoghi di sosta naturali che non potevano che tentare marinai o avventurieri. Le isole dunque erano propizie ai contatti, favorendo la trasmissione delle tecniche o dei pezzi finiti. Nel corso del III millennio, la loro dinamica popolazione fu largamente chiamata alla lavorazione delle rocce – come il marmo – e dei minerali: argento, piombo, rame. Fino al giorno d’oggi, il totale della produzione cicladica di oggetti in metallo si stima a circa trecento pezzi conosciuti. Su questo insieme, il 60% dei pezzi è di rame, il restante 40% si divide tra piombo e argento.

Tutto sembra essere qui iniziato nella prima metà del IV millennio, dunque verso la fine del Neolitico, per dei tentativi isolati realizzati nell’abitato di Kephala, a Keon, dove resta qualche traccia di lavorazione del rame. I progressi furono lenti. Durante il semi-millennio 3500-3000 a.C., non si conosce affatto che qualche oggetto in metallo uscito da una tomba di Paros o, sulla stessa isola, dal sito di Avyssos. Tuttavia l’argento è già utilizzato, assieme al rame, per la fabbricazione dei gioielli: testimonio, un collier di perle da una sepoltura di Louros a Naxos. Il piombo è ugualmente attestato nell’abitato di Chiromylos a Despotikon.

È essenzialmente a partire dal 3100-3000 a.C. che la metallurgia prende il suo volo. Certo qualche isola appare come privilegiata: Syros, Naxos, Kythnos, Amorgos, ma altre terre dell’arcipelago hanno mostrato che esse non erano escluse da tale corrente. Sull’isola di Syros, il deposito di Kastri era costituito da due spilloni, due lesine a sezione quadrangolare, otto ceselli stretti ed allungati e una lama di sega. Le serie del cimitero vicino a Calandriani sono molto variate: asce piatte allungate, a tranciante dritto o arcuato, coni con l’estremità arrotolata oppure perforatori, spatule, ami, pugnali di diversi modelli, pinze. Gli ornamenti sono degli aghi a due punte, dissimmetrici, delle varietà a cruna, di altre a testa di doppia spirale, una specie di spillo a terminazione zoomorfa di cui si trovano dei paralleli in argento ad Amorgos e nel nord - est dell’Egeo. Syros è dunque stato un centro metallurgico attivo come lo confermano, tra altri dati, i crogioli e gli stampi di Kastri.

Le sepolture di Naxos sono, esse pure, abbastanza ben fornite di rame: cunei, fordici e sega ad Aila, asce piatte a Ormos Apollona. Come a Creta, i pugnali cicladici  mostrano delle sensibili varianti: la sega può essere un trapezio con dei rivetti (tomba di Dhokatismata a Amorgos); la lama presenta qualche volta una doppia apertura (sito di Stavros a Amorgos); si trovano pure dei modelli di daghe più affilate (Stavros).

Una menzione tutta particolare deve essere fatta al deposito di Kythnos in ragione del carattere elaborato di alcune dei suoi strumenti: forbici, cunei perforati, asce a immanicamento e bottone terminale, asce-piccozza. 

Le Cicladi poterono sfruttare, sullo stesso arcipelago, il rame di Seriphos o di Kithnos o importare questo metallo dopo lo sfruttamento di Laurion, in Attica. Le analisi hanno mostrato, come a Creta, un uso frequente del rame arsenicale. Queste opere all’arsenico sono presenti nella maggior parte negli insiemi conosciuti. Dalle qualità testate, deve trattarsi di alligazioni accidentali più che miscugli intenzionali, questi tuttavia sempre possibili. Per contro, i rari bronzi di stagno testati, per esempio a Kastri, sono probabilmente di importazione dall’Asia Minore. Si sa che la regione di Troia padroneggiava già nel III millennio la tecnica delle leghe.

 

 

 

L’oreficeria e l’argenteria egea.

 

Ecco un campo dove, nel III millennio, le culture egee – e lo spazio cretese in modo particolare – hanno dato un grande dimostrazione del loro talento.

In Creta, per esempio, le tombe di Mochlos hanno fornito delle vestigia di rara qualità. Bandane e diademi, costituiti da una lunga placca d’oro, riportante frequentemente una decorazione a germogli, ‘a sbalzo’: scanalature, disposizione a spiga, semplici linee di punti le più frequenti. I motivi sono qualche volta più originali: così il tema dei canides affrontati o in fila che si ritroverà su di un diadema in argento di Chalandriani o ancora quella bandana a due occhi così espressivi che fanno di questa parure una sorte di maschera d’Arlecchino. Le tombe di Mochlos hanno fornito altri resti d’oreficeria anch’essi del tutto eccezionali: pendenti in forma di foglia o di fiore, anelli da orecchi, anelli, braccialetti a corpo d’elica, piccoli gusci destinati ad essere fissati su tessuto, etc. le sepolture circolari di Platanos hanno, pure esse, fornito dei piccoli tesori di oreficeria: una catenina terminante con un pendente conico e un collier di perle cave ognuna con un rigonfiamento centrale decorato a spighe, delle scanalature, a spirale, costituite da un piccolo filo d’oro riportato.

Della tomba di Aghios Onouphrios sono stati estratti degli oggetti circolari perforati, di sezione conica, muniti di una appendice laterale. Uno spillone a piccola pala terminale proviene da Archanes.

Va da sé che questi oggetti preziosi, esclusivamente portati alla luce nelle sepolture, costituiscono dei segni distintivi della personalità del defunto. Le bandane, in particolare, potevano ornare i vestimenti dei morti. Disposte sulla fronte, grazie a un sistema d’attacco, i bei diademi rallegravano i potenti o le dame che ne erano parate. Una di queste placche d’oro, scavate in un tholos di Lebena, presenta veramente alle sue estremità  due fili d’oro, arrotolati a elica, che permettevano il fissaggio alla nuca di questo ornamento.

Ma sono soprattutto le eleganti salsiere in oro, copie di pezzi di terracotta, che fanno la celebrità  dell’oreficeria egea. Queste tazze con becco per versare provengono, pensate, da officine del continente. Di là, dovrebbero essere state diffuse in diverse regioni del mare Egeo.

L’argento non è da meno, del resto, in questa utilizzazione dei metalli preziosi per degli artigiani sperimentati: come a Troia o a Alaca Höyük, dove sono stati reperiti dei recipienti (Amorgos); l’argento è pure servito a formare diademi. Uno proveniente dal cimitero di Dhokatismata ad Amorgos, possiede, al di sopra della fascia, un motivo ritagliato a denti di lupo. Più originale ancora era l’ornamentazione del diadema  dell’abitato di Chalandriani (Kastri): su una banda larga 5 cm sono stati incisi a sbalzo tre cerchi a motivo stellare forse simbolizzando degli scudi; alle estremità, due personaggi con testa di uccello, braccia aperte, e sembrano evocare, nel loro atteggiamento  e la loro composizione, certe figurine d’epoca micenea; al centro infine, separati da un cerchio, due animali portanti un collare  - all’apparenza cani – di fronte l’uno all’altro. Altri ornamenti come gli spilloni provenienti essenzialmente dalle necropoli di Chalandriani  a Syros e di Amorgos. Da quest’ultimo cimitero è uscito uno spillone terminante con un animale scolpito, tema ben noto in Anatolia (Troia, Alaca Höyük) o nell’Egeo del Nord-Est (Poliochni).

Si è pure utilizzato l’argento per la confezione di lame di pugnale. Questi, di tendenza allungata, presentano una netta nervatura assiale e alcuni buchi per i rivetti (da quattro a sei). Un buon numero è stato ritrovato specialmente nei tholos cretesi di Tekes, di Koumasa e di Galana-Charakia Viannou. La scoperta di questi pezzi fra i corredi dedicati ai defunti sembra indicare che si tratta di strumenti cerimoniali o di prestigio, non usuali nelle vita quotidiana.

Questa stupefacente concentrazione di pezzi di metallo prezioso (ai quali vanno aggiunti certi oggetti di piombo) sottolinea ancora l’importanza delle stratificazioni sociali in corso. Dall’inizio della metallurgia del III millennio, con un decollo rapido e definitivo, si assiste a una forte tesaurizzazione nelle tombe di pezzi d’oro, d’argento e di bronzo. Così la sottrazione di un certo numero d’oggetti di valore favoriva l’estrazione  di minerali e la fabbricazione di nuovi gioielli rispondenti a una domanda incessantemente rinnovata. Si osserverà, d’altra parte, che l’importanza dell’argento e del piombo fra i corredi delle Cicladi è legata allo sfruttamento di giacimenti locali.

 

Miniere di piombo dell’Egeo.

 

            Fin qui non abbiamo per niente parlato di piombo. Tuttavia questo metallo fu, pure lui, utilizzato molto in antico. Delle perle in piombo sono state trovate, relative al VII millennio, a Çatal Höyük (Turchia). Le tracce di lavorazione di questo metallo, con probabile fusione del minerale, sono note a Yarim Tepe (nel sud-est turco) del VI millennio e poco dopo a Arpachiyah in Iraq. Alcuni autori propongono pure che la metallurgia abbia potuto debuttare prima di quella del rame pensando alla facile fusione della galena, il principale minerale di piombo. È possibile ottenere, per fusione della galena, piombo con una temperatura di 800°C, mentre la fusione dei minerali di rame (malachite, azzurrite, calcopirite) necessita di temperature vicine ai 1100°C. Le più antiche tracce di rame fuso in Iran  (Tepe Yahya) o in Europa (Ai Bunar, Rudna Glava) non saranno posteriori alle prime prove di fusione del piombo?. Semplice ipotesi. In questa inchiesta sulle più antiche tracce del metallo fuso la ricerca rivela sempre delle sorprese.

            Il minerale di piombo presenta, d’altra parte, il vantaggio di contenere dell’argento metallico. La separazione dei due metalli è effettuata col procedimento della coppellazione: il minerale piombo-argento viene fuso a 1100°C circa in una corrente d’aria; il piombo si ossida mentre l’argento si deposita. È quindi doppio l’interesse che potevano presentare i giacimenti ricchi in piombo poiché, al di là di questo metallo, permettevano di ottenere pure argento. Questo spiega la prospezione e lo sfruttamento dei giacimenti di piombo delle Cicladi (Melos, Thera, Seriphnos, Kimolos, Antiparos, Mykonos, Anaphi e soprattutto Syphnos) o sul continente (Laurion). Nel Bronzo Antico, il piombo è stato utilizzato in Egeo per fini utilitari: confezione di pesi da reti, riparazione di vasi rotti. In questo metallo si sono pure colati degli ornamenti: braccialetti, anelli. Il piombo è stato utilizzato ugualmente per la fabbricazione di pezzi simbolici come quella piccola, figurina  di Antiparos o i modellini di lunghe barche trovate a Naxos.

Nelle Cicladi l’antichità dello sfruttamento delle miniere di Siphnos, che contenevano un miscuglio di piombo, di antimonio e d’argento, è stata recentemente dimostrata con delle ricerche condotte nel sito di Aghios Sostis. Le datazioni assolute di questo giacimento sono sovrapponibili a quelle concernenti la fase ascendente della metallurgia nel mare Egeo. Lo sfruttamento era in attività all’inizio del III millennio. Si sono pure scoperti nei dintorni ceramica preistorica e frammenti d’ossidiana, ma soprattutto martelli di pietra e cunei triangolari. Tracce di antichi lavori sono visibili sulle pareti della miniera così come in altri siti dell’isola (Aghios Silvestros, Vorini, Kapsalos, Xero Xilon, Aghios Jioannis, Plati Yalos).

In Grecia continentale, una delle miniere di Laurion (pozzo 3 di Thorikos) dovrebbe essere stata in attività pure nel corso del III millennio: vi si estraeva piombo e argento.

Fine prima parte

traduzione di Gabriele Fogliata

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