RITROVAMENTO ARCHEOLOGICO

IN VAL DEL MUSS / PEGOLERA

    Nell’autunno 2001, il gruppo ARCA ha effettuato il suo primo ritrovamento archeologico. Si tratta di reperti rinvenuti in un riparo sottoroccia, nella zona della Val Pegolera / Val del Muss, all’interno del territorio del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. La superficie protetta dall’aggetto della parete non è di grandi dimensioni, infatti sono solo 5-6 metri per circa 2-2,5; probabilmente, un tempo la superficie antistante doveva essere più ampia, almeno il doppio, ma l’opera di erosione del vicino torrente deve aver provocato cedimenti e asportato reperti; se si volesse tentare di dare una prima interpretazione di quale fosse la funzione del riparo, si dovrebbe notare la mancanza di ampi spazi circostanti aperti o adatti al pascolo che potevano averlo reso ‘vivibile’: al massimo, poteva prestarsi per soste di alcuni giorni; un fattore favorevole al suo utilizzo era dato sicuramente dalla presenza, a pochi metri, del piccolo corso d’acqua già citato, che facilmente era sempre attivo, dato il non piccolo bacino di raccolta posto a monte; altro fattore importante è dovuto alla sua posizione intermedia tra l’alveo del Cordevole e la forcella soprastante: circa due ore di cammino più altre due ore per la forcella.

 

 

 

 

 

 

DUE DEI SEI DECORI DI VASO RITROVATI SOTTO IL RIPARO

 

 

    I primi reperti ritrovati con ricerca di superficie sono ‘cocci’ (frammenti di vaso di terracotta), i quali danno l’idea di un  sito utilizzato nella bella stagione e adatto ad ospitare pastori dediti alla transumanza provenienti dai vicini villaggi di pianura (nei pressi del castelliere di Sedico?), e con meta i pascoli montani di media e alta quota, appartenenti probabilmente a tali comunità (esiste in zona il toponimo Mandriz del Colaz, richiamando con Mandriz la funzione di ‘maiolera’, in uso fino a tempi recenti); oppure poteva essere base per cacciatori di quota medio/alta (in alta Val Pegolera sussiste l’interessante toponimo di Cazze Alte), o, ancora, essere tappa rifornita di ‘comfort’ per viaggiatori/mercanti che transitavano con percorsi intervallivi dallo Zoldano al Cordevole (attraverso la Val Vescovà?: di fronte all’uscita della valle esiste il toponimo ‘Val dei Zoldani’), alla valle del Mis (attraverso la forcella Zana?) e fino al Primiero (forcella Cereda?), seguendo con ciò le vie più brevi, anche se per noi non le più agevoli.

    È meno probabile, per me, pensare che questo riparo fosse utilizzato per lunghi percorsi con direzione nord-sud (per esempio collegati a transumanze dalla pianura ai pascoli o cacce verso la Valle dell’Ardo, al Mandriz di Selva o a Mondeval stesso, questo per citare tre luoghi scavati o in corso di scavo e appartenenti rispettivamente, il primo e il secondo, al neolitico/eneolitico e, il terzo, al mesolitico).

 

 

 

 

 

IL BORDO DI SINISTRA SEMBRA ESSERE IL PIU’ ANTICO,

MENTRE IL PIU’ RECENTE SEMBRA QUELLO DI DESTRA.    

 

Certamente solo uno scavo sistematico del sito potrà apportare elementi nuovi tali da correggere l’interpretazione accennata: l’eventuale presenza di selci lavorate daterebbe il sito dalla fine del Neolitico all’Antico e/o Medio Bronzo (dal 3500 a.C. al 1500 a. C.); la loro assenza, invece, restringerebbe l’epoca al Bronzo Recente-inizio dell’età del Ferro (dal 1500 a.C. al 900 a.C.): circa 600 anni. Queste datazioni provvisorie sono basate sulla tipologia dei decori e dei bordi di vaso fortunatamente ritrovati: finora sei cordoni di tipo diverso. Tutto ciò naturalmente è basato sulle prime constatazioni fatte, quindi passibili di mutamenti anche consistenti.

Gli aspetti più interessanti derivanti dal ritrovamento effettuato consistono nel:

- registrare, alle porte del Basso Agordino, la presenza di vita precedente alla nascita della cultura paleoveneta: questo fa ben sperare per futuri ritrovamenti pure nella Conca Agordina;

- notare, vista la tipologia dei ‘cocci’, come forme economiche identiche (transumanze, cacce, etc) permangano quasi costanti per periodi di tempo secolari o millenari: questo non costituisce certo una novità, ma è una conferma tangibile anche per le nostre zone;

- constatare sia l’interesse mostrato dalla Soprintendenza, nella persona della dott.ssa Bianchin, riguardo all’inusuale quota e all’apparente integrità del riparo, che l’interessamento del Parco Dolomiti Bellunesi, nella persona del dott. Gianni Poloniato: la nascita di una sinergia tra i due enti sarebbe auspicabile poiché lo studio del sito, permetterebbe l’ampliamento di conoscenze antropologiche e etnologiche legate ad un periodo che sta dando ampie dimostrazioni della propria presenza e vitalità in numerosissimi siti della Val Belluna e che finora non ha dato evidenze in Agordino: ora forse ci siamo vicini…

g.f.

home            notiziari