LA MINIERA DI CAMPO DI GIOVE
LE MINIERE SCOMPARSE
PARTE QUARTA
Molte sono le miniere Agordine scomparse, ma ce n’è una in
particolare che ha attirato la mia attenzione: una presunta miniera di argento che, dalla fine del 1700 fino al termine del 1800, è spesso menzionata dagli autori che descrivono i lavori di estrazione mineraria della nostra Terra; quella di Campo di Giove però rimane un vero mistero: da anni cerchiamo di svelarlo, con scarsi risultati e grosse difficoltà; ho perfino il dubbio che sia realmente esistita.
Sfogliando le diverse testimonianze, e andando a ritroso nel tempo, ci pervengono queste notizie:
- il più vicino a noi è il Brentari, che nella descrizione del suo viaggio, passando per Agordo e salendo verso Voltago, dice:
"Presso il paese esisteva una miniera di piombo argentifero e se ne vede ancora il cunicolo rovinato nella loCalità detta Campo di Giove costituito di una bella arenaria variegata sovrapposta a micascisto."
(Brentari, dalla Guida Alpina,ottobre 1887).
- l'Alvisi nella storia dì Belluno e Provincia dice: ”Anche qui si è scoperta una miniera di piombo argentifero: se ne vede tuttavia il cunicolo rovinato in Campo di Giove, dove la arenaria variegata, da spaccato simmetrico, fa di sé bella mostra."
(Giuseppe Alvisi, 1860).
- il Mugna dice:
“ Di una meraviglia se anche qui siasi scoperto una miniera di piombo argentifero: se ne vede tuttavia il cunicolo rovinato in campo di Giove, dove la arenaria variegata come dentro da spaccato simmetrico fa di se mostra bella.“
(Pietro Mugna, 1858).
- Il primo che ne parla è sicuramente il Corniani degli Algarotti; nel suo trattato dello stabilimento delle Miniere di Agordo del 1823 dove testualmente dice:
" Narrasi pure, che a Voltago esistesse in lavoro una miniera di piombo argentifero; e di ignota ricerca uno sprofondato stollo, o per meglio dire cunicolo, io vidi dietro il colle, che dalla parte di ponente in riva del torrente Cordevole si innalza, denominato Campo di Giove; ma la mia indagine venne delusa dalla impossibilità di penetrare sotterra. Da mia gita colà, venne soltanto appagata nella osservazione: che tutto quel basso lavoro di ricerca era intramesso nella roccia arenaria rossa, della quale è composto quel colle, rinserrato da superiori bande di schisto”.
Ed è proprio da quest'ultimo autore, che sorge un dubbio in quanto sembra che gli scrittori successivi abbiano solo riportato e copiato le sue parole, facendo nascere il sospetto che la miniera, in realtà, non sia da essi mai stata vista: le varie citazioni troverebbero quindi origine nel trattato del Corniani.
Se questa miniera di argento fosse veramente esistita può essere stata solo antecedente al 1400, poiché non viene citata in nessuna investitura della Repubblica di Venezia posteriore a tale data, e in nessun altro documento ufficiale del 1800.
Se ipotizziamo che una miniera di questo prezioso minerale sia effettivamente stata coltivata nella zona menzionata, e consideriamo la poca stabilità di questi versanti, è molto difficile che la sua imboccatura sia rimasta visibile e accessibile per più di un centinaio d'anni dopo l'abbandono. Da come il Corniani la descrive per la prima volta, per altro usando il termine ‘narrasi’ che ci fa pensare ad una testimonianza sicuramente precedente al suo periodo, ci fa sorgere il dubbio che lui stesso non l'abbia mai vista; tanto meno, dunque, può averla vista l'ultimo autore nel 1887, il Brentari.
L’instabilità del terreno della zona viene confermata dalla testimonianza di un perito minerario del luogo che racconta dell’esistenza di una galleria di ricerca risalente a poco prima dell'ultimo conflitto mondiale, quando tutto l’Agordino fu oggetto di ricerche intensive di vecchie mineralizzazioni: essa era accessibile sino a 30 anni fa circa, ed ora è completamente scomparsa.
Quindi tutto ciò mi permette di formulare tre ipotesi, riguardanti la miniera d’argento:
I – che tale miniera sia molto antica, cioè antecedente alla Repubblica di Venezia, e che abbia avuto una notevole importanza, al punto da tramandarne l'esistenza per secoli, forse per millenni, dato il toponimo rimasto (Campo di Giove);
II – che sia una diceria popolare, presa erroneamente per vera e tramandata nel tempo;
III – che, cosa assai più probabile, si sia scambiata con quella di piombo argentifero una miniera di rame, esistita in loco e documentata, spostandone per di più l’ubicazione.
Sono in effetti documentate tre investiture che riguardano la Valle del Mus, tutte concesse nello stesso anno, in tre luoghi diversi e riferite però a vene di rame:
1. 21 maggio 1678 Sotto la regola di Voltago in luogo detto valle del Mus - a Zan Maria dell'acqua e C. Miniera di rame, confina a mattina Fontana delle Corone, a mezzodì acqua detta L'Arzana, a sera Col di Ravinon.
2. 17 giugno 1678 - nella Valle di Frasenech et Voltat .- Al N.H. Ser Antonio Soderini e C. Minera dimostrante rame; confina alla Val del Mus e il bosco di Zanet de Palù.
3. 16 luglio 1678- Nella Val Sarzana o val del Mus. - A Bortolo Conedera e F.lli - Minera
dimostrante rame; confina a mattina acqua della Sarzana, presso le Roe Bianche.
La presenza in questa località di miniere di rame è confermata anche dai ricordi tramandati fino a poco tempo fa; però, il riscontro più tangibile è costituito dal ritrovamento di scorie di lavorazione e gocce di fusione di rame rinvenute da un socio del gruppo ARCA nelle due località evidenziate in cartina: concreta testimonianza della reale esistenza dell’estrazione e della lavorazione dei minerali di rame in loco.
Il mistero quindi è ben lungi dall'essere svelato e si arricchisce di nuove ipotesi: è lo stesso toponimo, CAMPO DI GIOVE, in seguito trasformatosi nel nome della frazione di Agordo, GIOVE, che fa riflettere in quanto è unico in zona e ci riporta direttamente ai tempi dell’antica Roma, ma questa è un'altra storia da approfondire in seguito.
Dino Preloran