IL FERRO DELLA MONTAGNA
Il diluvio di pioggia battente caduto sabato pomeriggio ( 30 settembre 2000 ) non ha fermato l'iniziativa di recupero di reperti che si spera possano rivelare aspetti di storia passata dell'Alto Agordino.
Si tratta di due fasci di verghe di ferro del peso di circa 320 kg l'uno che due appassionati e costanti 'ricercatori', Gioacchino Vettorello e Giovanni Spader di Valdobbiadene, hanno individuato alla stretta di Quero nelle vicinanze del ponte 'al Fante d'Italia' nelle complesse cavità presenti sul fondo del fiume Piave.
Descrizione dei fasci: ogni fascio ha forma rettangolare di circa 10 cm per 27-30 cm ed è composto di 18 verghe di ferro a sezione rettangolare di 2,5 - 3 cm per 5 cm; la lunghezza media delle verghe è di 156 cm, con un massimo di 180 cm; in uno dei due fasci è inclusa, oltre le verghe, una classica 'punta di ferro' della lunghezza di 170 cm, con impugnatura a pomolo adatto a piantare pali in legno nel terreno; ogni 'pacco di verghe' è tenuto assieme da due fasce di ferro (piegate a quattro angoli retti, di 6 cm di larghezza e 1 cm di spessore; ognuna ha le due estremità sovrapposte e saldate a caldo).
L'attenzione richiamata su questi reperti da parte di Spader e Vettorello è stata, a dir poco, lodevole ed efficace: hanno interessato il direttore dell'archivio di stato di Vicenza, dott. Giovanni Marcadella che ha, come di dovere, da una parte informato la Soprintendenza all'Archeologia del Veneto nella persona del dott. Luigi Fozzati per la valutazione del fatto e per il conseguente necessario intervento e dall'altra, è il caso di dirlo, sulla spinta della ferrea volontà di Spader e Vettorello di credere che il metallo fosse proveniente dall'Agordino
ha interessato la Comunità Montana Agordina nella persona dell'ing. Sabbedotti quale tecnico che segue i lavori di recupero sia del Centro Minerario di Val Imperina di Agordo che del sito minerario del Fursil di Colle Santa Lucia; Fozzati ha attivato a sua volta sia il Nucleo Sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Mestre con le attrezzature idonee sia i Vigili del Fuoco di Belluno con l'autogru; Sabbedotti ha creduto opportuno chiedere la disponibilità del Gruppo Archeologico Agordino ARCA ad assumersi la responsabilità della custodia dei reperti stessi.
L'azione di recupero si è svolta in varie fasi:
i sommozzatori, guidati dallo Spader anch'egli munito di attrezzatura subacquea, hanno imbragato il primo fascio, posto a 1,5 metri sott'acqua e lo hanno associato ad un pallone della capacità di 1000 litri di aria e adatto a sollevare il fascio di ferro fino a pelo d'acqua; due pompieri posti sulle rive opposte del fiume, con l'uso di due corde legate al pallone e aiutati dalla corrente del Piave, hanno poi condotto il carico per un centinaio di metri fin sotto il ponte 'al Fante d'Italia' di Quero - Vas:
la gru, calando il gancio per ben 45 metri sul greto del fiume, ha poi con cautela recuperato il pesante carico;
una operazione analoga si è ripetuta per il recupero del secondo fascio con le varianti della profondità del reperto, che era di circa 7 metri, della pulizia dell'ugello del secondo pallone ostruito dalla sabbia, dell'oscurità della sera particolarmente anticipata dalle pessime condizioni atmosferiche; il tutto si è realizzato in non meno di 4 ore e, alla fine, il lavoro è stato svolto alla luce delle fotoelettriche dei pompieri.
i due reperti sono stati poi caricati su un mezzo procurato dal gruppo Arca e accolti in un magazzino messo a disposizione dalla Comunità Montana ad Agordo; si è avuta la promessa della Soprintendenza per un celere intervento conservativo ( che si auspica si realizzi ) che fermi l'ossidazione del ferro e ne permetta l'esposizione nel costituendo Museo Minerario di Val Imperina e del Fursil che avrà futura sede sotto la copertura dei forni fusori di Val Imperina.
L'ipotesi che il carico fosse condotto dagli zattieri del Piave e proveniente dai forni Agordini è plausibile anche se non esclusiva: oltre i papabili forni di Caprile, Alleghe, Cencenighe, Forno di Canale, Listolade, Forno di Val non si possono certo escludere quelli dello Zoldano o della valle del Piave: di sicuro un intervento che il gruppo ARCA attuerà verso la Soprintendenza sarà quello di richiedere l'analisi della composizione metallica dei reperti; la eventuale consistente presenza di manganese farebbe riferire l'origine a minerale delle miniere del Fursil, poste in Comune di Colle Santa Lucia.
Esiste la notizia giornalistica di reperti 'analoghi' recuperati tempo fa sempre nel Piave grazie alla segnalazione del sig. Arnaldo Dallo e posti nelle vicinanze di quelli attuali; sono stati consegnati al Museo degli Zattieri di Codissago: il gruppo ARCA si premurerà di visionare i reperti per un utile confronto.
A chiusura della nostra vicenda, come Agordini dobbiamo in ogni caso ringraziare:
gli appassionati 'scopritori' che vedono con piacere il ritorno del ferro lavorato alla sua probabile origine;
la Soprintendenza che ha dato prova di un più che sollecito intervento: c'era la possibilità che la sabbia ricoprisse di nuovo i reperti;
la disponibiltà dimostrata dai Vigili del Fuoco di Belluno e la grande professionalità dimostrata dai Sommozzatori di Mestre.
Anche se non si rivelerà essere ferro del Fursil, si tratta in ogni caso di reperti che arricchiscono la conoscenza di modi di produzione, di trasporto e di commercializzazione del passato bellunese e che danno consistenza alla visione di una 'montagna industrializzata' contrariamente alla visione di una montagna a lungo ritenuta da sempre improduttiva.
Gabriele Fogliata