L’ANTICA”
VIA D’ALEMAGNA”
di Leonardo Carandini
Estratto
da L’UNIVERSO, rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare
anno LXII, n° 3 maggio –giugno 1962
Il valico del Brennero sulla fine del Seicento
Se,
per i grandi valichi storici delle Alpi si volesse fare una graduatoria di
simpatia basata sulle sensazioni immediate che la semplice pronuncia del loro
nome può determinare in molti di noi italiani, il Brennero occuperebbe
probabilmente l’ultimo posto. Questo senso di antipatia non è solamente
provocato dalla sua dura fonetica: la verità è che la semplice parola Brennero
ci fa rabbrividire, rievocandoci invasioni barbariche, elmi chiodati, tragiche
tradotte di deportati, attentati dinamitardi. Noi Cisalpini non amiamo queste
cose e, quasi sempre, non riusciamo a condividere l’opinione di J. P. Richter,
il romanziere tedesco che asseriva esser la guerra la corroborante cura di ferro
dell’umanità.
Ha dunque una triste fama questo passo alpino evidentemente molto caro a
Marte, ma, in realtà l’unico suo vero torto, posto che un passo possa
avere ragione o torto, è quello di essere sempre stato troppo facilmente
valicabile. Da ciò è dipeso non soltanto il gran numero di invasioni che
attraverso di esso si sono riversate nei secoli in Italia, ma anche, caso raro
nella catena alpina, l’insediarsi di un ceppo etnico al di là e al di qua del
logico confine dello spartiacque con i conseguenti problemi nazionalistici e
irredentistici ancora di grande attualità.
A
mitigare la “mala reputazione” del Brennero è inoltre onesto
ricordare che le grandi invasioni barbariche penetrate attraverso di esso nella
nostra penisola, non fecero che percorrere in senso inverso la strada che i
nostri antenati romani, che probabilmente avrebbero condivisa la citata teoria
del Richter, avevano costruita e
utilizzata qualche se colo
prima diretti al Danubio. Occorre infine considerare che la via del Brennero
ebbe sempre importanza commerciale per lo meno pari a quella militare e che
attraverso di essa, dai tempi più remoti, transitò una grande quota degli
scambi tra il bacino del Mediterraneo e il Nord Europa. Nei tempi moderni poi,
la strada costruita dall’Austria nel 1772 attraverso il passo, la prima
carrozzabile che valicasse le Alpi, e in seguito, nel 1867, la ferrovia,
pioniera anch’essa delle linee alpine, fecero di questo itinerario il più
importante passaggio tra la valle del Danubio e la pianura padana.
Praticamente
tutti i grandi valichi della chiostra alpina a est del colle di Tenda si trovano
sopra ai duemila metri sul livello del mare. È pertanto modesta l’elevazione
del Brennero che
raggiunge soltanto i 1375 metri e a questo fatto e alla sua privilegiata
posizione che ne permette il valico con il superamento di un solo contrafforte
per valli diritte e di accesso relativamente facile, questo passo deve la sua
fortuna. Sul versante austriaco della catena alpina la via corre agevolmente
lungo la valle del Sill che confluisce nell’Inn immissario del Danubio. Su
quello italiano la valle dell’Isarco, che nasce appunto dall’altipiano del
valico, è accessibile non soltanto dalla valle dell’Adige, attraverso le vie
di Bressanone, quella della Val Sarentina e quella del passo del Giovo, ma anche
dalla grande e comoda vallata della Pusteria. L’uso di queste differenti vie
d’accesso fu condizionato nei secoli a situazioni politiche ed essenzialmente
al loro stato di manutenzione e sicurezza, ma la semplice possibilità di scelta
del percorso di accesso assicurò sempre al Brennero una posizione di predominio
sugli altri valichi alpini orientali.
È
per lo più difficile spiegarci l’origine di molta dell’antica terminologia
alpina e anche l’etimologia del nome Brennero non è chiara.
È
opinione dei toponomasti che Brennero derivi dall’antica popolazione dei
Breuni che un tempo avrebbero abitato quel distretto montano, ma è curioso il
fatto che, sino al XIV secolo, questo nome non compaia. Non risulta anzi che il
passo avesse un tempo un nome classico in quanto lo troviamo definito
genericamente come ‘Via per Alpes Noricas’ o, ancora, come ‘Vallis
Vipitena’, termine questo che stava certo ad indicare l’unità
amministrativa comune ai suoi due versanti.
Nel 1574 il Simler, nella sua ‘ Alpium desciptio’, riferiva:
‘A Tridento per montis Cremeris clementia juga in Vindeliciam et ad loca ad
Aenum amnem Hispurcho oppida proximo penetratur’, lasciando presupporre
che questo ‘Mons Cremeris’ fosse il Brennero. Lo stesso autore però,
descrivendo l’itinerario ‘ per Tridentinas Alpes’, nominava il ‘vicus
ad Brennum montem, den Brenner, quen quidam Pyreneum vocant’. Non deve
stupire il termine di monte usato un tempo per gli stessi valichi, in quanto per
monte s’intendeva la zona più elevata che occorreva percorrere seguendo un
dato itinerario. I veri monti, le cime, sino a pochissimi secoli fa non
interessavano i viaggiatori e sovente non avevano neppure un nome. Nel 1687
Misson, chiamando il valico ‘Brennerberg’, spiegava che questo nome
significa montagna infiammata a causa dei fulmini frequenti in estate in quella
zona, la stessa spiegazione dava Deseine nel 1696. Il richiamo al fuoco è
comunque chiaro nell’etimologia tedesca di Brenner un tempo, a quanto riferiva
lo Stieler, chiamato anche monte Pirene.
Le falde della catena alpina incominciarono a essere abitate molti secoli dopo il ritirarsi dei ghiacciai e i rinvenimenti archeologici provano che soltanto nella tarda età del bronzo popolazioni ‘terramaricole’ si erano insediate lungo il versante montuoso. [Risale a questi ultimi decenni il ritrovamento della presenza mesolitica in zona. N.d.R.] Altri secoli però trascorsero ancora prima che l’uomo osasse addentrarsi nella catena alpina e attraversarla nei tratti meno scoscesi. Per quanto riguarda in particolare i valichi orientali delle Alpi, pare che il loro normale impiego si possa far coincidere con la fine della prima età del Ferro (sec. VII-V a.C.) o con la successiva età Gallica. I romani che già nel 221 a.C. si erano insediati nel Veneto, riuscirono a risalire la Valle dell’Adige al di là del ‘Municipium Tridentinum’ soltanto nel 14 a.C. e fu appunto in quell’anno che Druso fece costruire nei pressi di Bolzano quel ponte sull’Adige che diede il nome alla stazione di Pons Drusi ricordata nella Tavola Peutingeriana. Il valico del Brennero, che probabilmente era già stato utilizzato dall’invasione Cimbra del 102 a.C., fu per un certo tempo poco praticato dai Romani che ritenevano più comodo il tracciato provinciale della Via Claudia Augusta, quella cioè che, attraverso la Val Venosta, valicava le Alpi al passo di Resia. Gradualmente però la via venostana perse d’importanza e, da Merano, risalendo la Val Passiria, attraverso il passo del Giovo, il traffico andò incanalandosi per la valle dell’Isarco e il Brennero. Per di più, una via che partiva da Aquileia, ricordata nell’Itinerario di Antonino, si univa anch’essa, attraverso la Pusteria, alla valle dell’Isarco. Già all’epoca di Marco Aurelio da Pons Drusi, cioè da Bolzano, era stato adottato anche un nuovo tracciato che, attraverso le stazioni di Sublavio (Chiusa), e di Vipitenum, risaliva la valle inferiore dell’Isarco. In un primo tempo venne utilizzato un antico sentiero retico che, reso nuovamente praticabile sotto
Caracalla,
risalendo il fianco orientale del Renon, scendeva nella valle dell’Isarco dopo
Chiusa e, all’inizio del V secolo d.C., sotto l’imperatore Massenzio, il
tracciato di questa via fu portato lungo il fiume, elevandosi soltanto dove la
valle si faceva più stretta. Questo nuovo itinerario, il più diretto dalla
valle dell’Adige al passo del Brennero, soppiantò definitivamente l’antica
Via Claudia e s’impose anche su quella del Monte Giovo. Nei pressi di Fortezza
è ancor oggi visibile un buon tratto della grande strada romana del Brennero
larga dai 2,50 ai 3 metri, tracciata sul fondo roccioso e sovente costituita da
blocchi di pietra squadrata segnati
da profonde carreggiate, che, più che dal passaggio dei carri, paiono esser
state incise a bella posta per servire da guida a questi. Si è molto discusso
circa l’esatto tracciato dell’itinerario del valico, sinché, qualche anno
fa, durante i lavori di sistemazione della vecchia strada austriaca nei pressi
del lago del Brennero, sono venuti alla luce a poca profondità e perfettamente
conservati, i resti dell’antica via romana che si snodava più o meno lungo
l’attuale percorso. Dal passo, la strada scendeva verso Matrei e Wilten lungo
le valli del Sill e dell’Inn verso il Danubio.
Sino
a tutto il quarto secolo dopo Cristo, sotto Diocleziano, il traffico militare e
commerciale si svolse ininterrotto sul colle, alimentato dalle tre grandi vie
che vi affluivano da Roma e dal mare: quella che, lungo la valle dell’Adige
immetteva direttamente a Bolzano nell’Isarco, quella ‘altinate’ che dai
pressi di Venezia risaliva il Piave e s’inseriva a Dobbiaco nella Val Pusteria
e infine quella che, dalla grande base romana di Aquileia, saliva per Julium
Carnicum (Zuglio), sino ad Aguntum (Lienz) immettendosi anch’essa nella
Pusteria. Da Altino, risalendo la valle del Piave, era possibile poi riportarsi
nella valle dell’Adige a Trento attraverso la Val Sugana. Un’importante rete
stradale grazie alla quale i Romani poterono assicurarsi i più grandi successi
militari e commerciali.
Con
il quinto secolo, allo sfaldarsi dell’Impero d’Occidente, ogni traffico
commerciale cessò sul colle che si aprì alle grandi invasioni barbariche. Per
più di otto secoli eserciti invasori si riversarono attraverso di esso verso la
pianura del Po. Prima i Marcomanni e i Baiuvari poi, via via, i Goti,
gli Ostrogoti, i Lombardi, i Franchi. Si vuole che queste
spedizioni militari attraverso il Brennero siano state poco meno di settanta.
Con i villaggi incendiati, i campi incolti, le strade in rovina, quella zona del
valico si era trasformata in un vero rifugio di briganti. È
vero che ogni nuova ondata di invasori serviva ‘ à nettoyè le monts de
tous les autres malandrins qui les infestoient’,
ma, come rileva il Grand Carteret, ‘ils nettoyaient tant si bien
qu’après leur chevauchèe il ne restoit plus rien, même un supçon d’herbe.’
Attorno al mille la grande via romana del Brennero, completamente in rovina, continuava ad essere percorsa da eserciti e imperatori. Abbiamo notizia del passaggio della salma di Ottone III riportata ad Aquisgrana nel gennaio 1002, del passaggio di Enrico V nel febbraio del 1116 e di Federico I nel 1163. Anche qualche pellegrino diretto a Roma o a Gerusalemme dalla Germania incominciava a scegliere l’itinerario del Brennero e lungo il percorso venivano sorgendo rifugi e ospizi dovuti alla pietà (o alla convenienza) dei Cavalieri di Gerusalemme o di altri ordini equestri teutonici. La via però era ancora malsicura e al brigantaggio isolato se n’andava aggiungendo uno ufficiale e più organizzato: quello esercitato dai castellani infeudati lungo le valli dell’Adige, dell’Isarco e del Sill che taglieggiavano a piacere i viandanti. Si ha addirittura notizia che a Gossensass (Colle Isarco), proprio sotto il valico, sul versante italiano, operasse per un certo tempo una banda di ladroni che era alle dipendenze del feudatario del posto. Tra il secolo XI e XII, il dissolto regime feudale fece posto ai principati ecclesiastici di Aquileia, Trento e Bressanone e, al di qua e al di là della catena alpina, tra l’Inn, l’Adige e l’Isarco, si creò la Contea del Tirolo che lentamente andò emancipandosi dal potere imperiale.
Il piccolo villaggio del Brennero nel Settecento
Il
valico del Brennero divenne
così un valico tirolese, ma,
pur perdendo in certo modo il suo carattere internazionale, la via, resa più
sicura, ricominciò a prosperare e, con il XIII secolo, malgrado le pessime
condizioni stradali e gli alti pedaggi richiesti dai Conti del Tirolo, era già
percorsa da un discreto traffico commerciale. Erano essenzialmente
gl’intraprendenti mercanti veneziani che avevano osato per primi affrontare i
rischi e le fatiche della traversata per stringere rapporti di affari con il
mondo transalpino e già nel 1287 risulta che lungo la via e sul passo del
Brennero la loro moneta era correntemente accettata. Attraverso la Pusteria i
Veneziani raggiungevano a Fortezza la valle dell’Isarco evitando il tratto
Trento-Bressanone con il disagevole passaggio tra Bolzano e Chiusa. In questo
tratto l’antica via correva al di sopra della valle per evitarne le strettoie
e il suo percorso diventava più lungo e faticosissimo. Tra il 1314 e il 1317 un
bolzanese, Heinrich Kunter, costruì una nuova strada che, correndo in fondo
alla valle a fianco del torrente, evitava il gravoso dirottamento del tracciato
romano. Doveva essere una specie di cunicolo, stretto e scomodo, difficilmente
praticabile nei periodi di piena dell’Isarco, ma, per quei tempi fu
considerata una grande opera e a quel tratto di strada, sempre leggendariamente
pericoloso, rimase il nome di ‘Kunterweg’.
Nel
1363 il versante Cisalpino del Tirolo passò ai Duchi d’Austria e da allora,
salvo che per brevissimi periodi, pur sempre conservando la sua unità etnica,
rimase in mani asburgiche fino al 1918. Furono le Signorie italiane ed
essenzialmente la Repubblica di Venezia che contennero per più di cinque
secoli l’espandersi a sud dei tedeschi. Lungo il tipico itinerario del
Brennero, quello che da Bressanone e Bolzano scendeva lungo l’Adige a Verona,
il confine venne gradualmente spostato dai Veneziani, sino al Principato di
Trento. Pur fronteggiandosi però, sia i Veneziani che i Tirolesi furono
sempre interessati a mantenere attivo il transito commerciale lungo la ‘Via
d’Alemagna’ e così l’intensità del traffico andò sempre più
aumentando. A Venezia il Fondaco dei Tedeschi eretto nel 1228 assunse
sempre maggiore importanza e quando, nel 1505, l’antico edificio fu distrutto
da un incendio, venne subito ricostruito ancor più grande dai tedeschi sempre
interessati a mantenere una base commerciale sull’Adriatico.
Sul
valico del Brennero il transito di merci era pressoché continuo e lungo i
tratti più pericolosi del percorso erano imposte particolari norme che
limitavano il carico dei mezzi trainati. A
dorso di animali o di rudimentali carriaggi trainati per lo più da bovi,
scendevano in Italia tessuti, pelli, metalli di ferro e di rame, mentre al di là
delle Alpi erano diretti velluti, tessuti di Damasco, sete, spezie, olio,
zucchero, frutta seccata oltre a grandi quantità di vino. Ad animare
ulteriormente l’importante itinerario contribuivano le fiere di Bolzano. Ogni
anno in primavera e autunno avevano luogo quattro di questi importantissimi
mercati, veri incontri tra l’economia del Nord Europa e quella mediterranea a
cui affluivano mercanti d’ogni paese. La ‘Kunterweg’, tra Bolzano e
Chiusa, sempre soggetta a frane e valanghe e alle piene dell’Isarco, veniva in
quei tempi evitata dal grande traffico veneto, che preferiva la via della
Pusteria più lunga ma più sicura. Nell’intento di convogliare tutto il
flusso commerciale attraverso Bolzano, Sigismondo del Tirolo, nel 1483,
fece apportare a tutta la via e in modo speciale alle strettoie dell’Isarco
lungo la vecchia strada tracciata dal Kunter, sostanziali migliorie. In
collaborazione con un ingegnoso prete di Bressanone, usando, forse per primo, la
polvere da sparo per minare le rocce, Sigismondo sistemò e livellò il fondo
stradale e tanto efficiente fu la sua opera che praticamente tutto il traffico
per il Brennero venne in breve ad incanalarsi per le valle dell’Adige e
dell’Isarco. È vero che in differenti periodi, ancora nel XVII secolo, per
varie cause, essenzialmente politiche, si continuò anche ad usare la via che da
Vipiteno ascendeva a Bolzano attraverso la
Val Passiria, ma, in linea generale,
dal 1485 la vera ’Via d’Alemagna’ correva lungo tutto il percorso
dell’Isarco. Il domenicano Felix Faber che, nel 1481, diretto in Germania,
aveva dovuto percorrere con gran pena l’antico tracciato romano tra Bolzano e
Chiusa seguito da un uomo che gli reggeva per la briglia il cavallo, di ritorno
in Italia nel 1843, scriveva: ‘Là dove soltanto quattro anni prima nessuno
poteva passare, oggi possono facilmente circolare vetture da viaggio e da
trasporto ‘.
Il castello di Trotsburg, tra Bolzano e Bressanone
Con
il crescere del traffico, nel 1600, venne anche presa in considerazione l’idea
di rendere navigabile l’Adige tra Trento e Verona, ma il progetto, studiato
dal veneto Bertazzolo, rimase praticamente inattuato. Qualche mezzo adibito al
trasporto dei viaggiatori dovette funzionare lungo il fiume nel XVII secolo e
nel manoscritto del Breundel, del 1652, che si trovava presso la Biblioteca
Civica di Norimberga, erano elencati i prezzi per il percorso in zattera da
Bronsolo,presso Bolzano, a Trento e da Rovereto a Verona.
I
corrieri postali andavano stabilendosi e perfezionandosi in velocità e se nel
1473 da Amburgo a Venezia essi impiegavano 14 giorni, questo tempo venne in
seguito ridotto a una settimana e, nel 1494, un messaggero venne da Norimberga a
Venezia nell’incredibile tempo di quattro giorni. La strada continuò ad
essere sempre ben mantenuta e, nel 1580, il Montaigne che s’era imbattuto in
gruppi di operai che la riattavano, dichiarava che contrariamente a quanto gli
si era voluto far credere, la via del Brennero non presentava alcuna difficoltà
e che avrebbe potuto far passeggiare, lungo questa, sua figlia che aveva otto
anni, con la stessa sicurezza che in un viale del suo giardino in Francia.
Già
nel XVI secolo il problema dei passaggi invernali era stato, almeno
parzialmente, risolto con l’impiego di slitte trainate da cavalli, ma il
pericolo di valanghe o di frane, irrilevante sul valico, sussisteva ancora lungo
le gole del basso Isarco che costituirono sempre il punto debole
dell’itinerario del Brennero. Le numerose cappelle votive erette fin dal XVI
secolo lungo questo tratto della strada, attestano che, nonostante non si abbia
notizie di grandi sciagure, il transito vi fu sempre avventuroso. Anche nel
‘700, dopo la costruzione della grande strada carrozzabile, i viaggiatori non
mancavano di sottolineare i rischi di questo tronco.
La
scoperta della nuova via delle Indie, rallentò in qualche misura l’intensità
del commercio veneziano nella seconda metà del XVI secolo. Ma la strada del
Brennero aveva già assunto importanza internazionale e al traffico commerciale
andava ad affiancandosi un sempre crescente via vai di viaggiatori, molti dei
quali, testimoni attentissimi, ci hanno lasciato molte notizie e impressioni
sulla zona. Celebre la descrizione di Montaigne che viaggiò attraverso il passo
rimanendo per dieci ore a cavallo sofferente per una delle tante sue coliche
renali, non lamentandosi che del terribile polverone della strada. Era
partito a cavallo all’alba del 25 ottobre
da Innsbruck per arrivare a Trento la sera del 28.
Sino
al XV secolo non pare esistesse possibilità d’alloggio sul valico e i
viaggiatori che entravano in Italia pernottavano a Vipiteno o si spingevano sino
a Bressanone. L’albergo della Posta
sul Brennero è menzionato forse per la prima volta, nel 1693, da un prete di
Treviri che aveva diligentemente annotato sul suo diario: ‘si salisce il
monte detto Brenner. Nell’osteria che si trova in sua sommità, pranzassimo
assai bene’. In generale tutto il percorso dal valico a Trento era servito
da buoni alberghi. Così ‘l’Aquila’ di Bressanone, ‘il Sole’,
‘il Leon d’Oro’, ‘la Chiave’, ‘la Campana’ di
Bolzano. Trento poi, che nel XVI secolo aveva per tanti anni ospitati gli
illustri componenti del grande Concilio, offriva una perfetta attrezzatura. Tra
i migliori alberghi di questa città erano ‘la Corona’, gia ricordata
nel 1419 da Hans Porner ed un secolo dopo da
Dietrich von Ketzler, ‘il Cappello’ che ospitò
Von Hanau
nel 1484 e, più celebre, ‘la Rosa’, definito ancora nel
‘600 ’alloggio eccellente’. In questi alberghi, usanza che continuò
per tutto il XIX secolo, i viaggiatori venivano intrattenuti da cantanti,
attori, giullari. Nel 1492 un
ambasciatore veneziano diretto al nord, raccontava di essere stato dilettato
nell’albergo di Trento da un uomo e una donna che cantavano assieme suonando
curiosi strumenti. Due giorni dopo, a Bolzano, fu la volta di un equilibrista
che camminava sulle mani, mentre in un albergo di Chiusa fu divertito da alcuni
cantanti, uno dei quali era un bambino. A cantanti e attori si univano, come
lungo tutte le strade di grande transito, turbe di accattoni e infelici che
ostentavano le loro piaghe per impietosire i passanti.
Trento nel 1825
L’inglese
Misson che scese in Italia nel 1687 è uno dei più accurati descrittori
dell’itinerario del Brennero. Da lui apprendiamo che in sette ore si era
portato da Innsbruck a Gross dove aveva pernottato. Di lì, il giorno appresso,
era giunto in due ore sul valico fermandosi poi a Vipiteno a mangiare ‘ostriche
provenienti da Venezia ed un certo animale che si chiama stambecco’.
Scendendo
lungo la valle dell’Isarco s’era imbattuto in quella
giornata in
più di cento
carri
trainati da bovi e in molti carretti a ruote spinti a mano da quei montanari
vestiti nei loro caratteristici costumi a cui già
non mancava il tipico cappello verde. A Bressanone Misson lamentava che
gli appartamenti migliori erano ai piani più alti delle case, commentando: ‘È
vero che lassù si è più lontani dai rumori, ma la fatica per salirci
costituisce un grave inconveniente’. A proposito delle strettoie della
bassa valle dell’Isarco egli rilevava: ’Da Bressanone a Bolzano, che sono
a sette ore l’una dall’altra, si passa quasi sempre tra il fiume e la
montagna. Le rocce della montagna franano continuamente rendendo pericolosa la
strada. Vi si è rinchiusi come in una stretta, in molti punti, e non c’è
spazio per avanzare o indietreggiare. Tutta la via è seminata da cappellette
votive per le varie disgrazie successe a carrozze che si sono rovesciate per le
cattive condizioni della strada. Entrando nella valle di Bolzano siamo rimasti
colpiti per la grande mitezza dell’aria’.
Il
rapido mutamento di clima, di paesaggio, di costumi fu sempre oggetto di grande
meraviglia da parte dei viaggiatori che per la prima volta passavano le Alpi
scendendo in Italia, affascinati in genere dalla popolazione della pianura
veneta, più spensierata, certo meno onesta, ma allo stesso tempo più
morigerata di quella teutonica. Il Duca di Rohan nel 1614, giunto a Trento,
lasciandosi alle spalle il mondo tedesco, si rallegrava di essere finalmente
uscito da quella che lui definiva ‘petite barbarie et bouvette universelle’,
rilevando scherzosamente che tutti i matematici del suo tempo non sarebbero
stati capaci di calcolare il perpetuo movimento imposto ai loro bicchieri dai
tedeschi. ‘Questi‘, egli osservava, ‘sono gente valente, fedele,
ingegnosa, studiosa…’, ‘mais ceste si grande frèquentation du
bouteille, obscurcit tellement les autres belles parties…’.
La Val Sugana nei pressi di Primolano
Nel
1772, avvalendosi di ingegneri italiani, Maria Teresa d’Austria fece
radicalmente modificare la Via Imperiale, rendendola una vera
carrozzabile moderna, la prima costruita attraverso le Alpi. Regolari e
frequenti servizi di diligenza presero a valicare il colle sempre più affollato
di grossi carri da trasporto, di carretti, di vetture private. Postiglioni
spericolati scendevano a rompicollo su Vipiteno e Bressanone facendo trattenere
il fiato ai viaggiatori disusi ai percorsi montani. La strada era molto sicura e
il traffico continuava anche di notte. Lungo tutta la via le scuderie delle
stazioni di posta erano piene di cavalli pronti a dare il cambio e gli alberghi
erano animatissimi per il continuo passaggio dell’eterogenea folla dei
viaggiatori. Goethe, che percorse questa via nel 1786, pernottò all’albergo
della Posta del Brennero e di lì, nella notte, con il plenilunio scese
su Bressanone: ‘I postiglioni correvano veramente in modo da farci rimanere
sbalorditi’, egli scriveva, ma tale era la sua gioia nello scendere in
Italia, che egli aggiungeva: ‘Perfino la polvere, così noiosa nella mia
patria, che di tratto in tratto avvolge in un turbine la carrozza, ora mi riesce
gradita’.
Con
il periodo napoleonico anche questa zona alpina tornò teatro di violenti fatti
d’arme. Il Tirolo
venne, nel 1805, aggregato alla Baviera, ma, nel 1809, l’oste Andreas
Hofer si mise a capo di una sommossa contro Baviera e Francia e per sette mesi
impegnò le truppe francesi in sanguinosi scontri che ebbero spesso per teatro
proprio la via del Brennero. La disperata resistenza dell’Hofer durò sino al
novembre terminando con la sua uccisione. Napoleone nel 1810 aggregò la regione
posta a sud del crinale alpino al Dipartimento dell’Alto Adige. Questa
scissione del territorio, se pur di breve durata, diede inizio a considerazioni
etnico-politiche senza precedenti nella storia di quella regione: per la prima
volta infatti ne fu messa in discussione l’italianità. È interessante in
proposito questo aneddoto riferito dal Canali: quando si seppe, verso la fine
del 1809 e il principio del 1810, dell’aggregazione di parte dell’Alto Adige
al Regno Italico, un prete e politicante tirolese, Giuseppe Daney, ebbe
occasione di domandare al generale napoleonico Beraguay d’Hilliers, comandante
delle truppe francesi, fin dove egli aveva l’ordine di sgomberare il Tirolo.
Poiché questi rispose di dover consegnare alla Baviera tutto il Tirolo tedesco
ma non Bolzano, il prete osservò: ‘ Ma anche Bolzano è
una città tedesca!’, ‘Jawhol!, replicò con fare beffardo
il generale, ‘Bolzano è sì una città tedesca dove però i cittadini più
ragguardevoli e la maggior parte dei commercianti parlano italiano!’.
Dopo
il Congresso di Vienna il Tirolo ritornò per intero all’Austria con
un’unica amministrazione che comprendeva per di più i territori dei Vescovi
di Trento e Bressanone. La Strada
Imperiale del Brennero nel lungo periodo di guerra si era fortemente deteriorata
e i viaggiatori dei primi anni dell’Ottocento la descrivevano come pericolosa
in vari tratti. Con Eustace Chetwode che, sotto una fitta nevicata, era passato
in slitta pieno di terrore lungo le strettoie della Chiusa. Così
quel Comte de B., autore del ‘Voyage pittoresque dans le Tyrol en 1819’.
Egli scriveva :
‘La pioggia, che era caduta abbondantemente nei giorni precedenti, aveva
aumentato considerevolmente il livello delle acque dell’Isarco
che in vari tratti fuoriusciva sino alla strada: vari affluenti dalle
montagne laterali scendevano vorticosamente in esso. I danni ch’essi
continuamente fanno alla strada sono notevoli. Sovente, dato che è impossibile
costruire ponti o dighe, occorre attraversarli con cavalli e carrozze, con
grande rischio per le pietre che le acque vorticosamente trasportano. Altro
pericolo per i viaggiatori è costituito dalla caduta di pietre, rocce, alberi,
dalle montagne a
picco.
Soprattutto
ilperiodo
del disgelo è particolarmente pericoloso: allora lo stesso rumore provocato
dalle carrozze può determinare pericolosissime valanghe. Questi incidenti sono
comunque rari e qui nessuno è spaventato’.
Anche
il ‘Dictionnaire Gèographique’ del Vosgien nel 1817 riferiva che
questo passaggio era ‘très dangereous d’hiver à cause des avalanches’.
Gli
Austriaci, padroni del Milanese e, dal 1815, di Venezia e quindi fortemente
interessati al ripristino della viabilità lungo il Brennero, fecero presto
risistemare tutta la Via Imperiale su cui il traffico non tardò a
riconvogliarsi imponentissimo. Gli alberghi lungo il percorso ripresero ad
animarsi specialmente con il nascere del piccolo turismo locale che andava
aggiungendosi al grande transito. Sul valico, l’albergo alla Posta, con
il suo tipico tetto aguzzo, sempre pieno di gente, offriva trote pescate nel
laghetto del Brennero e conservate in vivai, disponibili in qualunque stagione.
A Bolzano famoso era in quell’epoca l’albergo ‘Der Mondschein’ da
cui si poteva ammirare la stupenda chiostra montana, ma dove il sonno era
guastato dal pesante traffico del Brennero che rumoreggiava proprio di fronte:
grandi carri tirati da dodici cavalli, diligenze scampanellanti nella notte alla
luce delle loro vivaci lanterne. A Bolzano divenne anche famoso il Kaiserkrone,
la cui bella costruzione con il ‘caffè’ a pianterreno lasciava
ammirati i turisti. L’onesta popolazione locale accoglieva con affabilità i
viaggiatori che, sovente ingrati, non li ripagavano con ugual moneta nelle loro
descrizioni. Heine, a esempio, nel 1828 scriveva: ’I Tirolesi sono belli,
allegri, onesti, valenti e godono di una mentalità molto ristretta. Sono una
razza sana forse perché troppo stupidi per poter essere malati’. Anche il
grande zelo religioso dei Tirolesi era sovente oggetto d’ironia, specie da
parte del mondo protestante nordico. Un viaggiatore, docente universitario,
forse perché irritato per essere stato costretto a mangiar di magro di venerdì
in un albergo di Bolzano, scriveva nel 1829: ‘Entrammo in Bolzano tra il
brontolio dei rosari che in molte case ad alta voce si recitavano. Il culto
esterno è spinto a tal punto che le donne per la via toccano i preti che
passano e poi fanno il Segno della Croce’. Anche il Gilbert, qualche anno
dopo, lamentava di aver dovuto interrompere il pranzo all’albergo della Posta
sul passo, a causa del rosario che doveva essere collettivamente recitato.
La fantastica ferrovia a monorotaia dell’Emporio Pittoresco
La strada e la ferrovia a Ponte Isarco nel 1875
Quando
nel 1859, l’Austria dovette rinunciare alla Lombardia e al Veneto occidentale,
specialmente dopo il 1866 quando anche il Veneto orientale divenne italiano, la
via del Brennero perse molta della sua
importanza per
gli Asburgo
che iniziarono subito una politica di valorizzazione di altri valichi delle Alpi
Giulie, come quello del Predil, nell’intento di collegarsi direttamente al
porto di Trieste destinato a far concorrenza a quello di Venezia. L’importanza
internazionale del grande itinerario atesino era però diventata tale che
l’Austria si rese conto di non poter rinunciare ai vantaggi economici che
questa grande strada poteva offrire. Già subito dopo la seconda metà del
secolo XIX era stata sentita la necessità di una linea ferroviaria che
valicasse il colle. Nel 1863 venne iniziata, per opera della Sudbahn, la
costruzione del tronco ferroviario Bolzano-Innsbruck che, seguendo su per giù
il tracciato stradale, doveva attraversare per la prima volta la grande catena
delle Alpi. Questa meravigliosa opera, costata 64 milioni di corone, venne
ultimata nel 1867 e fu inaugurata il 24 agosto di quell’anno quasi alla
chetichella e con scarso, o per lo meno inadeguato rilievo internazionale. Con
il primo grande conflitto mondiale e il conseguente arresto di ogni traffico
commerciale, strada e ferrovia vennero a rivestire enorme importanza strategica
per l’Austria sino a quando, nel novembre 1918, le truppe italiane entrarono
in Bolzano. Con il trattato di San Germano, nel settembre del 1919, il confine
veniva portato sullo spartiacque alpino e il valico del Brennero passava defi-
nitivamente
all’Italia. Lo stabilirsi di questa naturale, logica linea di divisione
nazionale, veniva a concludere la centennale parentesi di difesa italiana contro
lo sforzo di assorbimento austriaco. Era inevitabile però che,
contemporaneamente, venisse ad aprirsi una nuova parentesi di resistenza della
popolazione tirolese, gelosa dell’antica sua autonomia etnica, al pericolo di
assorbimento italiano. La parentesi è ancor oggi aperta e, a parte gli eccessi
’esplosivi’ di questi ultimi tempi, si potrebbe forse provare maggior
comprensione per il disperato desiderio di sopravvivere dell’antico popolo
tirolese se a sue paladine non si fossero erette nazioni che con le aspirazioni
di quel piccolo gruppo etnico hanno storicamente poco a che vedere.
In
questi ultimi quarant’anni, con lo sviluppo dei mezzi motorizzati, la via ha
ripreso enorme e sempre crescente importanza.
Nel 1958, per la sola strada del Brennero, non considerando cioè la
linea ferroviaria, sono
transitate 208406 tonnellate
di merci e questa cifra è certamente andata aumentando negli anni successivi.
Il passaggio continuo di autocarri e automobili è oggi tale da rendere del
tutto insufficiente l’attuale sede stradale. Da tempo è allo studio la
costruzione di una grande autostrada che, appunto attraverso il Brennero,
raccogliendo il traffico delle autostrade tedesche e danubiane, con percorso
quasi diretto, dovrebbe venire a inserirsi a Modena, nell’autostrada del Sole.
Come già la carrozzabile del 1772 e la ferrovia del 1867, questa grande arteria
darebbe al Brennero un nuovo primato: quello di schiudere la barriera alpina ad
una grande autostrada internazionale. Con la sua imponente realtà questa via
europea potrebbe forse contribuire a dissolvere le retrive speculazioni razziste
ancor sussistenti in merito al confine atesino. ■
(LeonardoCarandini)
Girovaghi
lungo la via del Brennero
nella seconda metà del XIX secolo