Gli autoctoni romanizzati
dell'Agordino
nei secoli VI e VII:
origini,
usi e costumi, rapporti
con i Longobardi del Bellunese
e del Feltrino
un contributo di Francesco Laveder
PRESENTAZIONE:
Il Gruppo ARCA ringrazia Francesco Laveder per aver riportato alla discussione la tematica: ‘A quale popolazione far risalire i corredi tombali dell’Agordino?’.
Il lavoro qui pubblicato si fonda su di una ampia
disamina dei materiali bibliografici riguardanti i reperti archeologici
recuperati decenni fa nella conca agordina, purtroppo in maniera non
sistematica, e relativi al periodo che va dal periodo tardo-antico all’alto
medioevo; l’autore confronta
con perizia il materiale ritrovato, costituito fondamentalmente da
corredi tombali, ponendosi il quesito delle ‘origini’; integra poi le
conoscenze archeologiche con le vicende storiche dell’epoca, riuscendo a
fornire un’immagine viva degli usi e costumi di questa piccola ma complessa
comunità; analizza quindi le plausibili interazioni avvenute tra la popolazione
autoctona e le realtà gallo-romane poi cristianizzate, e successivamente con le
’fare’ e ‘sculdasce’ longobarde circostanti; nella sua ipotesi
l’autore sintetizza i dati a disposizione proponendo una possibile e
interessante soluzione al quesito delle ‘origini’ prendendo in
considerazione fattori quali la viabilità e le attività economiche presenti e
ipotizzando anche parziali migrazioni di genti; al termine dell’articolo
non possiamo non citare anche l’approfondita
bibliografia di riferimento.
Il gruppo ARCA
Mio padre ricordava bene che, nel primo
dopoguerra, uno zio paterno scoprì a Laveder, frazione di Gosaldo e suo paese
natale, quattro tombe fatte in lastre di pietra locale, contenenti degli
scheletri ed alcune belle e coloratissime perle, purtroppo andate perse; nel
1960, durante i lavori per asfaltare la strada che porta a Laveder, fu trovata
un'altra tomba, con perle simili, di cui non si hanno però altre notizie1.
Ho cercato di completare le sue ricerche su questi antichi abitatori agordini,
raccogliendo ed ordinando il materiale di studio disponibile sull'argomento.
I vari ritrovamenti archeologici
dell'Agordino sono stati per la prima volta descritti e catalogati da Ferdinando
Tamis2; lo studio di questi reperti tombali e corredi funebri
(fibule, fibbie, armille, orecchini ed anelli in bronzo, suppellettili di
ceramica, collane in pasta vitrea), riferibili in prevalenza all'abbigliamento
femminile, è stato ripreso successivamente da altri studiosi3;
grazie a loro oggi sappiamo che questi oggetti sono la testimonianza di
insediamenti altomedievali di popolazioni autoctone romanizzate, sicuramente
riferibili al VI-VII sec. d.C.; il Gruppo Archeologico Agordino ARCA,
fondato nel 1998, ha svolto negli ultimi anni varie iniziative dedicate a queste
antiche popolazioni locali4.
Numerose sono le località del Basso
Agordino (Fig. 1) e (Fig.2) in cui, in diversa epoca dall'inizio del
1800 fino al 1977, sono state rinvenute tracce delle popolazioni autoctone
romanizzate: Brugnàch [1], Calzòn [2], Col (o Col Cugnago) (3), Contura [4],
Frassenè [5], Gosaldo (in tre diverse località: Don [6], Laveder [7] e Renon
[8]), La Valle (9) (in diverse località), Mozzàch (o Mozàch) [10], Parèch
(11), Pèden [12], Rif (13), Taibòn (14), Voltago (4) (in diverse località).
Rimane tuttavia ancora da definire il ruolo
che la Vallata Agordina poteva svolgere nel tessuto insediativo e viario
altomedievale della provincia bellunese e del Veneto.
Gli
studiosi ritengono, comunque, che un così alto numero di tombe non è in alcun
modo casuale ed indica una densità di popolazione che, per quel periodo
storico, è certamente significativa. Di recente sono state riassunte le notizie
principali sulla storia di questi ritrovamenti ed è stato catalogato, anche con
documentazione iconografica, tutto il materiale oggi reperibile5. Gli
oggetti più numerosi, provenienti da Voltago, sono custoditi presso il Museo
Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli; altri reperti, provenienti da La
Valle (3) si trovano presso il Museo Civico di Belluno, a cui di recente si sono
aggiunti quelli di Rif (13) e Voltago (Campagna del Capoluogo)(15), un tempo
presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto; altri ancora,
appartenuti alla "collezione Tamis" e provenienti da Calzon, La Valle
e Taibon, sono stati affidati al Museo Mineralogico‑Paleontologico
dell'Istituto Tecnico Minerario 'U.Follador' di Agordo; quelli provenienti da
Parech facevano parte della collezione Tamis privata; non conosciamo infine
l'esatta collocazione di molti dei reperti descritti da F.Tamis, relativi ai
ritrovamenti di Brugnach, Col, Contura, Frassenè, Gosaldo (Don, Laveder, Renon),
Mozach e Peden, che devono quindi essere considerati dispersi o perduti.
In base alle caratteristiche di alcuni tipi
di fibule, è stato affermato che queste popolazioni autoctone erano
verosimilmente già presenti agli inizi del VI secolo, cioè prima dell'arrivo
dei Longobardi in Italia (568-569) che, come testimoniano numerosi reperti
archeologici, si insediarono nel territorio del Bellunese e del Feltrìno tra la
fine del VI secolo ed i primi decenni del VII, cioè nel periodo della
migrazione.
Che
origine avevano le popolazioni autoctone dell'Agordino? Da quanto tempo erano
stanziate nella zona? Come vivevano, che abitudini avevano? Quando e come
vennero in contatto con la cultura romana e cristiana? Quando e come vennero in
contatto con i Longobardi presenti nello stesso periodo nel Bellunese e nel
Feltrino?
Si può solo tentare di dare una risposta a
tutte queste domande; infatti, la bibliografia storica dell'Agordino di epoca
pre-romana, tardo-romana o tardo-antica (III-V sec. d.C.)
ed alto-medievale (VI-X sec. d.C.) è rappresentata da poche pagine.
Il presente contributo riassume le conoscenze principali sugli autoctoni
romanizzati proponendo anche alcune nuove ipotesi per interpretare l'origine e
la fine di questa cultura locale.
LE
ORIGINI
Individuare le ragioni per cui nel Basso
Agordino siano venute alla luce tracce così significative di insediamenti
autoctoni altomedioevali, rimane un problema aperto ed a questo proposito si
possono fare solo ipotesi.
La prima ipotesi proposta dagli studiosi è
che la presenza nell'Agordino di insediamenti altomedievali sia legata
principalmente allo sfruttamento di miniere locali per l'estrazione di rame e
ferro, note già dall'epoca preistorica e che, durante l'alto medioevo,
avrebbero conosciuto un rinnovato impulso dell'attività estrattiva. Non
esistono tuttavia prove certe che dimostrino l'esistenza di un'attività
mineraria in epoca alto-medievale; anche i toponimi del Basso Agordino
legati all'attività estrattivo-mineraria (Miniere, Forno di Val, Forno
di Canale, Vallinferna, citati in G.Malagola, Nuovi reperti, o.c. pg.
136), sembrano di origine piuttosto recente; solo le miniere del Fursil,
hanno un toponimo di origine antica, ma si trovano nell'Alto Agordino 6;
infine 'L’isolamento culturale di quest'area difficilmente si concilia con
l'attività estrattiva, che è di per sé collegata alla presenza di contatti
intensi con centri manifatturieri, di smercio, e soprattutto con la presenza di
un ceto imprendítoriale" (La Rocca, o. c., p. 142).
Un'altra ipotesi proposta è che si tratti
di popolazioni romanizzate provenienti dai due centri principali di Belluno e
Feltre, rifugiatesi nell'Agordino in occasione delle prime invasioni barbariche
(Bortoluzzi, o. c., pp. 19-20).
Un'analisi
più approfondita dell'archeologia, storia, e toponomastica locale consente dì
proporre una nuova ipotesi, che completa ed integra le precedenti. Esistono
alcuni ritrovamenti archeologici di epoca pre-romana e romana
dell'Agordino, ma si ritiene comunemente che fino all'epoca tardo-antica
la popolazione locale sia stata molto scarsa7.
La piramidetta sepolcrale con iscrizioni in
lingua venetica ritrovata sul Monte Pore, in territorio di Colle S.Lucia,
come affermava G.B.Pellegrini, non farebbe pensare ad insediamenti stabili pre-romani
nell'Alto Agordino, ma ad un suo riutilizzo in epoca medievale come segno di
confine dei pascoli.
Nel Basso Agordino sono state trovate (Brugnach,
Contura, La Valle) alcune monete romane, di diversa epoca
(I-IV sec. d.C.); non si conoscono però fonti archeologiche di epoca
classica. Inoltre, gli studi storico-archeologici sulla viabilità fanno
pensare che "in epoca romana, nella Val Cordevole non dovessero esistere
né un'importante via di attraversamento, né centri insediativi di grande
spessore, e che tutta la zona dovesse essere geograficamente e culturalmente
isolata rispetto ai municipia di Feltre e Belluno" (Bortoluzzi, o. c.,
p. 96). Si ritiene che "in una zona montuosa come la vallata agordina è
poco probabile che via sia stata qualche forma di romanizzazìone (insediamenti
rustici, ville, strade)" (G.Malagola, Nuovi reperti, o.c., p. 135) ed
anche G.B. Pellegrini concorda sul fatto che "in epoca romana il
territorio agordino dovette essere quasi spopolato".
Grani di pasta vitrea rinvenuti a Taibon
Tutti gli studiosi sono però concordi nel
ritenere che ì reperti archeologici di queste popolazioni autoctone romanizzate
derivano da una continuità diretta con la tradizione romana di epoca
tardo-antica; poiché l'Agordino è probabilmente rimasto poco popolato
fino al III-IV sec. d.C., si può ragionevolmente ipotizzare che questa
continuità culturale vada ricercata nella storia dei centri romani più vicini,
in particolare Belluno, nel cui municipio erano forse
compresi i territori
agordini.
Iscrizione
alle Ziolere - M.Civetta
Il ritrovamento delle tre iscrizioni
confinarie "FIN BEL - IUL” (probabile abbreviazione di "Fines
Bellunatorum Iuliensium", cioè confine tra i municipi romani di
Belluno e lulium Carnicum), poste alle pendici del M.Civetta, a quote oscillanti
fira i 1800 e 2100 m., testimonia infatti che il territorio- Agordino era
sicuramente conosciuto e compreso nel municipium di Belluno; gli studiosi
ritengono che esse rappresentino dei segni di confine fra i pascoli, implicando
un qualche interesse per la zona, fin dal I sec. d.C., come "un
territorio dì sfruttamento estivo pastorizio ed eventualmente pure
forestale" 8.
Fibula di La Valle Fibula di Voltago
E' noto che, già dal I sec. a.C., Belluno,
in precedenza abitata da popolazioni venetiche e celtiche, era divenuta parte
dell'Impero romano e che nel periodo tardo antico, specie nel III e IV sec. d.C.,
nella città ed in tutto il territorio alpino di confine venne rinforzata, in
modo capillare, la presenza militare romana. E' probabilmente a questo periodo
che si deve far risalire l'inizio di una presenza romana nella Valle del
Cordevole, con un nucleo stabile nella conca del Basso Agordino e con vari
presidi militari sparsi sulle vie di accesso ai passi dolomitici: a Cencenighe,
alla confluenza fra i torrenti Biois e Cordevole, sopra la chiusa di Listolade
e, poco oltre, ad Avoscan, toponimo di cui anche G.B. Pellegrini non esclude
l'origine all'epoca di passaggio fra tardo-antico ed altomedievo; è stato
ipotizzato che il nome Avoscan possa essere collegato ad una delle Augustanae
clusurae citate in una lettera giovanile di Cassiodoro (datata fra il 507 ed
il 511) in cui si parla della fornitura di vettovaglie ai soldati di confine e
potrebbe quindi corrispondere al punto più avanzato della linea difensiva
romana; probabili dei presidi anche verso i
passi Cereda e Duran. L'Alto Agordino, sopra Avoscan, e la Valle del Biois,
sarebbero invece rimasti senza insediamenti stabili fino al X sec. d.C..
Parallelamente
al potenziamento della presenza militare, i municipi di Belluno e Feltre
raggiunsero nel III-IV secolo l'apice del loro sviluppo
socio-economico: si ritiene che fossero particolarmente sviluppate in zona
le attività di produzione e commercio della lana e del legname; una buona rete
viaria e la fluitazione lungo il Piave garantivano i collegamenti tra la Val
Belluna ed i centri commerciali più importanti della pianura (Altino, Asolo,
Oderzo, Padova) 9.
L'Agordino, oltre ad essere un territorio
di confine di interesse militare, era certamente un'area adatta sia per il
pascolo estivo che per l'attività di sfruttamento dei boschi; si può perciò
ipotizzare che i militari romani e le popolazioni celtico-romanizzate (o
gallo-romane) del municipium di Belluno possano aver dato origine,
nel III-IV sec. d.C., ai primi insediamenti stabili nella conca di Agordo.
Si può anche pensare che le popolazioni civili gallo-romane di Belluno,
agli inizi del V sec. d.C., quando l'esercito romano entrò in crisi ed
iniziarono le prime invasioni barbariche, e successivamente, con la caduta
definitiva dell'Impero Romano d'Occidente (476), per cercare di scappare alle
violenze degli invasori, si fossero in parte rifugiate nell'Agordino, territorio
già noto ed in parte già abitato, ma difficilmente accessibile e, quindi,
relativamente più sicuro; gli iniziali esigui insediamenti di epoca
tardo-antica avrebbero così raggiunto in epoca altomedievale una maggior
consistenza numerica ed il relativo isolamento avrebbe favorito il mantenimento
degli usi e costumi dell'età precedente 10.
La
presenza di vari toponimi prediali in -àgo (Voltago, Col Cugnago,
Lantrago) ed -àch (Brugnàch, Mozàch, Noàch, Nusiàch, Taiàch)
nella parte più accessibile della conca di Agordo, è un importante
elemento a sostegno a questa ipotesi; infatti, già nel 1949, G.B. Pellegrini
scriveva che essi 'fanno pensare ad uno stanziamento gallico o di Galli
romanizzati nel Basso Agordino, ma i rinvenimenti sono scarsissimi". Oggi,
conoscendo la rilevanza numerica dei ritrovamenti riferibili agli autoctoní
romanizzati agordini, bisogna rivalutare e riprendere questa felice intuizione.
Questi toponimi derivano infatti dal suffisso celtico -acu (-acum
ed -aca), che perdura in epoca romana, tardo-antica ed
alto-medievale e deve quindi essere considerato un suffisso
gallo-romano; avrebbero un'origine gallo-romana anche i toponimi
prediali con suffisso -icus, come Cencenighe e Zeních. I
nomi che costituiscono la base di questi toponimi derivano principalmente dall'antroponimia
romana (o romanizzata) e solo in qualche caso da quella germanica (Voltago)
o celtica (Noach)11; si è quindi portati a pensare che
si tratti principalmente di stanziamenti di Galli romanizzati, che potrebbero
essere successivamente venuti in contatto con popolazioni germaniche; più
difficile pensare a stanziamenti gallici o celtici di epoca preromana. Più
difficile anche, sulla base della toponomastica, ipotizzare una consistente
presenza nell'Agordino della popolazione di origine retico-etruscoide del municipium
di Feltre.
Non si può escludere che la presenza delle
miniere della Val Imperina e di Taibon possa aver comunque favorito un
insediamento stabile nei pressi di Agordo; tuttavia bisogna ricordare che nello
Zoldano, pur sede di vari toponimi collegati all'attività estrattiva (Forno,
Fusine, Brusadaz, Fornesighe), non ci sono stati ritrovamenti archeologici
di autoctoni romanizzatì, né si trovano toponimi prediali in -ago, -ach ed
-icus; il motivo dello scarso interesse romano
per lo Zoldano va probabilmente cercato nel fatto che la Valle del Maè non è
in posizione strategica per il controllo dei passi dolomitici verso il Nord. La
sola presenza delle miniere non basterebbe quindi a giustificare un così alto
numero di insediamenti stabili nel Basso Agordino, di verosimile origine
gallo-romana.
In conclusione, la nuova ipotesi
interpretativa orienta verso una continuità storica fra i primi stanziamenti
militari romani nell'Agordíno di epoca tardo-antica e la successiva
presenza altomedievale di popolazioni autoctone romanizzate, con origini comuni
forse
dal municipium di Belluno.
GLI
USI E COSTUMI
La ricostruzione della vita quotidiana di
queste popolazioni, sulla base dei soli reperti dei corredi funebri, è molto
incompleta: vengono infatti meno, oltre alle fonti scritte, anche gli indizi
sull'edilizia pubblica e privata, sul corredo da tavola e da cucina e sugli
oggetti dì uso comune, insomma tutte quelle informazioni che consentono, per
altre epoche, di tracciare un quadro generale sul livello di vita e sulla società
nel suo complesso.
Il
tipo di sepoltura delle popolazioni autoctone romanizzate mantiene gli usi e
costumi della tradizione funeraria romana di epoca tardo-antica, senza
essere contaminata dai modelli culturali delle popolazioni germaniche,
presentando caratteristiche completamente diverse dalle tombe longobarde. Si
tratta infatti "di tombe protette da lastre di pietra o da
laterizi reperiti in loco, prive di un preciso orientamento o di una particolare
disposizione nell'ambito dell'area cimiteriale" (Bortoluzzi, o.c.,
p. 98); la fossa, protetta dalle lastre, ha in media una profondità dagli 80 ai
120 cm e le lastre di pietra sono spesso disposte "a cassetta”, sopra,
sotto ed ai lati della sepoltura, senza l'uso di calce. Il corpo viene quindi
sempre deposto in modo protetto e talora nella stessa tomba si ritrovano più
corpi inumati, forse appartenenti alla stessa famiglia. Si ritiene oggi che si
tratti di "cimiteri di comunità cristiane, i cui morti vengono sepolti
non con un corredo funebre rituale, ma con qualche oggetto dell'abbigliamento
personale, che, forse, fu loro particolarmente caro in vita" (Brozzi,
Autoctoni e Germani, o. c., p. 279).
Le
necropoli longobarde, invece, presentano ovunque caratteristiche comuni: "le
sepolture sono collocate sul versante meridionale dei rilievi collinari, entro
aree quadrate di circa 80 metri per lato, in prossimità di un corso d'acqua e
di un tracciato stradale, e poco distanti dall'insediamento cui si riferiscono.
Le tombe sono molto grandi, scavate in profondità, lunghe da 2,5 a 3 metri e
larghe 1-2 metri, e sono generalmente orientate in direzione
Ovest-Est, perché il defunto possa scorgere il sorgere del sole, simbolo
divino proprio delle genti germaniche" (Bortoluzzi, o.c., p.82).
Il carattere distintivo principale delle tombe longobarde maschili è la
presenza delle armi, che venivano deposte nella tomba, per testimoniare agli Dei
il valore del guerriero, ed assicurargli nell'aldilà gli onori dovuti.
Reperti di Taibon
La fibula a tenaglia è una
forma tra
le più antiche
rinvenute in Agordino
I vari ritrovamenti archeologici del Basso
Agordino sono avvenuti in modo casuale e nessuna delle necropoli è stata
scavata integralmente; è quindi difficile stabilire con esattezza come fossero
organizzati questi centri abitati ed insediamenti umani; è tuttavia probabile
che queste necropoli si riferiscano a nuclei abitativi di piccola entità.
Nell'arco alpino centro-orientale
questi cimiteri sono stati ritrovati, quasi sempre, in località che coincidono
con antiche sedi di colonizzazione romana; ciò può essere vero anche per le
necropoli dell'Agordino, sicuramente per quelle della conca di Agordo.
Per i ritrovamenti sparsi in zone
relativamente in quota (Frassenè, Don, Laveder, Renon), oltre che ad
attività di pascolo e di sfruttamento dei boschi, si può forse pensare, almeno
per Don di Gosaldo, ad un presidio militare romano lungo la strada che
attraverso passo Cereda collegava l'Agordino con la zona di Primiero; la
presenza nel Primierotto di toponimi di origine gallo-romana fa infatti
supporre l'esistenza di questo collegamento viario12.
E' ragionevole ritenere che queste
popolazioni sfruttassero tutte le risorse naturali della montagna: dallo
sfruttamento dei boschi (caccia di animali, legname per costruzioni e
riscaldamento, produzione di resina e pece), all'allevamento di bestiame ed alla
pastorizia (produzione di formaggio, lavorazione della lana e delle pelli), ad
una limitata agricoltura di sussistenza (cereali, legumi ed alberi da frutto),
ad attività collegabili alla presenza dei giacimenti minerari locali (Taibon,
Val Imperina).
La quasi completa assenza di armi nelle
necropoli, legata alle tradizioni funerarie, non deve necessariamente indurre a
pensare che la gente del posto fosse completamente pacifica e non conoscesse
l'uso delle armi13; è tuttavia probabile che gli invasori
longobardi, fossero più forti e più ferrati nell'arte della guerra rispetto
agli autoctoni agordini.
Parte di mandibola, da tomba di Parech - Agordo
Gli autoctoni dell'Agordino erano persone di statura piuttosto elevata,
con mandibole larghe e robuste, denti bianchissimi, conformazione del cranio
rotonda: sono descritti alcuni scheletri di dimensioni notevoli, lunghi da 1.80
fino 2.0 metri; anche i Longobardi erano molto più alti della popolazione
mediterranea14.
Per quanto è possibile giudicare dai
ritrovamenti dei corredi funebri, si può affermare che la cultura delle
popolazioni autoctone dell'Agordino è del tutto simile a quella delle
popolazioni autoctone di tutto l'arco alpino centro-orientale dello stesso
periodo.
Fibula di Contura - Voltago Orecchino, di Campagna di Voltago
Orecchini a cappio
gli orecchini "a cappio" (più
precisamente "a cestello" con anello di sospensione "a
cappio") ed "a globulo poliedrico", le armille e le
collane di perle in pasta vitrea sono oggetti specifici di questa cultura 15
(Fig.2).
Armilla del Basso Agordino
Orecchini, collane ed armille sono tipici
oggetti ornamentali femminili; gli orecchini sono distinti in diversi tipi ('a
cappio"; filiformi; "a globulo poliedrico” con
sottotipi e varianti; si deve ritenere che al "cappio" ed ai
pendenti fossero agganciati degli ornamenti in materiale organico, andato
perduto col tempo; l'orecchino "a globulo poliedrico", databile
al VI sec., è di norma assente nelle tombe longobarde; le collane sono composte
di perle di pasta vitrea, monocrome o policrome, talora con una perla più grossa
e biconica posta al centro, ed i colori prevalenti sono il giallo, il rosso,
l'azzurro, il blu ed il verde; l'armilla, o braccialetto, si presenta in genere
con le estremità aperte, più o meno ingrossate e talora con decorazioni sulla
superficie esterna.
Fibula ‘argentata’ di Voltago
Le fibule ad arco di violino ed a tenaglia,
sono gli oggetti di origine più antica, probabilmente conosciuti già prima
dell'arrivo dei Longobardi in Italia, e fanno collocare le tombe della valle di
Agordo al VI sec. d.C.; le fibule ad arco di violino sono di origine
tardoromana e sono poco diffuse nella nostra penisola; ne esiste invece una
grande concentrazione nell'area Balcanica, specie in Slovenia, Istria e Dalmazia16;
sono ritenuti oggetti di decorazione femminile. Alcuni tipi dì fibula (a
braccia eguali, zoomorfe, a disco), testimoniano la continuità del
patrimonio culturale romano dell'epoca tardo-antica con quello della
popolazione agordina; le fibule a braccia uguali, sono distinte in gruppi
diversi in base alla forma delle braccia, sempre simmetriche: sono ritenute
oggetti tipici della popolazione autoctona maschile e appaiono raramente nelle
sepolture longobarde; servivano probabilmente a fissare i mantelli; le fibule a
disco, di forma rotonda, derivano dalle ben note e preziose fibule
bizantine. Tra i materiali di Voltago sono presenti anche due fibbie di cintura
per abito, anch'esse di derivazione tardo-antica; questo tipo di fibbia
viene segnalato sia in tombe maschili che femminili e viene successivamente
acquisito dalla cultura longobarda. Non abbiamo altri indizi sul modo di vestire
degli autoctoni agordini.
Le
fibule a croce, presenti in diverse forme (a croce greca e latina, a croce
uncinata, a croce inscritta in cerchio, a losanga) sono ornamenti femminili,
derivati da modelli tardo-antichi e protobizantini-provinciali, e sono
dei simboli chiaramente cristiani; anche le fibule zoomorfe, come quelle
a forma di pavone o fenice provenienti da Calzon e La Valle,
derivate da modelli tardo-antichi, sono dei simboli cristiani: il pavone
era un simbolo della vita eterna, poiché la sua carne era ritenuta
incorruttibile; la fenice simboleggiava la risurrezione e l'eternità.
Vaso da corredo tombale di Taibon
Brocca e fusaiola da una tomba di Mozzach - Agordo
I
vasi di terracotta (brocche, orci, olle) che si ritrovano nelle tombe degli
autoctoni, ritenuti esempi di vasellame da tavola derivato dalla tradizione romana
tardo-antica, dovevano far parte degli antichi riti funebri
cristiani.
Sulla cultura cristiana degli autoctoni
agordini sono opportuni alcuni approfondimenti17.
In
base al ritrovamento di monete romane del I-II sec. d.C. nelle stesse
tombe in cui si rinvennero le fibule a croce, F. Tamis scriveva che
"gli ornamenti paleocristiani, rinvenuti nelle antiche tombe agordine,
confermano la presenza del cristianesimo molto prima di san Lucano". Oggi
sappiamo invece, come già ricordato, che gli oggetti più antichi degli
autoctoni, pur continuando la tradizione tardo-antica, si riferiscono al
VI sec. d.C.; quindi, poiché si ritiene che S.Lucano possa essere vissuto fra
la metà del IV sec. e la prima metà il V sec. d.C., durante il periodo delle
dispute ariane, la precedente affermazione deve essere corretta; inoltre, visti
gli stretti rapporti temporali, non si può così drasticamente escludere un
possibile ruolo storico di S.Lucano, che la tradizione agiografica dolomitica
vede in condominio fra le sedi vescovili di Belluno e Bressannone-Sabiona,
nello sviluppo del cristianesimo agordino; è tuttavia plausibile che sia stato
l'afflusso di personale militare romano ad introdurre per la prima volta il
cristianesimo nell'Agordino in epoca tardo-antica.
Nella regione veneta alpina il Vangelo fu
predicato e diffuso dai centri principali di Aquileia e Padova; anche se la
tradizione leggendaria locale attribuisce l'evangelizzazione di Belluno e Feltre
ai santi Ermagora, Fortunato e Prosdocimo e la presenza a Belluno; in epoca
precostantiniana, del vescovo Teodoro, che avrebbe portato con sé il corpo di
S.Gioatà, divenuto uno dei patroni di Belluno, gli storici moderni ritengono
invece che Belluno sia diventata sede vescovile solo tra IV e V sec.; il primo
vescovo di cui si ha qualche notizia storica è Felice, che probabilmente
introdusse il culto di S.Martino (anno 547); la sua tomba è stata scoperta
nella chiesetta di S.Maria in Val de Nére presso Bolago, dove, come riferisce
lo storico Giorgio Piloni "si era ridotto ad habitare per fuggire i
bellici tumulti e per stare lontano dalli Arriani" 18.
Agli inizi dell'altomedioevo il territorio
bellunese fu infatti probabilmente toccato sia dalle guerre fra Ostrogoti e
Bizantini, le cosiddette guerre gotiche19, sia dalla cosiddetta crisi
religiosa dei Tre Capitoli20, che, secondo gli storici, interessò
anche la comunità cristiana del territorio bellunese, già prima dell'arrivo
dei Longobardi ariani. Il verosimile scompiglio creato nella popolazione
cristiana locale da questi tumulti potrebbe giustificare una fuga dal municipium
di Belluno verso il territorio agordino, già agli inizi del VI sec.
AUTOCTONI
E LONGOBARDI
Nel territorio fra Feltre e Belluno, ma non
nell'Agordino, si sono trovate in diverse località (Arten, Arsiè, Arson,
Castelvint di Zumelle, Fumach, Moldoi di Sospirolo, Pez di Cesiomaggiore, Porcen,
Reveane di Ponte nelle Alpi) tombe di Longobardi, caratterizzate dalla
presenza costante di armi e di suppellettili in materiale prezioso. Questi
reperti archeologici sono databili, con ragionevole certezza, tra la fine del VI
secolo e i primi decenni del VII, e cioè al periodo in cui i Longobardi
invasero l'Italia. Si tratta quindi di reperti storici contemporanei a quelli
delle popolazioni autoctone romanizzate dell'Agordino.
In tutto l'arco alpino
centro-orientale esiste il problema generale di definire i rapporti
economico-socíali intercorsi nel VI-VII sec. fra popolazioni
autoctone romanizzate e Longobardi; dove il materiale archeologico è più
abbondante, come nel Trentino, ci si accorge che in una medesima località i due
gruppi etnici convivono. Dopo la fase iniziale della migrazione i Longobardi
subirono un processo di romanizzazione e cristianizzazione e, per questo motivo,
già nel tardo VII secolo risulta difficile distinguere le sepolture longobarde
da quelle autoctone (come nel caso delle tombe di Pren nel Feltrino e di Domegge
di Cadore); infatti, venendo a contatto con la popolazione di tradizione
romana, i Longobardi, non di rado, adottarono l'usanza di seppellire i loro
morti alla maniera degli autoctoni, in tombe protette da lastre di pietra locale
o da laterizi; per le tombe maschili l'unico criterio distintivo resta quindi la
presenza di armi; fin dai primi anni del VII secolo la donna longobarda invece
indossa abiti e ornamenti di tipo locale, che caratterizzano anche il suo
corredo funebre.
La definizione dei rapporti intercorsi fra
le popolazioni autoctone romanizzate dell'Agordino ed i Longobardi presenti in
territorio bellunese e feltrino nel VI-VII sec. d.C. si presenta
ugualmente problematica; la netta divisione geografica dei ritrovamenti
archeologici lascia tuttavia intravedere una situazione di iniziale separazione
territoriale che merita qualche ulteriore approfondimento; oltre
all'archeologia, possono fornire degli utili elementi conoscitivi sul problema
sia l'analisi storica, con particolare riferimento alla viabilità, sia la
toponomastica
L'impatto più significativo dei Longobardi
con le popolazioni locali avvenne nei quarant'anni successivi all'invasione; la
conquista di tutta pianura veneta e di tutta la Val Belluna non fu quindi
immediata, ma richiese qualche decennio. Nei territori conquistati, il ducato
longobardo più vicino al Bellunese fu quello di Ceneda (Vittorio
Veneto), da cui dipendeva anche la sculdascia di Belluno che comandava le
varie decanie sparse nei dintorni "per difendere i passi e
completare la linea militare di difesa della provincia di Venetia, stabilita da
Alboino" (F.Tamis, Storia dell Agordino, o. c., p. 30-32); anche
Feltre fu sede di una sculdascia longobarda; in Cadore, con tutta probabilità,
i Longobardi non si insediarono stabilmente, limitandosi a percorrere l'alta
valle del Piave solo per raggiungere la Pusteria ed i paesi d'oltralpe.
La presenza di una decania
longobarda a San Gregorio nelle Alpi è stata ipotizzata sulla base della
scoperta (1954), a Moldoi di Sospirolo, nei terreni di Carlo Zasso, di
sei tombe, una delle quali contenente un ricco corredo militare, attribuito ad
un guerriero longobardo, ora conservato al Museo Civico di Belluno (Bortoluzzi,
o. c., pp. 20-21, 96‑95). Sulla base di questa scoperta è
stata ipotizzata anche la presenza di una strada, che collegasse il Feltrino con
l'Agordino e con le miniere della Val Imperina. Si ipotizza che questo arimanno
sepolto qui con i suoi uomini, avesse il compito di presidiare questa via
secondaria, oppure di controllare l'ingresso nella Val del Mis o gli insediamentì
autoctoni stanziati lungo la Valle del Cordevole.
Recentissimo
è il ritrovamento di una tomba longobarda a Reveane di Ponte nelle Alpi,
datata fra il 568 ed il 670 d.C.; molto belli sono i reperti di Castelvint,
nei pressi di Zumelle; altri ritrovamenti archeologici ben noti, sicuramente
longobardi, riguardano il territorio feltrino (Pez di Cesiomaggiore, Arson);
anche questi reperti sono databili con certezza al periodo della migrazione; nei
pressi del castello di Zumelle e nel territorio di Lamon si
trovano due cappelle dedicate a San Donato, il santo dei Longobardi21.
E' importante cercare di
comprendere il quadro complessivo della rete viaria locale all'inizio dell'alto
medioevo22: oltre alla via Claudia Augusta ed alle sue
diramazioni secondarie, bisogna quindi esaminare anche la viabilità verso
l'Agordino. Si ritiene che due strade principali lo collegassero con Belluno e
Feltre, una orientale ed una occidentale, poste ai due lati del Cordevole.
La via attraverso l'impervia Val del Mis
poteva teoricamente costituire un collegamento fra territorio bellunese,
agordino e trentino, attraverso il passo Cereda e Fiera di Primiero; al suo
imbocco è stata ritrovata una fibula risalente al periodo delle guerre gotiche
(M.Perale, L'alto medioevo, o.c., p. 32) e si ritiene che nella zona, nel
VI-VII secolo, fossero presenti le fortificazioni longobarde di Misso
e Costa, attestate storicamente nel Medioevo23. Un documento
del 1568 testimonia tuttavia che si era resa necessaria la costruzione di
vari ponti in legno perché la Valle potesse essere percorsa a cavallo; sappiamo
infine che anche in epoca moderna la Val del Mis è stata difficilmente
percorribile.
La via d'accesso dal Feltrino alla vallata
di Gosaldo, attraverso la Val Canzoi, i Piani Eterni e la Valle di Campotoròndo,
era sicuramente disagevole e bloccata per tutto l'inverno dalla neve.
I ritrovamenti archeologici longobardi nei
vicini ducati di Trento e Friuli ci permettono di osservare come i loro
stanziamenti fossero disposti particolarmente a presidio delle vie di
comunicazione, lungo le strade romane; è necessario ricordare che "con
l'arrivo dei Longobardi ed il conseguente ripiegamento delle truppe bizantine
verso il Litorale adriatico e le numerose isole della Laguna, si verifica un
profondo mutamento della situazione viaria della Venetia orientale" (Brozzi,
Autoctoni e Germani, o.c., p. 287-288); nel periodo in cui i Bizantini
occupano ancora parte della via Claudia Augusta, della pianura veneta e
della Val Belluna, formando il cosiddetto "cuneo bizantino",
dipendente da Oderzo, alcune strade romane perdono la loro importanza, mentre
percorsi secondari assumono, per la nuova situazione politica, maggiore rilievo
strategico24 .
Si
ritiene che in questa fase i Longobardi siano stati costretti a cercare una via
alternativa di comunicazione tra i ducati del Friuli e di Trento; questa via,
proveniente da Cividale, doveva probabilmente seguire l'antica strada
pedemontana che attraversava il Bosco del Cansiglio e l'Alpago, sboccando nella
val Belluna presso Polpet; il recente ritrovamento archeologico longobardo di Reveane
ed i toponimi longobardi di Farra d'Alpago, Spert e Broz di Tambre d'Alpago (rispettivamente
dai nomi Asperlit e Brozo o Brozilo) che si trovano lungo
questo percorso, confermerebbero questa ipotesi. Questa via alternativa doveva
poi proseguire da Polpet, superando Belluno a nord (Sala di Cusighe),
e passare per l'Agordino ed il Passo Cereda, verso Fiera di Primiero, o
direttamente (attraverso la Valle del Mis), o, più probabilmente, per il Canale
di Agordo, salendo poi verso Gosaldo (Fig.3). In questa ipotesi la
penetrazione dei Longobardi nell'Agordino dovrebbe essere avvenuta prima della
caduta definitiva di Oderzo, conquistata una prima volta da Rotari nel 639 e
distrutta da Grimoaldo nel 669.
Sulla base della distinzione territoriale
dei ritrovamenti archeologici e di questi dati storici è quindi possibile
pensare che, almeno nel periodo che coincide con la migrazione e probabilmente
nei primi decenni di dominazione longobarda, gli autoctoni agordini abbiano
potuto godere di una vita parallela e relativamente autonoma rispetto a quella
dei Longobardi insediati nel Bellunese e nel Feltrino. Per la completa mancanza
di ritrovamenti archeologici riferibili al periodo successivo al VII sec. d.C. e
per la mancanza di notizie storiche dirette fino agli inizi del X sec., è
impossibile stabilire con esattezza quando avvenne il contatto fra queste due
popolazioni, ma si possono tuttavia fare alcune ulteriori considerazioni.
Dopo la caduta di Oderzo e verso la fine
del VII sec., i Longobardi furono verosimilmente costretti a prestare ulteriore
attenzione alla valle del Piave; gli Slavi si erano affacciati alla Val Pusteria
ed i Bavaresi avevano occupato le valli dell'Isarco e della Rienza; in questo
periodo divenne quindi importante rafforzare verso nord il sistema difensivo,
proteggendo i valichi del Bellunese e Feltrino, da cui i barbari avrebbero
potuto tentare l'ingresso in Italia, e stabilendo dei presìdi stabili
nell'Agordino.
Il primo documento storico che riguarda
l'Agordino dopo il VII secolo è la donazione di Berengario I
del 923, con cui ad Aimone, vescovo di Belluno, di origine
franca, vengono donate le "decime di Agordo e del Cadore"; anche
sulla storia che precede questa donazione si possono fare alcune considerazioni.
Nel periodo tra il 650 ed il 750 vari documenti testimoniano lo stretto legame
dell'aristocrazia longobarda bellunese con il vicino ducato friulano di Cividale;
dopo che i Franchi nel 774 conquistarono Pavia, i Longobardi della
sculdascia di Belluno, assieme al duca di Ceneda, si unirono nel 776 agli
arimanni del Friuli, comandati da Rotgaudo (Hrotgaut), nell'estrema difesa del
regno longobardo e del fuggiasco Adelchi, figlio di Desiderio, ultimo re
longobardo, venendo infine definitivamente sconfitti da Carlo Magno. Si può
quindi ragionevolmente pensare che Berengario, dal 878 marchese del Friuli e,
probabilmente, anche conte di Belluno, fosse entrato in possesso dei territori
agordini, acquisiti dai Franchi con la sconfitta dei Longobardi25; la
conquista longobarda dell'Agordino pare quindi certa.
Fibula a disco da Parech - Agordo
Fin qui quanto si può desumere
ragionevolmente dai documenti storici ed archeologici; anche sulla base della
toponomastica, si può pensare che Agordo e l'Agordino abbiano subito influenze
longobarde. L'analisi toponimica, pur con le sue incertezze, integra i dati
storico-archeologici, e consente di tracciare un quadro più completo
sugli insediamenti.
Farra e Sala
sono i due più diffusi toponimi di derivazione longobarda, che indicano la
presenza di insediamenti stabili. A differenza del Bellunese e del Feltrino (Farra
d'Alpago, Farra di Mel e Farra di Feltre), non c'è nell'Agordino nessuna
sicura Farra, ma G.B. Pellegrini ipotizza che il toponimo Farènzena, nei
pressi di Agordo (attestato nel 1440 come Farencena), celi nella prima
parte una Fara longobarda (Fara + antroponimo longobardo, per es. Incinno);
l'origine di questo toponimo non è tuttavia sicuramente chiarita (De Nardin,
Tomasi, I Luoghi del Framont, o. c., n. 70, p. 31). L'unica località
agordina con nome Sala è nei pressi di Avoscan, sopra la chiusa di
Listolade; G.B. Pellegrini inizialmente pensava ad un'origine collegata al
prelatino sala, mantenuto nel dialetto locale, con significato di
"palude, canale", ma ha rivisto successivamente la sua posizione,
dichiarandosi "quasi convinto" dell'origine longobarda di
questo toponimo, che fa risalire al VII-VIII sec. o poco dopo; la presenza
di una sala longobarda altomedievale contigua ad Avoscan, confermerebbe il ruolo
strategico che questa località avrebbe assunto già in epoca tardo-antica
come punto militare di confine per il controllo dei passi dolomifici.
Fibula
a croce, reperto di La Valle Ag.
Sempre
secondo G.B. Pellegrini il nome Agordo, certamente non di origine latina, potrebbe derivare
dal nome personale longobardo Agihard (riportato per la prima volta come Agorde
nella citata donazione di Berengario), anche se è necessario ammettere un
accento iniziale che contrasta con il suffisso -hard, allo stesso
modo il nome Gosaldo potrebbe derivare dal nome personale longobardo Gauzwald
o Gausoald (riportato come Agosaltum in un documento del 1148).
Infine anche Candàten, lungo l'antica strada fra Belluno ed Agordo, è secondo
G.B.Pellegrini un toponimo di origine longobarda, ma di recente, sulla base
della presenza di altri tre toponimi identici, è stata proposta una più antica
derivazione gallo-venefica (da *Cand, celtico ed -anctinus,
col significato di "roccia bianca"), successivamente mascherata26.
Per altri toponimi agordini derivati dall'antroponimia
germanica antica, storicamente attestati fra il 1000 ed il 1200, si pone il
problema di distinguere una derivazione da ipotetici insediamenti longobardi del
VII-VIII sec., dalle influenze culturali longobardo-germaniche che
sicuramente si mantennero nei secoli successivi, quando tutto l'Agordino,
divenuto possesso temporale dei vescovi-conti di Belluno, venne
ripopolato, anche per effetto del "periodo caldo medievale", che durò
approssimativamente dal X al XII secolo.
La persistenza di influenze culturali
longobarde più tardive è testimoniata anche dall'affermazione che 'fin dopo
il 1100 nell Agordino gli abitanti vivevano e facevano contratti secondo le
leggi e il costume longobardo, che essi chiamavano usum nostrum agordinorum;
segno evidente che nei secoli anteriori erano state lassù collocate più
decanie, ma ormai, per l'effetto del tempo, si era prodotta la fusione dei
vincitori con i vinti " (F.Tamis, Storia dell’Agordino, o. c.,
Vol. I, p. 3 1).
In sintesi, è ragionevole pensare che
popolazioni autoctone dell'Agordino e Longobardi del Bellunese e del Feltrino,
dopo un'iniziale periodo di netta separazione, siano venute in contatto, forse
verso la metà del VII sec.; è ugualmente verosimile che i Longobardi siano
penetrati nell'Agordino in modo numericamente più consistente verso la fine del
VII sec., probabilmente per il controllo della rete viaria e per rafforzare il
loro sistema difensivo, più che per uno specifico interesse sulle miniere
locali. E' possibile che sia stata stabilita una decania longobarda nella
conca di Agordo (Agordo? Farenzena?), con presidi militari di arimanni (exercitales)
sia verso il passo Cereda (Gosaldo) che verso i passi dolomifici (Sala di
Avoscan). E' facile pensare ad una sottomissione delle popolazioni autoctone
agordine ai Longobardi, ma non si può escludere che via sia stata una certa
fusione fra vincitori e vinti, durante il periodo di circa un secolo di
verosimile permanenza longobarda nell'Agordino; è infine difficile dire cosa
sia accaduto dopo la caduta del regno longobardo, ma pare probabile che dalla
fine del VIII secolo agli inizi del X secolo tutto l'Agordino sia stato poco
abitato e sotto il controllo dei Marchesi dei Friuli, di origine franca;
testimonianza di questi due o tre secoli di storia oscura potrebbero essere le
influenze linguistico-culturali francolongobarde, riscontrabili nei
documenti del X-XII secolo ed in alcuni toponimi locali.
CONCLUSIONI
L'ipotesi
più probabile è che gli autoctoni romanizzati dell'Agordino del VI-VII
sec. d.C. traggano le loro origini dalle popolazioni gallo-romane del
municipio di Belluno, probabilmente presenti nell'Agordino, con iniziali
stanziamenti e postazioni militari, già in epoca tardo-antica;
successivamente, nel periodo di passaggio fra tardo-antico ed altomedioevo,
le invasioni barbariche, la guerra tra Bizantini ed Ostrogoti e la crisi
religiosa dei Tre Capitoli, che verosimilmente interessarono il territorio
bellunese nel V-VI secolo, potrebbero aver indotto una parte delle
popolazioni gallo-romane cristianizzate di Belluno a cercare rifugio
nell'Agordino, aumentando la consistenza numerica degli insediamenti.
La
permanenza locale degli autoctoni romanizzati copre un periodo di circa 200
anni, in uno stato di relativo isolamento, che consente lo sviluppo di
insediamenti di una certa consistenza e di attività legate principalmente
all'agro-pastorizia e probabilmente alle estrazioni minerarie. I loro usi
e costumi sono analoghi a quelli di altre popolazioni autoctone romanizzate, che
nello stesso periodo popolavano l'arco alpino centro-orientale. La
continuità culturale con l'epoca romana tardo-antica andrebbe quindi
ricercata sia nelle origini bellunesi sia nella permanenza in un'area
appartata, fuori dalla rete viaria principale di epoca romana e quindi
inizialmente protetta dall'impatto con gli Invasori Longobardi.
E' plausibile che la fine di questa cultura
locale, sostanzialmente pacifica, sia stata causata dalla penetrazione
nell'Agordino dei Longobardi della sculdascia di Belluno, avvenuta forse
verso la metà del VII secolo, alla ricerca di una via alternativa di
comunicazione fra il ducato del Friuli e di Trento, nel periodo in cui non era
ancora stata vinta la resistenza dei Bizantini di Oderzo, e dei loro presidi in
Val Belluna; è possibile infine che nel breve periodo di permanenza dei
Longobardi nell'Agordino si sia verificata una certa fusione di usi e costumi
locali con quelli germanici, di cui restano evidenti tracce nei secoli
successivi.
1- NOÈ
LAVEDER, Le perle dei Longobardi, Le campane di Tiser, Bollettino
parrocchiale di Rivamonte Agordino e Tiser "Le Campane di
Sant'Antonio", anno XXXV, n. 1, Pasqua 200 1, p. 14.
2-
FERDINANDO
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pp.13-14, anno XXXVII (1966), pp.19-21; anno LIII (1982),
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3-
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popolazione autoctona romanizzata del VI-VII sec., con particolare riguardo alle
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classica”, 1976, pp. 301-392; M.BROZZI, Oggetti di ornamento dei
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nel VI-VII sec. secondo le fonti archeologiche;
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attraverso ì reperti tombali; M. BROZZI, La popolazione romana nel
Friuli longobardo (VI-VIII sec.), Udine, 1989, pp. 26-46; CRISTINA LA
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nel Medioevo. Dalla Venetia alla Marca Veronese, Verona, 1989, pp.
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in "Memorie Storiche Forogiuliesi” LXVII (1987), pp.135-142;
G.MALAGOLA, Nuovo contributo alla conoscenza dellAltomedioevo nellAgordino, ASBFC,
LM (1990), 272, pp. 152-159 - anche in: “Forum Iulii” XIV
(1990), pp. 89-97; G.MALAGOLA, Il sepolcreto Altomedioevale di Voltago
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pp.204), sulla scavo di Contura di Voltago eseguito nel 2001 (n.6,
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Peden (n.6. novembre 2001, p. 406)
5-
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BORTOLUZZI, Il Bellunese all'epoca dei Longobardi, Tesi di Laurea anno
accademico 1992-93, Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia,
relatore Prof. ANTONELLA NICOLETTI; MARCO PERALE, L'alto medioevo nella
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6-
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