ATTIVITA’ DELL’ ESTATE 2003 DEL GRUPPO ARCA
LO SCAVO AL ‘RIPARO COLAZ’
Questo numero del Notiziario tratta esclusivamente, sotto differenti aspetti, dell’età del Bronzo e in
particolare dello scavo archeologico del ‘ Riparo Colaz’ in Val del Mus;
l’attività intrapresa quest’estate ci ha infatti invogliati ad approfondire le nostre conoscenze su
questo periodo preistorico, non solo riguardo all’ambito provinciale, ma anche al vicino territorio
Trentino; proponiamo quindi, dopo la descrizione della nostra campagna estiva, due
approfondimenti: il primo di Carlo Mondini riguardante soprattutto la Val Belluna e il secondo di
Arca, relativo alla provincia confinante.
A cinque anni dalla sua fondazione, il Gruppo ARCA ha effettuato la sua prima vera campagna di scavo archeologico, dal 14 al 19 luglio 2003, in Val del Mus (o Muss) nei pressi della Val Pegolera, all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi.
Il sito è stato scoperto da soci del Gruppo nell’autunno del 2001: sono stati individuati, inusualmente appoggiati sulla superficie polverosa di un riparo sottoroccia non particolarmente ampio, alcuni reperti ceramici mimeticamente nascosti alla vista da una leggera patina calcarea; ad una prima valutazione, erano stati datati attorno al 1000 a. C., e cioè risalenti all’ultimo periodo dell’Età del Bronzo, la quale convenzionalmente si estende da circa il 2200 al 900 a.C.; da allora c’è voluto un anno e mezzo per portare a termine la procedura necessaria alla realizzazione del progetto di scavo. I tempi per la sua concretizzazione sono stati, tutto sommato, brevi e per questo dobbiamo ringraziare la fattiva collaborazione sviluppatasi tra Soprintendenza Archeologica ed Ente Parco: la volontà della dott.ssa Elodia Bianchin Citton (che come funzionario della Soprintendenza ha assunto la direzione scientifica dello scavo), la sensibilità culturale e lungimirante del Parco che nelle sue varie componenti (Presidenza, Direzione, Giunta, Area Tecnica) ha accettato la sponsorizzazione del progetto, il faticoso coordinamento attuato dal Gruppo Arca e la preziosa e silenziosa opera di quanti hanno contribuito nei più svariati modi, a iniziare dal nostro presidente Gabriele Bernardi, è stata la ‘mistura’ che ha permesso lo sviluppo di un piano di indagine archeologica da realizzare con una campagna della durata di una settimana nell’estate appena trascorsa: un tempo minimo, ma che è risultato sufficiente per iniziare a comprendere a quale realtà preistorica / protostorica far risalire l’esistenza di quel sito.
La prima attività svolta, è stata l’effettuazione, nella primavera del 2003 con moderna strumentazione laser, del rilievo topografico del riparo e dei suoi immediati dintorni, necessaria premessa per avere un corretto inquadramento del sito; il lavoro è stato svolto dalla Zollet Service s.c.a.r.l. di Santa Giustina; con mezzi informatici è stato poi possibile ricostruire il modello grafico tridimensionale del riparo; la stessa ditta ha anche realizzato la ‘quadrettatura’ della superficie da indagare, intervento essenziale che fissa il sistema di coordinate necessario sia per la documentazione grafica che fotografica, sia per la creazione delle condizioni metodologiche del procedere in modo scientifico nelle varie fasi di scavo.
La parte più impegnativa, data la nostra inesperienza, è stata quella burocratica che ci ha portati da un ufficio all’altro e da una pratica all’altra riguardanti l’Azienda Demaniale delle Foreste, la Compagnia Assicurativa, la Soprintendenza Archeologica, l’EnteParco, la Stesura del Piano per la Sicurezza, etc…
La direzione dello scavo è stata proposta all’archeologo dott. Italo Bettinardi e la perizia preventiva geomorfologica del sito e le consulenze durante lo scavo, al geoarcheologo Giulio Di Anastasio. Si è così appreso quale forma dare ai preventivi e ai contratti da concordare con tali professionisti.
Si è ricorso all’ing. Benedetta Beghelli per la stesura del Piano di Sicurezza del cantiere riguardante le misure da realizzare per l’incolumità dei partecipanti; tali interventi sono consistiti in staccionate poste verso il dirupo sottostante, nel posizionamento di indicatori di pericolo (nastri, cartelli), nel procurare caschetti di protezione, nel posizionare la rete di protezione posta a ridosso del riparo e i cordini di sicurezza nei punti più esposti del sentiero di accesso, nel sistemare il sentiero stesso, e altro.
Si è invitata Fabiana Mei di Agordo, neodottore in Conservazione dei Beni Culturali-indirizzo Archeologico, a partecipare allo scavo: ha vissuto così una delle sue più complete esperienze di lavoro archeologico e ha contemporaneamente svolto un tirocinio, riconosciuto dalla Soprintendenza, utile ai fini dello studio universitario; ha svolto con professionalità e pazienza il rilievo grafico di ogni metro quadro di superficie messa in evidenza dagli ‘scavatori’ e il posizionamento topografico dei reperti più interessanti.
È stata inoltre costituita la squadra dei volontari ‘prestatori’ di manodopera: nella prima settimana di luglio sono stati procurati il materiale e gli approvvigionamenti, nella seconda settimana si è allestito un efficiente ‘cantiere di montagna’, protetto dal sole e dalla pioggia con teli impermeabili (non mancavano l’acqua corrente, portata con tubo dal vicino torrente, quest’estate ridotto a un rigagnolo, e servizi di toletta), si è inoltre strutturata la zona della setacciatura della terra asportata; nella terza settimana di luglio è stato realizzato lo scavo vero e proprio; ma se tutto ciò è stato possibile dobbiamo ringraziare il prof. Carlo Mondini che nelle sue campagne di scavo ci ha insegnato quanto è necessario avere e sapere per poter organizzare un lavoro di questo tipo, trattandosi di un’attività del tutto particolare!; alla fine dello scavo si è poi dovuto parzialmente smontare il cantiere.
Cogliamo l’occasione per ringraziare per l’essenziale aiuto anche tutti i ‘manovali’ che hanno contribuito a portare a termine questo primo scavo.
Passiamo ora all' intensa settimana di indagine archeologica:
Il primo intervento è consistito nel ripulire la superficie di circa 25 mq. dalle erbe, dagli arbusti d’erica che ricoprivano il declivio antistante il riparo; è stata così messa in evidenza la prima unità stratigrafica di terreno: già a iniziare dal primo/secondo giorno l’indagine ha permesso di rilevare un’insolita ricchezza di reperti ceramici; tra i ‘cocci’ ci sono numerosi e bellissimi cordoni di vaso e altrettanti bordi significativi; nella trincea, che è stata scavata dall’archeologo Bettinardi, è emersa una situazione a dir poco stupefacente, molto al di là delle nostre aspettative: a ridosso della parete risulta infatti esserci, al momento, uno strato di 20 cm interamente costituito da frammenti ceramici; la trincea, per ora, non è stata approfondita per non compromettere la raccolta di future informazioni derivanti da uno scavo sistematico. Verso l’esterno del riparo il geomorfologo Giulio Di Anastasio ha individuato traccia di una struttura in sasso riferibile ad un muretto che probabilmente serviva a rendere più ampia la superficie utile.
stratificazione di frammenti ceramici nella trincea
Dopo sei giorni di appassionante lavoro e dopo aver ‘raccolto’ nel primo strato, spesso circa 5 cm, più di 15 chili di reperti, si è ‘incartata’ per quest’anno l’area di lavoro, in modo che sia pronta per il prossimo anno: si auspica infatti che l’estate prossima si riesca a realizzare la necessaria, cosa prima imprevedibile, seconda campagna di scavo; la dott.ssa Bianchin, al termine della prima indagine, ha constatato come divenga indispensabile un altro intervento che duri almeno due settimane, data la ricchezza del sito e le possibili informazioni ricavabili che potrebbero permettere la lettura complessiva dell’insediamento: ciò naturalmente potrà divenire realtà solo se riusciremo a ‘scovare’ altri finanziamenti. Contiamo naturalmente sulla sensibilità dell’Ente Parco … e non solo.
L’ultima fase attuata dal Gruppo è consistita nel lavaggio dei ‘cocci’: ora sono pronti per essere catalogati, disegnati, fotografati e studiati dagli esperti. Ciò avverrà, come gentilmente promessoci dall’Amministrazione Comunale di Agordo, nello spazio sottostante al Nuovo Museo Mineralogico.
Entro la prossima primavera, se non prima, prevediamo di organizzare ad Agordo una conferenza, tenuta dalla dott.ssa Bianchin, nella quale verranno esposti al pubblico i risultati scientifici della prima indagine felicemente conclusa.
Il Gruppo ARCA
Zeta Esse s.c. Zollet Service Società Cooperativa
I P O T E S I
Noi soci del Gruppo ARCA, pur coscienti di avere una cultura archeologica solo da appassionati, presentiamo un’elaborazione dei risultati dello scavo al ‘Riparo Colaz’ e ce ne assumiamo la paternità. Con questo intervento non vogliamo sostituirci né alla Direzione Scientifica dello scavo, né al lavoro degli Archeologi: non appena ne saremo in possesso, daremo conto delle relazioni della dott.ssa Bianchin, del dott. Bettinardi e del dott. Di Anastasio.
Durante le operazioni di scavo del ‘Riparo Colaz’, si è avuta occasione di confrontare differenti opinioni in merito alla funzione rivestita dal sito in antichità: è stato questo uno dei momenti più costruttivi e istruttivi vissuto durante quest’indagine archeologica; si sono perciò affacciate varie ipotesi che vanno ad aggiungersi a quelle già esposte nel nostro notiziario n° 7 dell’aprile 2002.
In esso si diceva:
‘I primi reperti ritrovati con ricerca di superficie sono ‘cocci’ (frammenti di vaso di terracotta - ceramica), i quali danno l’idea che il sito fosse utilizzato nella bella stagione e adatto ad ospitare pastori dediti alla transumanza provenienti dai vicini villaggi di pianura … oppure poteva essere base per cacciatori di quota medio/alta … o … essere tappa rifornita di ‘comfort’ per viaggiatori/mercanti che transitavano con percorsi intervallivi dallo Zoldano al Cordevole … alla valle del Mis …, seguendo con ciò le vie più brevi, anche se per noi non le più agevoli. È meno probabile … pensare che questo riparo fosse utilizzato per lunghi percorsi con direzione nord-sud ….’
Riguardo alla presunta datazione delle ceramiche si diceva:
‘… Certamente solo uno scavo sistematico del sito potrà apportare elementi nuovi tali da correggere l’interpretazione accennata: l’eventuale presenza di selci lavorate daterebbe il sito dalla fine del Neolitico all’Antico e/o Medio Bronzo (dal 3500 a.C. al 1400 a. C.); la loro assenza, invece, restringerebbe l’epoca al Bronzo Recente-inizio dell’età del Ferro (dal 1300 a.C. al 900 a.C.), con una frequentazione quindi di circa 500 anni. Queste datazioni provvisorie sono fondate sulla tipologia dei decori e dei bordi di vaso fortunatamente ritrovati: finora sei cordoni di tipo diverso. Tutto ciò naturalmente è basato sulle prime constatazioni fatte, quindi passibili di mutamenti anche importanti. …’
Un frammento di ceramica
con elegante cordone ritorto
A tutt’oggi, dopo la conclusione dello scavo di quest’anno, i dati di cui disponiamo non permettono ancora di restringere la gamma delle interpretazioni sul reale utilizzo del ‘Riparo Colaz’; anzi, possiamo porre sullo stesso piano l’ipotesi già citata di insediamento stagionale di pastori e/o cacciatori, con le nuove prospettive che il sito fosse o una necropoli a inumazione oppure un luogo di culto; queste idee scaturiscono dal confronto dei dati finora raccolti con elementi d’analisi che risaltano per la loro assenza.
Si è infatti rilevata la presenza di:
una notevole quantità di ceramica, con impasto di media o buona qualità, cioè con inclusi non troppo grossolani, contrariamente al fatto che all’inizio dello scavo si pensava che il tutto potesse consistere in un numero limitato di cocci in superficie
una grande varietà di forme e di decori, anche raffinati (per ora una ventina)
una punta di freccia in selce riferibile al Bronzo medio-recente (1400 -1000 a. C.)
terreno pulverulento e nerastro e ricco di cenere
due piccole schegge di ossa incombuste, anche se non si sa se umane o animali;
un focolare superficiale, che però potrebbe avere un’origine recente.
E’ invece rimarchevole l’ assenza di:
tracce evidenti di fuliggine sulla parete dell’aggetto
qualsiasi oggetto di vita quotidiana quali macinelle o strumenti da lavoro
resti di pasto
ossa calcinate.
Naturalmente, si potrà avere una visione più aderente alla verità solo dopo un ulteriore scavo che mostri gli strati più profondi del riparo.
Per ora i fattori che fanno propendere per un riparo-necropoli sono:
1- la palese mancanza di reperti legati alla vita
quotidiana
2- l’anomala abbondanza di vasi e per di più con
decori così vari
3- un luogo particolarmente suggestivo, che allo
stesso tempo sembra non essere tra i più adatti ad
un insediamento, anche se stagionale
4- le testimonianze similari nel vicino Trentino (vedi
articolo da pag. 10).
Quest’ipotesi non può essere del tutto avvalorata poiché mancano sia ossa combuste che non combuste, ma i fattori a favore non permettono di metterla da parte.
Invece, la mancanza delle ossa non contrasta con la lettura del sito quale luogo di culto o santuario che viene suffragata da quanto già sostenuto per la necropoli e dalla suggestione creata dal posto e dal percorso di accesso (presenza di cascate, ‘brentoni’, alte pareti incombenti). Sappiamo, da situazioni esistenti in Trentino e in Alto Adige, che i santuari dell’età del Bronzo non si inquadrano in una tipologia fissa, bensì presentano notevoli varietà di morfologie geografiche quali siti all’aperto, su pendio, sulla cima di monte, in ripari sottoroccia, dossi isolati, nei pressi di laghi o paludi; anche le ritualità presentano aspetti diversi: sito funebre a carattere monumentale, solo offerte votive di alimenti e di recipienti in ceramica (intenzionalmente fratturati o meno), cumuli di ossa bruciate, deposizione di oggetti metallici quali spilloni e fibule, armature in selce.
Naturalmente il quadro finora emerso non dà adito né a conferme né a smentite dell’una o dell’altra ipotesi; un reperto datante è però acquisito, e cioè la punta di freccia in selce, che permette per ora di spostare al Bronzo medio-recente, l’inizio del periodo di frequentazione del riparo, e cioè di confermare la prima delle due datazioni proposte nell’altro Notiziario; riguardo al termine del suo utilizzo, pur notando la presenza di alcuni cocci con decori più vicini all’età del Ferro, non si è ancora in grado di proporre datazioni attendibili.
Il gruppo ARCA
L’ETA’ DEL BRONZO NEL BELLUNESE
a cura di Carlo Mondini
Tracciare un quadro dell’età del Bronzo ( circa 3800 - 2900 anni dal presente) per la provincia di Belluno basandosi sui soli ritrovamenti di superficie, non è certo cosa agevole né puntuale, ma tuttavia le prospezioni e le ricerche effettuate sul territorio e in particolare nella Val Belluna, consentono a grandi linee di poter delineare una ricostruzione generica e comunque passibile di essere rivista nel tempo attraverso la raccolta di nuovi dati, provenienti magari da più esaustivi scavi scientifici ( ne sono in atto, in questo momento e per questo periodo pre-protostorico due nel Bellunese, sotto la direzione scientifica della dott.ssa E. Bianchin Citton, funzionario di zona della Soprintendenza Archeologica del Veneto, presso il riparo sotto roccia del Colaz in val del Mus e presso il “castelliere” di Noal di Sedico ).
Il ritrovamento di siti del Bronzo ha subito una forte accelerazione in questi ultimi 10–15 anni grazie alla scoperta del già nominato insediamento di Noal di Sedico, che ha fornito un’indispensabile chiave di lettura sull’intrepretazione e l’ambientazione dei ricorrenti modelli abitativi in uso soprattutto nella seconda parte dell’età del Bronzo: gli insediamenti d’altura o castellieri.
Età del Bronzo antico e medio : cronologie.
Poco conosciamo della fase più antica (1800-1600 a.C.) di questa età nel Bellunese, infatti dopo una colonizzazione piuttosto capillare avvenuta in età Tardoneolitica ed Eneolitica, si osserva un drastico crollo demografico e dunque insediativo nella prima età del Bronzo, da imputarsi presumibilmente a un cambiamento climatico che rende il nostro ambiente montano poco idoneo all’abitabilità. I siti di questo periodo sembrano privilegiare altre zone geografiche e altri tipi di habitat, essi occupano generalmente posizioni in prossimità di laghi quali ad esempio il lago di Garda, di Fimon nel Veneto o di Fiavè-Carrera nel Trentino, con la formazione di villaggi con impianti di tipo palafitticolo o su bonifica perispondale.
Rari e per lo più sporadici sono i ritrovamenti di reperti del periodo nel Bellunese, ricordiamo solo un’ascia in bronzo a margini rilevati, rinvenuta nei pressi di Paiane di Ponte nelle Alpi ancora agli inizi del XX secolo, durante lavori di escavazione in area umida ( presumibile sito in area paludosa), e ancora dei frammenti di ceramica dall’insediamento d’altura di Castel de Pedena (S. Gregorio nelle Alpi) e forse alcuni manufatti in selce: raschiatoi foliati raccolti in arature a sud del paese di Trichiana (dove però l’associazione litica prevalente sembra inquadrarsi in età eneolitica), a ridosso di una bassura, forse antica zona paludosa.
Anche il successivo momento culturale: il Bronzo medio ( circa 1600-1300 a.C. ) non è ancora ben definito all’interno del comparto territoriale Bellunese, ma parallelamente a quello che avviene nel Veneto, dove si assiste a un cambiamento delle modalità di popolamento con l’occupazione di aree di pianura e delle fasce collinari medio-alte, sembrerebbe iniziare anche da noi una fase di colonizzazione stabile con lo sfruttamento di aree insediative d’altura: Castel de Pedena, Nareon di Trichiana. Dai primi e significativi dati provenienti dagli scavi intrapresi sotto la direzione scientifica della dott.ssa E. Bianchin Citton in collaborazione con il gruppo archeologico Arca di Agordo ( a cui va il merito della scoperta ), nel sito sotto roccia del Colaz, nella Valle del Mus, alcuni frammenti di vasellame in ceramica attestano già a partire dal Bronzo medio la frequentazione del luogo, rimarcata anche dal ritrovamento di una punta di freccia in selce a base concava, tipologicamente caratteristica del periodo.
Il sito che alla luce degli attuali rinvenimenti si prefigura (anche se ipotizzarne per ora una funzione è indubbiamente prematuro) come bivacco per lo sfruttamento a fini pastorali dell’ambiente circostante, potrebbe poi rivelarsi come punto di riferimento e di comparazione per la conoscenza scientifica e la sistemazione cronologica dei reperti dell’età del bronzo rinvenuti in tutta la provincia.
Il Bronzo recente
Ben più importante si presenta il successivo momento culturale, quello del Bronzo recente (1300-1150 a.C.) per la grande messe di ritrovamenti che segnalano un forte incremento demografico lungo tutta la Val Belluna e in aree limitrofe.
Si disvela questo un periodo particolare che vede un fiorire di insediamenti d’altura posti sulla cima di colli e colline in posizione di controllo di percorsi e vie di comunicazioni o sulle testate di valli secondarie a tutela delle risorse economiche che potevano offrire determinati ambienti.
Numerosi villaggi a volte fortificati con argini e murature, oppure difesi naturalmente da inespugnabili pareti rocciose o erti versanti (castellieri) si sviluppano in tutta la Val Belluna sulla sinistra (area Prealpina) e sulla destra Piave (area Alpina) in località morfologicamente cacuminali con forte panoramica sui territori circostanti e spesso in comunicazione visiva tra loro.
La genesi dei villaggi d’altura pare avere inizio in alcuni casi già nel Bronzo medio-recente e talvolta si protrae fino all’età del Bronzo finale e del primo Ferro costituendo nel bellunese un modello insediativo nuovo e del tutto particolare ( ma che si rinviene ben rappresentato in regioni come l’Istria, la Venezia Giulia, il Trentino e l’Alto Adige ) che perdura per alcune centinaia di anni ( si veda il castelliere di Noal di Sedico e quello di San Pietro in Tuba ).
Iniziando l’analisi dei nostri siti dal comparto geografico feltrino per proseguire poi verso quello Bellunese, una straordinaria sequenza di insediamenti d’altura corona sulla destra Piave tutta la fascia pedemontana; disposti sull’imboccatura delle valli che perpendicolarmente alla Val Belluna solcano i primi versanti alpini, i castellieri insistono a controllo e guardia di verosimili vie di transumanza (alti pascoli), commerciali (miniere di rame), di importanti assi viari o più semplicemente delle risorse ambientali del territorio circostante.
Il più occidentale fra quelli a oggi individuati, si rinviene nei pressi di Feltre, sul Monte Aurin che con i suoi 800 m. di quota risulta altresì uno dei più elevati; scoperto ancora negli anni ‘70 da G. Villabruna e ripreso negli anni ‘90 da A. Sartorelli, il sito ha restituito frammenti di ceramica vascolare sovente arricchita con decorazioni rappresentate da cordoni lisci o diteggiati inquadrabili genericamente nel Bronzo recente.
Nelle vicinanze, su un colle dislocato nei dintorni dell’attuale centro di Norcen, alto sopra la Val di Lamen e quella di Croce d’Aune, un altro insediamento d’altura con reperti bronzei e frammenti di vasellame decorato prevalentemente da cordoni lisci, sembra porsi a controllo della via che risalendo dalla Val Belluna doveva attraversare il passo di Croce d’Aune per scendere nella valle che conduce verso la val Cismon da dove si potevano potenzialmente anche raggiungere i giacimenti minerari (rame) del Primiero.
Lungo questa valle, nei pressi dei centri di Servo e Sovramonte, a sorveglianza del percorso sopraddetto, si rinvengono altri due castellieri (De Faveri–Sirola) in visione tra loro e presumibilmente in comunicazione con l’altro sito di Norcen ( analogie nella tipologia ceramica ).
Da ricordare inoltre in zona i ritrovamenti di frammenti di vasellame effettuati in alcuni ripari sotto roccia della Valle di Lamen (scavi Soprintendenza-Fasani-Pessina), in livelli stratigrafici attribuiti all’età del Bronzo, in un ambiente che riproduce un quadro insediativo ed economico similare a quello già esposto del Colaz della valle del Mus.
Proseguendo nella Val Belluna verso est, nei pressi del paese di Lasen, su un colle recintato in alcuni tratti da residui di murature a secco con pietre di pezzatura di notevoli dimensioni, appare un altro castelliere dove si sono raccolti alcuni cocci di vasi di età pre-protostorica.
A vista, a poca distanza si erge il villaggio d’altura di Vignui, denominato “El Castel”, utilizzato già in età Tardoneolitica e ripreso in età del Bronzo recente-finale come documentano alcuni frammenti di ceramica fra cui un tarallo.
Imponente poi, al centro della Val Belluna, in prossimità del paese di Zermen, a raccordo fra destra e sinistra Piave, con una visione che spazia tutto attorno a 360° e che guarda in particolare verso la stretta di Quero, un altro sito d’altura: Col dell’Albero, al centro del Monte Telva, ha restituito diversi bronzi, soprattutto frammenti di pani e ceramica della stessa tipologia (presenza di pareti decorate con cordoni lisci) riscontrata nel non lontano colle di Norcen.
Riportandosi più decisamente sulla fascia pedemontana della destra Piave, sull’imboccatura della Val Scura (Santa Giustina), attraverso la quale si può accedere al distretto minerario Agordino, doveva insistere, su un piccolo colle denominato Castelar di Campel un nuovo sito, fortemente alterato nella sua struttura morfologica originale da spianamenti e usato anche in età medioevale come fortificazione o posto di vedetta.
In superficie, lungo il versante est del colle sono stati recuperati in giacitura secondaria, piccoli frammenti di vasi in terracotta di grosso spessore e con ingenti quantitativi di degrassante anche grossolano, un frammento di pane in bronzo, alcune selci che potrebbero far risalire l’età del castelliere al Bronzo recente.
Molto più importante si rivela il complesso di villaggi d’altura disposti sui colli che degradano sulla destra e sulla sinistra del torrente Cordevole poco prima che esso confluisca nel fiume Piave. Osservando questo settore geografico, nasce immediata la correlazione fra la funzione di questi villaggi d’altura e le vie che conducono verso o lungo la Valle del Cordevole e del Mis, all’area mineraria agordina; questo stimola in chi si occupa di tali studi, un forte motivo di interesse, per ora sostenuto solamente da labili segnali archeologici; ma ci si augura con il prosieguo di ricerche mirate, di poter finalmente determinare e definire in modo scientifico lo sfruttamento dei giacimenti cupriferi già in età preistorica e protostorica.
Nei dintorni del piccolo centro di Roncoi (San Gregorio nelle Alpi) un sito d’altura in forte degrado naturale: Castel de Pedena, ha reso un grande quantitativo di reperti, soprattutto frammenti di vasellame attribuibili cronologicamente (E. Bianchin Citton) al Bronzo antico e medio-recente decorati con una varia gamma di motivi cordonati diteggiati e lisci oltre che da impressioni diteggiate sui bordi. Compaiono poi diversi manufatti in selce fra cui punte di freccia ed elementi di falcetto assieme a resti ossei di fauna domestica.
Probabilmente, dopo il Bronzo recente il villaggio venne abbandonato in seguito al collasso naturale del colle e trasferito nell’età del Bronzo recente-finale o primo Ferro su un ampio colle pianeggiante dislocato a poche centinaia di metri (Suppiane). In questa posizione, il nuovo insediamento si estende su un’area molto vasta e i reperti vascolari raccolti si differenziano cronologicamente e tipologicamente da quelli più antichi di Castel de Pedena, abbracciando forse un arco temporale compreso fra la parte finale del Bronzo recente e la prima età del Ferro.
Sul versante collinare sinistro della Valle del Cordevole si erge poi il più importante castelliere bellunese, quello di Noal di Sedico articolato in un insieme di strutture difensive, riprese anche in età medioevale.
Due ordini di argini separati da profondi fossati recingono a nord la parte più vulnerabile del colle, quella non difesa naturalmente dagli erti pendii che degradano sulla Val Belluna. La vista spazia ampiamente sia sulla Valle del Cordevole che sul sottostante fondovalle del Piave; l’insediamento posto proprio sulla metà della Val Belluna e all’imboccatura della Valle del Cordevole deve aver avuto, per la sua imponenza strutturale, una grande importanza strategica che auspichiamo rivelarsi pienamente con il procedere delle campagne di scavi archeologici intraprese da diversi anni.
Dai primi dati si può desumere una persistenza insediativa che abbraccia un arco temporale compreso tra il Bronzo recente e la prima età del Ferro, e dopo un periodo di abbandono piuttosto lungo, il sito venne parzialmente ristrutturato in periodo medioevale con l’edificazione di una possente torre di avvistamento e di altre costruzioni.
Risultano invece più rari e sporadici i ritrovamenti riferibili al Bronzo nel tratto pedemontano compreso fra Sedico e Belluno, dove finalmente ai piedi del Monte Serva, nei pressi della chiesetta di San Liberale, sul colle detto del Mas si profila un altro insediamento d’altura, le cui testimonianze sono ancora legate al ritrovamento di numerosi frammenti di panelle di bronzo e a resti di vasellame in terracotta recanti le solite decorazioni a cordoni lisci o diteggiati riscontrabili nella maggior parte dei castellieri bellunesi del Bronzo recente. Da rilevare in questo sito il ritrovamento della testa a rotella di uno spillone in bronzo, l’unico di questa tipologia rinvenuto nel Bellunese.
Da sottolineare fra i ritrovamenti sporadici avvenuti nel territorio del comune di Belluno, una bella punta di lancia in bronzo con innesto a cannone, proveniente da luogo imprecisato nei pressi di Salce e un ricco ripostiglio di strumenti in bronzo, scoperto ancora negli anni 30 del secolo scorso ai piedi del Monte Talvena appena sopra l’attuale borgo di La Fossa, comprendente due asce ad alette, uno scalpello e due cunei riferibili cronologicamente alla prima età del Ferro; gli oggetti si trovano attualmente esposti nel Museo Civico di Belluno.
Sempre ai piedi del monte Serva, ma più a est, già all’interno del comune di Ponte nelle Alpi, in località Pedena, si rinvengono le tracce di una serie di abitati su versante, edificati su terrazzi, lungo il lato sinistro del Rio Secco.
I materiali archeologici: frammenti di panelle, di falcetti in bronzo e di vasellame in ceramica, raccolti anche con interventi di scavo ( E. Bianchin Citton-P.Michelini 1986 ), risalgono all’età del Bronzo recente-finale; essi lasciano intuire come la zona, all’incrocio della Val Belluna con l’alta Val del Piave e la Valle Lapisina, dovesse essere un importante snodo di percorsi e di assi viari dell’epoca.
Più radi gli insediamenti d’altura tuttora scoperti lungo la sinistra Piave, fra questi ricordiamo quello posto sul colle di Sant’Anna di Castion (Belluno) rifortificato anche in età medioevale.
Da questo sito provengono manufatti in selce, e fra questi punte di freccia ed elementi di falcetto e frammenti vascolari con i ricorrenti motivi cordonati lisci e diteggiati del Bronzo recente.
Bisogna poi giungere nella fascia territoriale del comune di Limana per ritrovare un altro importante castelliere, quello di San Pietro in Tuba, dislocato sull’omonimo monte a 800 m. di quota, verosimilmente posto a controllo della via che dal trevigiano attraverso il passo De le Femene ( spartiacque prealpino ) e il Canal di Limana conduceva poi verso la Val Belluna.
Il colle abitato sin dal tardoneolitico, venne nuovamente insediato a partire dall’età del Bronzo recente, ma il villaggio raggiunse la sua massima espansione nel Bronzo finale e nella prima età del Ferro, quando si estenderà oltre che al suo apice anche lungo i versanti che guardano la Val Belluna, con l’apprestamento di terrazzi e murature a secco che paiono intravedersi ancora qua e là nell’area archeologica dalla quale provengono fra l’altro numerosi frammenti di vasi in ceramica domestica grezza ( ma anche più raffinata: ossuari) e di manufatti in bronzo: falci, frammenti di falci e di coltelli, rasoi, spilloni, panelle di rame e un piccolo tesoretto di bronzi costituito da un coltello di tipo Matrei, da una lesina e da una lamina forata.
Nelle vicinanze, ma ormai in comune di Trichiana si rinviene l’ultimo dei villaggi d’altura scoperti lungo la sinistra Piave, quello di Noal di Trichiana (Monte Nenz) che oltre a reperti dell’età del Bronzo ha restituto il noto e stupendo esemplare di chiave votiva hallstattiana in bronzo cronologicamente riferibile alla metà del VII sec. a. C.
Sempre in comune di Trichiana, in località Nareon, su un lungo cordone morenico si sviluppò un insediamento del Bronzo medio-recente, che pur non avendo le caratteristiche morfologiche e strutturali dei castellieri, insisteva in posizione rialzata e di controllo sulla sottostante Valle del torrente Ardo.
Non si segnalano, per ora, altre tracce, di quel classico modello insediativo d’altura che caratterizza la Val Belluna durante la tarda età del Bronzo, lungo il tratto della sinistra Piave compreso fra Trichiana ed il complesso di castellieri già noti dislocati sulle prime colline trevigiane, oltre la stretta di Quero.
Carlo Mondini
L’ETÀ DEL BRONZO IN TRENTINO
a cura del gruppo ARCA
L’età del Bronzo si è sviluppata nel continente europeo nel corso del II millennio (dal 2200 al 900 a.C.) articolandosi in quattro fasi principali: Bronzo antico, Bronzo medio, Bronzo recente e Bronzo finale.
La definizione dei periodi che scandiscono l’età del Bronzo e la prima età del Ferro sono uno strumento utile per porre in correlazione avvenimenti e manifestazioni dell’area Egea e dell’Italia peninsulare con quelli del mondo transalpino.
BRONZO ANTICO (circa XXIII – XVII sec a.C., cioè 2200 -1600 a.C.)
In questo lasso di tempo lungo sei secoli, a cavallo tra il III e il II millennio, avviene un’intensificazione del popolamento nel territorio alpino centro orientale; buona parte di questo periodo è caratterizzato dalla cultura di Polada diffusa a sud-ovest del lago di Garda e identificata con l’antica età del Bronzo dell’Italia centro-orientale; segue poi la caratteristica cultura Trentina di Fiavè e Ledro; nel bronzo antico avvengono due fenomeni interdipendenti:
1- Il significativo incremento della metallurgia, con la produzione e la trasformazione del rame in siti prossimi ai giacimenti metalliferi segnalati da resti di fonderia (scorie a forma di ‘focaccia’) localizzati sia in fondovalle che in altura a meno di 700 m. s.l.m., e resti di forni a catino di argilla stesa su uno strato di scorie e su fondo ghiaioso; gli utensili di bronzo prodotti permettono di specializzare e incrementare la produzione di manufatti in legno: esemplari sono i contenitori e gli attrezzi lignei, rinvenuti nel villaggio palafitticolo di Fiavè
2- La manifestazione del nuovo orizzonte culturale di Polada con il tipico culto dei morti in necropoli o tombe singole in riparo o grotticella.
Poco si sa invece degli abitati, a parte quelli palafitticoli; l’economia del periodo era incentrata sull’allevamento e su una modesta attività agricola: la scarsa produzione di cereali era integrata dalla intensa raccolta di frutti selvatici; caratteristiche risultano le ceramiche e i boccali, forme riprodotte anche in legno.
BRONZO MEDIO (tra i sec XVI e XIV a.C., cioè tra il 1500 e il 1300 a.C.)
Si hanno scarse testimonianze sia di ceramiche, dove si impone la tazza a corpo carenato, che di insediamenti, anche se questi continuano a essere siti in altura e su palafitte; si accrescono notevolmente i reperti lignei; si rilevano consistenti oscillazioni demografiche.
Economia:
Le indicazioni in possesso ci permettono di affermare l’esistenza di una fiorente economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento (all’aperto d’estate e protetti d’inverno e utilizzando foraggi insilati), la continuazione di una intensa attività di raccolta di prodotti spontanei (erbe e frutti, pere e mele selvatiche), le produzioni artigianali praticate in maniera intensiva e razionale; si suppone esistesse l’autosufficienza alimentare delle varie comunità. La produzione di alimenti caseari e la fabbricazione di tessuti e cordami si svolgevano nelle singole case del villaggio; non è stato possibile stabilire l’esistenza di scambi di prodotti agricoli tra i vari villaggi.
Cultura materiale:
La produzione di metallo subisce una diminuzione anche se viene registrato un certo scambio di oggetti metallici con comunità del Lago di Garda, Lombarde, Svizzere e del Medio Danubio; viene rilevata la presenza a Fiavè e Stenico di una spirale d’oro e di vaghi d’ambra: segnale di buon livello di benessere e di prestigio.
Il bronzo medio trentino dopo aver influenzato altre realtà vicine poste tra i fiumi Oglio e Adige, finisce bruscamente senza alcuna ragione comprensibile e viene sostituito da nuove comunità portatrici di una differente cultura: quella del bronzo recente e finale.
Il culto dei morti nell’antica età del bronzo in Italia Settentrionale e in Trentino:
I siti con aspetti funerari che sono collocati in ambiente prealpino e alpino, vedono un quasi esclusivo seppellimento su conoidi, in grotticelle, anfratti, in tumuli posti in ripari sottoroccia appena accennati, e/o alla base di imponenti pareti rocciose.
La deposizione primaria probabilmente avveniva sulla superficie, forse con una semplice protezione di lastre o pietre e seguita, in un secondo momento dalla dislocazione in ossari per lasciare il posto ad altre inumazioni; non sono presenti tracce di combustione sulle ossa; gli oggetti di corredo sono principalmente costituiti da vasetti, strumenti in selce, pendagli di collana a bastoncello, ciotoletti forati e oggetti di metallo (spilloni, lesine, pugnaletti). Molto frequenti sono le tumulazioni di neonati e bimbi, data l’alta mortalità infantile. La deposizione secondaria veniva effettuata in genere utilizzando vasi che contenevano resti parziali di scheletri di una o più individui; tali vasi venivano coperti da un tumulo di pietre o massi.
Le sepolture di questo periodo sono o a tumulo o a fossa anche collettiva, con il defunto posto in posizione rannicchiata su un fianco.
La deposizione secondaria, non di rado segue il ‘culto dei crani’, caratterizzata dalla collocazione di crani separati dallo scheletro, sia in vasi che non, e protetti da pietre.
Non è riconoscibile una diversità di rituali o una scelta preferenziale di spazi funerari a seconda dell’importanza, del sesso, o dell’età del defunto. L’uso prolungato delle necropoli rende complessa l’interpretazione dei ritrovamenti.
Il culto dei morti nella media età del bronzo in Trentino:
Purtroppo, per il momento, esiste un solo esempio di sepoltura appartenente a questo periodo, a Calfieri di Stenico, costituito da una ‘tomba di famiglia’ e gravitante nell’area culturale nord alpina definita come ‘cultura delle tombe a tumulo’.
BRONZO RECENTE E FINALE (dal XIV al X sec a.C., cioè dal 1300 al 900 a.C.):
Nel Bronzo recente sono avvenuti profondi cambiamenti, si consolidano gruppi e cerchie culturali che stanno alla base delle successive evoluzioni storiche di molte popolazioni; tali futuri popoli sono parzialmente identificabili sia dal punto di vista archeologico che attraverso le fonti scritte greche e romane: a nord delle Alpi contemporaneamente si afferma la Cultura dei Campi d’Urne (necropoli di incinerati deposti dentro vasi), mentre in ambito mediterraneo si conclude il percorso di due grandi civiltà: crolla l’Impero Ittita e cessa lo sviluppo dei centri gravitanti attorno alla Cultura Micenea, e in Egitto regna la XX dinastia, quella di Ramesse II.
Nel Bronzo finale la novità principale è la comparsa su quasi tutto il territorio italiano, e fino alla Sicilia nord-orientale, della cultura archeologica nota come protovillanoviano, cioè quelle manifestazioni culturali che precedono e preparano lo sviluppo della cultura etrusca in Italia centrale.
Modelli insediativi ed economia in Trentino:
In questo periodo muta la tipologia dei villaggi che, non sono più palafitticoli, ma vengono posti su alture, su terrazzi e anche su conoidi ai lati dei fondivalle.
Le strutture abitative sono distribuite a schiera entro terrazzi scavati lungo il pendio, di forma rettangolare lunghe attorno agli otto metri e larghe circa tre-quattro.
Anche se sono scarse le informazioni riguardanti l’allevamento in questo periodo, dai pochi dati si ricava che gli animali prevalentemente allevati erani i bovini e gli ovini.
La produzione ceramica: l’elemento caratteristico del bronzo recente è il contenitore tronco-conico con orlo rivolto verso l’esterno e con piegatura interna arrotondata; i decori consistono in cordoni orizzontali a festone a iniziare dalle prese; gli orli sono decorati con sottili solchi trasversali; l’evoluzione di tale tipologia ceramica si ritrova nel bronzo finale nella cosiddetta ‘Cultura di Luco’, caratterizzata da un boccale a corpo globoso con fondo ‘appiedato’, orlo estroflesso con due sporgenze plastiche e un beccuccio triangolare.
L’industria metallurgica: in Trentino è stato individuato un centinaio di aree fusorie distribuite tra la valle dei Mocheni, nel Tesino, negli Altipiani di Lavarone e Luserna e marginalmente in Valle di Cembra. Le aree sono caratterizzate dalla presenza di estese discariche di scorie, talvolta anche da forni fusori e ceramica (ugelli e frammenti di vasi della Cultura di Luco). I forni, costruiti in batteria, sono verticali, quadrangolari di pietra, nei pressi dei quali sono stati trovati ugelli conici in terracotta ( passo del Redebus); per il bronzo finale non si è in grado di stabilire se avveniva lo scambio di metalli con realtà non trentine data l’omogeneità dei tipi di prodotti diffusi in una vastissima area, comprendente l’Europa Centrale, l’Egeo e l’Italia; la maggioranza di reperti in metallo sono costituiti da strumenti da lavoro (pugnali, coltelli, punte di lancia, asce, roncole, scalpelli); altri manufatti sono oggetti d’ornamento: spilloni e fibule.
Pianta e sezione della zona dei forni fusori
di passo del Redebus
Industria litica: nel bronzo finale l’industria litica diviene del tutto marginale: già dal bronzo medio si registra la rarefazione dell’utilizzo della selce, a vantaggio della metallurgia: si affacciano alla storia i primi coltelli in bronzo che risalgono al bronzo recente e si affiancano a strumenti ad un solo taglio, già presenti nell’età del rame, quali pugnali e asce. In Trentino le testimonianze litiche sono riferite a elementi di falcetto e raschiatoi bifacciali.
Culto: le pratiche cultuali consistono nella deposizione di singoli oggetti in specchi e corsi d’acqua come le spade; cuspidi di lance asce e spilloni sono stati ritrovati in siti d’alta quota. Soprattutto nel XII secolo a.C. in Trentino, come in Alto Adige e regioni limitrofe, si afferma il fenomeno dei roghi votivi (Brandopferplätze); sono forse collegabili con pratiche sacrificali legate a culti agresti della fertilità in alta montagna posti: in fondovalle, su pendii, su terrazzi naturali, e prossimi a specchi lacustri; sono identificabili per il terreno intensamente carbonioso, per la presenza di ossa calcinate e ceneri e per la fitta presenza di frammenti ceramici assieme ad alcuni spilloni e fibule.
Per il Trentino non si dispone di informazioni sufficienti sui rituali funerari del bronzo recente; confrontando con l’Alto Adige, presumibilmente il rito praticato era la cremazione con deposizione in urne documentato per il bronzo medio-inizio bronzo recente.
L’articolo costituisce un sunto di parte del testo
“Storia del Trentino”- vol.I, ed. il Mulino