Il riparo D A L M E R I
Nella sala Papa Luciani della Chiesa di Agordo, il 22 maggio 2004, il Gruppo ARCA ha invitato il prof. Giampaolo Dalméri, Conservatore della Sezione di Preistoria del Museo Tridentino di Scienze Naturali, a tenere una conferenza per trattare il tema ARTE E RITUALITÀ IN UN SITO DEL PALEOLITICO FINALE. Il relatore ha incentrato il suo intervento sull’eccezionale ritrovamento da egli stesso effettuato in un grande riparo sottoroccia (circa 30 metri di lunghezza, a 1240 metri di quota) nei pressi di Marcésina sull’altopiano di Asiago, Comune di Grigno in provincia di Trento (Foto 1).
Diamo qui una sintesi dei contenuti della conferenza.
La scoperta del sito da parte del prof. Dalmeri, che nella serata si è rivelato un magico affabulatore, risale agli anni ’80: lo strato antropizzato è stato rinvenuto a ben due metri di profondità dal suolo di calpestio; nel 1991 sono iniziati gli scavi e i reperti archeologici rinvenuti e analizzati hanno permesso di datare la prima frequentazione umana del riparo a circa 11.500 -11.000 anni fa e prolungatasi per un tempo di circa 200 anni.
Il periodo preistorico relativo all’insediamento è il Paleolitico superiore, prende il nome di Epigravettiano recente ed è lo stesso nel quale è stato inquadrato il Riparo Villabruna, in Val Rosna (Bl), riparo che ospitava l‘importante sepoltura di un cacciatore dell’epoca dotato di ricco corredo funerario (vedere articolo di Carlo Mondini). Lo scavo è stato effettuato, da allora praticamente ogni anno e per la durata di 5-6 settimane estive, da un equipe di una decina di persone: due addette allo scavo e le altre dedite al lavaggio reperti, alla selezione, alla documentazione, alla logistica, etc.
Finora lo scavo effettuato nel sottoroccia copre circa 60 mq, e sono stati individuati due livelli archeologici principali, tra i quali però non è riscontrabile una vera discontinuità. La quantità di ritrovamenti emersi nel corso delle varie campagne di scavo rende evidente l’unicità del luogo sotto molti e impensabili aspetti: la conservazione e la quantità dei reperti ossei soprattutto di stambecco (50.000 - 70.000 frammenti d’ossa di stambecco raccolti in ogni campagna di scavo, 2.000 frammenti di ossa di pesce), i lavori in selce (20.000 strumenti e circa 800.000 schegge), la presenza di strumenti in osso (punte di zagaglia, spatole, aghi etc), alcune conchiglie forate, una perlina in steatite, alcune schegge di cristallo di rocca, cinque denti umani da latte (che indicano la presenza non solo di cacciatori ma anche delle loro famiglie), il tutto immerso in uno strato di terreno nerastro dovuto ai residui organici (con spessori dai 20 cm sottoroccia, fino a 60-70 cm verso l’esterno). Un ‘cordone’ di scarti di selce, pietre, ossa e quattro buche di palo, posto sotto l’aggetto del riparo è stato interpretato come la fondazione di una capanna circolare, impostata già nello strato più antico e utilizzata con continuità anche nel periodo successivo; al suo interno, su di uno strato di ocra, si sono ritrovate ossa di stambecco e cervo, un focolare e schegge di selce, pietre e altro.
Il ritrovamento che però evidenzia al massimo la singolarità del sito è la presenza di una notevole manifestazione ‘artistica’ ritrovata negli ultimi tre anni di scavo e cioè la scoperta, alla base del deposito, quindi relativa al periodo iniziale della frequentazione e durante l’arco di poche stagioni, di oltre 200 pietre dipinte con ocra riportanti figure animali, disegni schematici e impronte di mani; tra gli animali più rappresentati si riconoscono con certezza stambecchi (in numero del tutto prevalente), cervi, un bovide e forse un orso; questa ‘intensa attività’ dei fruitori del riparo è ancora da inquadrare nella sua vera natura: che fosse propiziatoria, rituale, espressiva, rito di fondazione ?
Dall’analisi stilistica e tecnica si rileva che l’esecuzione dei dipinti si può far risalire a due distinti ‘artisti specializzati’ (forse sciamani); altro aspetto notevole rilevato è la capacità di eseguire i dipinti senza avere un limite o un tracciato da seguire; le pietre usate, scelte tra quelle cadute dalla volta, presentano una forma subrettangolare e sono state quasi tutte disposte con il lato dipinto verso il basso, mentre quelle ritrovate all’interno della capanna erano in maggioranza girate verso l’alto: il perché di ciò resta ancora da capire. Non sono stati evidenziati luoghi particolari dedicati all’attività di decorazione: l’ocra è stata trovata diffusamente nell’area scavata; affioramenti di ocra sono presenti sull’Altipiano ed poteva essere usata anche per la conservazione delle pelli.
Per niente trascurabile è anche la presenza nel sito di un considerevole numero di cortici di nuclei di selce graffiti a motivi geometrici rinvenuti in uno strato di terreno superiore, quindi più recenti: questa è una seconda manifestazione ‘artistica’ che mostra di nuovo come le popolazioni prealpine di quell’epoca dessero importanza ad attività non solo pratiche ma anche estetiche.Una possibile sintesi sull’utilizzo del riparo è costituita dalle parole stesse di Dalmeri che afferma: ‘Doveva trattarsi di un gruppo di cacciatori nomadi (una famiglia di 8-10 persone al massimo), che si servivano del riparo nel corso della bella stagione, dedicandosi ad una intensa attività venatoria. Dunque un insediamento di tipo stagionale, utilizzato a più riprese da diverse generazioni: nel corso di qualche centinaio d’anni di vita, non vi sono state interruzioni, come prova l’assenza di strati sterili che altrimenti denoterebbero un temporaneo abbandono’.
Ritornando alla conferenza, un tocco di vera emozione, alla fine è stato creato dal relatore, quando con gesto quasi sacrale ha mostrato dal vivo una delle pietre dipinte: ognuno ha potuto constatare la notevole perizia espressiva dei cacciatori di 11.000 anni fa, capaci di rendere la forma animale anche nel suo movimento utilizzando a tale scopo pure le irregolarità presenti sulle varie pietre.
Per concludere, ringraziamo la Parrocchia di Agordo per l’ospitalità offertaci nella bella sala e naturalmente il prof. Dalmeri per la conferenza tenuta: è stata una delle più gradite finora dal pubblico e di ciò gli siamo grati.
Il Gruppo ARCA
Foto 1: il Riparo Dalmeri con le tettoie di protezione della zona scavata
Foto 2: Riparo Dalmeri — pietre dipinte in ocra con figura ’schematica’ e figura di stambecco
Foto 3, scattata in occasione della visita al sito da parte di ARCA e degli Amici del Museo di Belluno:ricostruzione della struttura della capanna sotto l’aggetto del riparo ; foto
Foto 4: cortice di materiale selcifero
graffito a motivi geometrici