Un miglioramento produttivo della tecnica di
estrazione del rame
nello stabilimento di Val Imperina nel 1875.
Il documento del Museo Correr, presentato alla pagina precedente, indica per sommi capi i processi utilizzati nel 1600 ‘nelle fusine’ di Valle Imperina e i nomi dei materiali ottenuti ad ogni fase della produzione del rame, metallo prodotto sia per via secca che per via umida; tra l’altro viene specificato che i termini sono quelli utilizzati dai minatori locali e non dai ‘mineranti’. Il documento originale porta segnato vicino ad ogni nome un numero (che non è stato da noi trascritto); tale indicazione d’ordine doveva riferirsi molto probabilmente ad una cassetta di materiali ‘da mostra’ di cui il documento costituiva l’accompagnatoria descrittiva.
Qui di seguito riportiamo invece un sunto dell’articolo preso dalla rivista francese “Annales des Mines” tomo IX del 1876 dove viene descritto soprattutto un perfezionamento della produzione del rame per ‘via umida’.
È per noi interessante, e speriamo anche per i lettori, porre a confronto i due documenti poiché essi tratteggiano entrambi i procedimenti di ottenimento del rame, l’uno scritto a distanza di due secoli dall’altro, relativamente alla miniera agordina:
a– la produzione per ‘via secca’ differisce solamente per un termine: nel 1800 viene definita ‘metallina’, ciò che nel 1600 viene chiamato invece ‘ston’;
b– l’estrazione per ‘via umida’ descritta nel 1600 non accenna al problema dei ‘dannosi brunini’; nel 1800, invece, i brunini vengono ‘eliminati’ dall’ingegnere minerario J. Zoppi, tecnico alle dipendenze della direzione dello stabilimento; egli raggiunge infatti un discreto successo proponendo un nuovo metodo per evitare perdite di rame durante l’ottenimento del metallo e, in generale, per ottimizzare ai fini economici l’estrazione per ‘via umida’: tale metodo è descritto nel riassunto di seguito riportato.
L’esigenza, sorta nel XIX secolo, di rendere più produttivo il processo era derivata anche dal fatto che la coltivazione dell’ammasso piritico di Valle Imperina incominciava a risentire dell’impoverimento progressivo del minerale che ormai veniva estratto mediamente con un tenore di rame inferiore all’1,5%.
La traduzione dell’articolo, e il suo sunto qui pubblicato, sono a cura di Enzo Galeone.
Considerando che la produzione aveva i seguenti tratti principali: “I minerali estratti dalla miniera sono divisi in 3 classi: piriti ricche, minerali ordinari, minerali poveri. Le piriti ricche passano direttamente alla fusione
per metallina.I minerali ordinari e quelli poveri sono sottoposti ad arrostimento in cumulo. Al centro di ogni pezzo di minerale grezzo arrostito si forma un nucleo fuso chiamato tazzone, il cui tenore in rame varia dal 20 al 50 % (sic), provveduto che si abbia cura di separarlo completamente dalle parti ossidate. La separazione dei nuclei ha luogo per rottura al martello. I nuclei sono passati al trattamento per via secca, mentre le parti ossidate, contenenti solfati di ferro e di rame e una grande quantità di perossido di ferro sono sottoposte ad una serie di lisciviazioni.
Le acque di lisciviazione passano alla cementazione, che ha per scopo di precipitarne il rame tramite ghisa in pezzi.” E che il successivo trattamento per via secca: “… comprende le operazioni seguenti:
a- una fusione per metallina
b- un arrostimento delle
metalline in cumuli;
c- una fusione per rame
nero;
d- un’affinazione del rame
nero al piccolo focolare”
Risulta che la cementazione era un processo fondamentale per il recupero di tenori molto bassi di rame, altrimenti non possibile,
e quindi era vitale per la sopravvivenza dello stabilimento. Ma durante l’operazione di cementazione si verificava un elevato consumo di ghisa e si formavano dei depositi leggeri e voluminosi detti brunini che conducevano a perdite consistenti di rame, intrappolavano troppo arsenico, dannoso e deprezzante il prodotto finale; l’ing. Zoppi arrivava alla conclusione che “Così, non soltanto la presenza, nelle acque di lisciviazione, del solfato di perossido di ferro era la causa del forte consumo di ghisa, ma è allo stesso sale che si doveva ulteriormente la formazione dei brunini.” La constatazione rilevava il fatto che era il ferro l’agente riducente e contem- poraneamente sequestrante il rame in soluzione. Perciò utilizzò un riducente a buon mercato e immediatamente disponibile in loco: l’SO2 (biossido di zolfo) dei fumi di arrostimento del materiale più povero disponibile. L’ing. Zoppi progettò un impianto di recupero dei fumi di arrostimento mandando acqua lungo il camino, in contro-corrente ai fumi, che sciogliendo SO2 l’avrebbe trasformata in acido solforoso H2SO3 da inviare alle vasche di cementazione.Come si può notare dal disegno posto a lato e secondo la descrizione dello stesso ing. Zoppi: “Questo forno consiste essenzialmente in due focolari “aa” messi in comunicazione con una vasca “b” della capacità di 18 m3 circa, che va a finire in un camino “c”. Nei focolari si carica la pirite destinata alla produzione di acido solforoso, e la vasca viene riempita con le acque di lisciviazione. Queste sono innalzate tramite due pompe fino ad una apertura “d” praticata a 4,60 m al di sopra del fondo del camino. Le pompe sono piazzate ai lati del camino e messe in movimento da una piccola ruota idraulica. Le acque ricascano lentamente nel camino e si frazionano in lamine e gocce e urtano successivamente contro i dodici diaframmi “e” disposti come indicato nelle Fig. 8 e 9, nel disegno a lato. Con questa disposizione, l’acido solforoso, dopo aver sfiorato la superficie delle acque contenute nella vasca, viene obbligato, risalendo nel camino, a restare in contatto intimo e molto prolungato con quelle prima di potersi disperdere nell’atmosfera.”
Il nuovo forno incominciò a funzionare verso la metà di novembre del 1874. Il procedimento ebbe un notevole effetto diminuendo del 25% il consumo di ghisa, del 55% le perdite di rame nel processo, il consumo del combustibile del 40% e con successi imprevisti quali l’eliminazione dell’arsenico dal rame prodotto e in generale un aumento del titolo stesso del rame finale. I brunini erano spariti.
Tenendo conto che venivano eseguite circa 600 operazioni di cementazione all’anno, i vantaggi economici vennero stimati in 80.000 franchi dell’epoca all’anno.
Enzo Galeone